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Diana schernita

DIANA SCHERNITA

Favola silvestre.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Giacomo Francesco PARISANI.
Musica di Giacinto CORNACCHIOLI.

Prima esecuzione: 6 giugno 1629, Roma.


Personaggi:

AMORE

soprano

DIANA

contralto

PANE satiro

basso

ENDIMIONE

tenore


Due Ninfe di Diana. Coro di Ninfe e di Pastori.



Argomento della favola

Viene Amor per cercar lo scherzo e 'l riso,

ma Diana in un antro il guida e scorge:

egli vi trova Pan, ch'ha mesto il viso

per amar quella dèa ch'a notte sorge.

Il riconsola Amore. Indi gli porge

il modo di goderla. Intanto, fiso

al sole, Endimion cantando assorge,

m'Amor gli fa di gelo il cor conquiso.

Ond'egli d'Atteon la forma piglia,

va per spiare il vero alla fontana

e la candida dèa fa far vermiglia.

Spruzzato divien cervo et a Diana

discopre il tutto Amor, Pan la consiglia:

di gigli e d'api il cervo ha forma strana.

Atto primo (prologo)
Scena unica

Amore, con la sua facella accesa, nell'apparir della scena si mostra in una nuvoletta in cima ad un monte: espone come per aver le feste della sua madre, viene per ritrovare lo scherzo e il riso e, uscendo dalla nuvola, cala nei boschi della scena. È visto da Diana, che lo sgrida, poi per schernirlo lo guida nell'antro d'Egeria, indi si parte per ritrovar le sue ninfe.

AMORE

Mentre l'alba n'imbianca

il già imbrunito mondo

e fa ch'impallidisca

ogni notturna stella,

non fia mai che languisca

l'ardente mia facella:

io vibrerolla invece

della face che suole vibrar l'aurora

anzi che naschi il sole.

Della bella mia madre,

che nacque già dal mare,

anch'io vo' celebrare

il sovruman natale.

Però qui fermo l'ale

e vo vercando intorno

lo scherzo e 'l riso, i vezzosetti amori,

miei fratelli minori,

per far più lieto e più festoso il giorno.

Già tra gl'ostri e tra l'oro

delle superbe corti

invan cercai saper di lor novella,

poiché tra cure e sempiterni lai

sempre v'alberga ambizion rubella.

Qui certo, ove ne scherza e l'aria e l'onda

e ride il lieto prato,

nella fiorita sponda,

ritrovar spero il bel drappello amato.

DIANA

Vidi (né punto errai)

da lungi un strano augello

di miniate piume

adombrate le terga

ed or da presso scorgo

ch'è 'l ribaldello

d'amor, ch'al cieco volgo è cieco nume.

AMORE

Ohimè, che duro intoppo!

Questa è la mia nemica,

che finge la pudica,

ripudiando in ciel il dio ch'è zoppo.

DIANA

Che vai facendo tu

per questi boschi a me

sacrati? Colà su

non ti basta che se' disturbatore,

d'ogni dio, d'ogni core

senza che turbi queste

semplici e dilettissime foreste?

AMORE

Io cercando me n' vo

di qua, di su, di là,

né dove gir più so,

ché mi son stanco già,

i miei sì vari

a me fratelli cari,

riso e scherzo nomati,

né so in qual parte lor si sian celati.

DIANA

Tu, maestro di pianto

e fabbro di dolore,

vai ricercando i lieti pargoletti

per infiammar d'amore

di queste ninfe semplicette i petti?

Orsù, dammi la mano e vienne meco

là dentro in quello speco.

AMORE

E che farò là dentro?

DIANA

Là nel più cupo centro

è il fonte del diletto,

ove godé già in pace

il suo vago Salmace.

Quivi arsi i fanciulli

per dianzi entrorno

ai pueril trastulli.

AMORE

Guidami dunque solo,

tu dell'antro alla bocca.

DIANA

Ecco ti guido,

entra pur né spiegar tropp'alto il volo.

(Quanto di lui mi rido.

Fa il sagace e l'astuto

e 'l veglio fanciullin pur v'è caduto.

Questo è l'antro d'Egeria,

nume di Numa,

ov'ella ognora versa

lagrime in abbondanza,

già in fontana conversa,

dove il pianto e il dolor hanno la stanza.)

Ma troppo qui dimora

col folle dio mi feci.

Io vonne or ora a trovar le mie seguaci

che fuggono d'amor l'ardenti faci.

Atto secondo
Scena unica

Amore, Pane.
Esce Amor dall'antro tutto stizzito e con seco Pane; dispone servirsi del dio caprone e perciò l'esorta a tentar Diana con doni d'oro, imponendogli che con quelli tornasse all'antro dove ella sarebbe venuta a lavarsi con le sue ninfe. Pane parte e Amore rientra nell'antro per dar virtù all'acque di far arder la dèa di vilissimo amore.

AMORE

Dunque così schernire

mi può la dèa selvaggia?

Ed io non potrò l'ire

mie suscitare e far ch'arda 'l suo core

di vilissimo amore?

Ah sì potrollo.

Aspetta, perfida dèa, d'Amor l'alta vendetta.

PANE

Ben perfida fu Cinzia,

o cupidine,

ch'illudere e deridere

di Venere te,

germine dolcissimo, desidera!

AMORE

Ma tu, selvaggio dio,

nume de' boschi,

come là dentro stavi

tra 'l pianto e tra 'l dolore

in così cieco orrore?

PANE

Io ti dirò:

passo i miei giorni foschi

per la dèa che nemica è dell'amore.

Il giorno ella mi fugge;

io non ardisco,

quantunque arda, scoprire

il mio foco e patisco,

per lo mio poco ardire,

pene d'inferno, ond'io n'esalo intanto

un Etna di sospir, un mar di pianto.

AMORE

Ma tu, cui diè natura

snello il piè, forte il braccio,

velloso il petto e nerboruto il dorso,

perché lei che non cura

e disprezza il tuo laccio,

non stringesti e giungesti co' la forza e col corso?

PANE

Quegl'arti suoi modesti

e quel nome di casta e di pudica,

quasi nume al mio core,

quanto scemò l'ardir crebbe l'ardore,

e perciò mi restai farmela amica.

AMORE

Folle, deh quanto falli,

ché modestia tu vanti

in colei che si gode

furtivamente in queste stesse selve

Endimion pastore.

PANE

Oh che mi narri affé,

ch'io mi rincoro.

AMORE

Ma tu, se vincer vuoi più facilmente

la ritrosa sua mente,

corri con doni

e siano i doni d'oro.

Sai che con l'oro vinta

fu Danae, fu Atalanta.

PANE

Resister contra l'or niun si vanta;

io vo' ritrovar Mida,

onde mi tocchi alcuna bianca lana,

che fatta d'or ben vincerò, Diana.

AMORE

Sì, sì non ritardare.

Udito hai dire

che questa dèa triforme,

Delia in ciel, Cinzia in terra

e nell'abisso Proserpina si chiama.

E i doni d'oro ognora

in cielo, in terra e nell'abisso ell'ama.

PANE

Io corro e giungo

e qui tosto me n' torno.

AMORE

Vanne e qui tosto torna:

io vo quest'acque,

dov'ella venirà oggi

a lavarsi con le sue ninfe,

invigorir cotanto

che per Amor ciascuna

avrà in core il dolor, negl'occhi il pianto.

PANE

Or celere e volubile vo' correre.

Atto terzo
Scena unica

Amore, e Endimione.
Amore, dopo d'aver data virtù all'acque di far ardere Diana di vile amore, dispone trovare Endimione, da lei teneramente amato, e ingelosirlo: il quale se n' viene cantando in lode della sua luna, avendo da essa ricevuto un occhialone dorato per poterla rimirare da lungi nel cielo. Ma Amore perturba le sue allegrezze col narrarle che la sua dèa sia fatta di Pan e che in quell'antro doveva indi a poco con lui ritrovarsi e l'esorta (se vuole accertarsi del vero) a pigliar la forma d'Atreone cacciatore. Esso desideroso se n' va con Amore per fare quanto egli vuole.

AMORE

Or che virtù di risvegliar gl'amori

nel più selvaggio cor diedi a quest'acque,

vorrei veder, per queste opache selve

e taciturni orrori,

di ritrovar omai Endimion,

di lei sì caro amante,

e ingelosirlo sì della sua dèa

che quest'alme foreste

vedran di lei ben oscurati i rai.

Ma veggio che di qua move le piante.

Voglio prima ascoltarlo

furtivamente or sotto questo faggio

e poi con mio vantaggio,

improvviso assaltarlo

ch'uom colto all'improvviso

è tutto vinto nonché mezzo ucciso.

ENDIMIONE

Gran pianeta del ciel, occhio del giorno,

specchio del mio bel sol, Febo lucente,

se d'argento al tuo raggio indora il corno

nelle più oscure notti il nume algente,

fa' nel meriggio pur lungo soggiorno,

né inchinar il tuo carro all'occidente

ond'io possa di lei, che te rassembra,

goder l'intatte e luminose membra.

Endimion felice,

fortunato pastore,

poi che goder ti lice

della candida dèa il più bel fiore.

A te l'anima e 'l core

discopre il giorno amoreggiando in queste

dolcissime foreste

ed acciò che la notte

tu possi vagheggiare il puro argento

del volto immacolato

ecco già t'ha donato,

composto di sua man questo strumento,

(per la gioia ch'io sento

son quasi di me fuore ed a me stesso

parlo lungi e d'appresso),

questo cannone aurato

fatto in forma di piva,

ch'a pena al cinto arriva,

da capo a piè di doi cristalli ornato.

Da queste basse valli,

mentre l'aer s'imbruna,

per mirar la mia luna

scorciar potrò lunghissimi intervalli.

Ma tu, deh, ferma il corso,

Febo, della mia dèa

(per cui detta è Febea),

biondissimo germano

né tuffar il tuo carro in oceàno,

poi ch'oggi meco in amoroso laccio

dentro questo boschetto,

essendo ella soletta ed io soletto,

vuol donarmisi in braccio.

AMORE

Endimion, quant'erra

la mente tua. Tu cerchi

a ragione ch'il sole

tardo si corchi all'oceano in seno

per non veder di macchie il bel sereno

volto di lei bruttato

dai baci di colui ch'è amante amato.

ENDIMIONE

Ohimè! Chi sei, che narri?

Ed io che ascolto?

Dunque di Cinzia al volto

altri ch'Endimione affissa i baci?

AMORE

Io son dio, narro il vero;

ascolta e taci.

La tua dèa, seppur tua

può chiamarsi colei che d'altri è fatta,

vidi io tra fratta e fratta

più d'una volta in quella

romita grotticella,

lasciata la feretra, il dardo e il cane,

trastullarsi con Pane.

ENDIMIONE

Pe 'l semicapro dio,

dunque, me lascia?

E fia ch'il creda?

Ohimè che 'l core

a questa ambascia

or mi si esamina

e fugge l'anima

lungi da me.

AMORE

Se tu stesso te n' vuoi

con gl'occhi propri

accertare, io farò

ch'altro volto ricopri,

onde comprendere possi

ch'è Venere, Cinzia no no.

ENDIMIONE

E chi vuoi tu ch'io finga

ed in qual modo potrò

veder colei che mi tradisce?

AMORE

Tu sei molto simìle

ad Atteone, il cacciator gentile.

Vorrò che di lui prenda

la giubba, il crine e l'arco,

poi fingendo ch'al varco

perdesti il can Licisca,

qui te ne venghi ad espiar del cane,

ché vedrai alla fontana

quanto Diana il satiro gradisca,

quanto gradisca il satiro Diana.

ENDIMIONE

Io farò quanto vuoi.

AMORE

Dunque vien meco,

ch'avrai per guida un cieco.

Atto quarto
Scena unica

Pane, Diana con le Ninfe. Endimione in Atteone.
Torna Pane tutto allegro e saltante per aversi fatto toccare da Mida alcune bianche lane, sapendo con queste d'ottenere la grazia dalla dèa cacciatrice, alla quale –vedendola capitar con le Ninfe– non ardisce per allora scoprirsi, ma si nasconde in una parte dell'antro.

PANE

Le vellera biondissime che lucano

la candida mia Cinzia han da rendere

flessibile nell'animo qual Venere.

(piva)

Ma veggiola qua, discendere qui.

Nascondere là or vogliomi sì

che senza le due compagne sue

se n' resti sola,

ch'or non ardisco dirle una parola.

In mezzo alle due Ninfe viene Diana cantando ed entra nell'antro per lavarsi con intenzione, se ci trovava il dio d'Amore, di legarlo con le lor cinte.

DIANA

Qui rinfrescar potrannosi,

tra queste fresche linfe,

l'ignude membra, o ninfe.

Vedi come ben formano

questi rami frondosi

antri e lochetti ascosi.

Qui, certo il raggio fervido

del mio german lucente

penetrar non si sente.

Né verun di qua vedesi

ch'a noi possa le care

gioie pur disturbare,

e s'entro è 'l dio Cupidine

con le cinte ch'avemo

intorno il batteremo.

NINFE

Entriamo, o Delia, o Cinzia,

ch'i liquidi cristalli

or c'invitano ai balli.

Mentre le due Ninfe spogliano la Dèa, torna Endimione mutato in Atteone, vestito da cacciatore, con due cani a lato, s'accorge della Dèa e s'appiatta da una parte del monte per vagheggiarla ignuda. Ma ella aiutata dalle Ninfe, sdegnata d'esser vista, lo spruzza con quell'acqua ond'esso divien cervo e fuggendo è seguito dalle due Ninfe e Diana, mentre si ritira nel più oscuro dell'antro per rivestirsi, dal Satiro dio viene abbracciata, eccetera.

ENDIMIONE

(in Atteone)

Chi crederia che sotto

queste auree viste

io mi fossi Endimione?

Ma cagion sol n'è la dèa delle foreste.

Atteone mi fingo io,

poiché il rio mio destino così vuole.

Ma che veggio?

Son desto o veggio?

È qui il lavacro

a me sì caro

delle nappe e, oh meraviglia,

da far le ciglia

alzare e 'l labbro stringer più scabro?

Una di loro di luci d'oro

spande le chiome sull'auree forme.

Mi par Diana

alla fontana.

Già non son queste

l'Ide foreste?

Già non son io

Paride rio

che veder voglia

senza la spoglia

l'alte tre dèe?

Ma mi voglio accostare

ed espiare tra queste fronde

come il foco d'amor naschi dall'onde.

NINFE

O Delia, Cinzia,

siam discoperte.

Occhio furtivo,

occhio lascivo

ecco ci guata.

DIANA

Fatemi intorno or voi stretta corona,

o mie fedelissime ancelle,

ché farò che ridir non potrà mai;

Cinzia ignuda mirai.

NINFE

Copriam con questo vel

le membra belle.

ENDIMIONE

Si sono di me accorte

e a me il piede

disdegnose rivolgono sì ignude,

dispettosette e crude.

Come al core repente un gel mi riede!

DIANA

Piglia dell'ardir tuo

le meritate pene,

Atteone infelice.

Or fia che svene

la turba dei tuoi can

queste tue membra.

Impara oggi a tue spese e cervo sembra.

NINFE

Oh come tosto adorna

tesser la fronte le ramose corna!

DIANA

Voi che vestite siete,

sin ch'io mi vestirò, lui seguirete.

Tosto di voi ripigli

ciascuna l'arco e 'l dardo,

seguitate il codardo

co' propri cani

e 'l resto altrui si taccia.

Alla preda, alla caccia!

NINFE

Alla preda, alla caccia!

Atto quinto
Scena unica

Diana, Pane, le due Ninfe con il cervo e Amore.
Riesce dall'antro Diana tutta vergognosa e afflitta e prega Pane a voler tacere questo suo fallo amoroso. Egli la conforta. Viene in questo mentre il coro delle Ninfe e di Pastori con il cervo morto.

DIANA

In quest'antro sepolto

eternamente stia,

Pan, il tuo error con la vergogna mia.

PANE

Non t'arrossir nel volto,

bellissima Diana, ché l'errore d'Amore

o non è errore, oppur è lieve errore.

Coro di Ninfe e di Pastori con il cervo morto.

Avendo le Ninfe con l'aiuto di alcuni altri Pastori ammazzato il cervo, cantando lo presentano a Diana, la quale, nell'allegrezza della vendetta, sente pur non so che di mestizia, onde il coro delle Ninfe e dei Pastori ripiglia un'altra volta il canto per rallegrarla. Ma Amore si scopre e le narra quel cervo morto essere il suo amato Endimione. La Dèa lo piange.

Il Coro dolente si meraviglia del caso; alla fine, a persuasione di Pan, fa mutar il cervo in un giglio giallo sopra il quale si vanno a posar tre api d'oro, che poi la Dèa comanda si trasportino in cielo e nel suo cerchio circondato da nuvolette d'argento si mirano tre aponi d'oro.

Alludono all'arme dei felicissimi Barberini.

CORO

di ninfe e pastori

Ecco morta la fera

o Cinzia, a' piedi tuoi

or presentiamo noi,

che dianzi in altra spoglia era sì altera.

DIANA

Oh come al cor mi sento

un non so che, che par che 'l cor mi tocchi!

Con la gioia il tormento

mi si mischia nel cor, se ridon gl'occhi.

CORO

di ninfe e pastori

Ecco morta la fera

o Cinzia, a' piedi tuoi

or presentiamo noi,

che dianzi in altra spoglia era sì altera.

AMORE

Ecco morta la fera

e nella fera ecco morto colui

che tu cotanto amavi:

Endimione è questi,

da cui baci suggesti

sì dolci e sì soavi,

che da me ingelosito

allor ch'al dio caprone

tu ti donasti, ei finse l'Atteone.

Or da te impari di schernire Amore

ogni superbo core!

DIANA

Ahi cieco e invidioso,

dio non già dell'amor ma dello sdegno,

forse perché geloso

che questi estinto mio

non ti togliesse

di bellezza il regno,

trasformar gli facesti

l'ammanto, il volto e i gesti,

me dando in preda al semicapro dio.

Questo è il duolo e la pena

che mi sviscera l'alma e 'l cor mi svena.

CORO

a 6

O caso orribile

e lacrimabile,

caso terribile

del mondo instabile.

DIANA

Endimione caro,

perdona, tu, perdona

alla mia mano ultrice

ed alla feritrice

che te, non conoscendo,

a morte spinse.

Che spettacolo amaro

agl'occhi miei si dona!

Il ferro che s'intinse

nel tuo sangue

il mio cor ferì così

che per dolor si muore.

Ahi rio dolore, ahi pena

che mi sviscera l'alma

e 'l cor mi svena.

PANE

Tu che in un parto di Latona a Giove

col sol nascesti, o dèa,

or come saggia il tuo dolore affrena,

che 'l dolore è pena,

nulla rilieva e men le Parche move.

Così il dolore assale

chi si mette ad amar cosa mortale.

Ma tu perché non fai

come t'insegna il proprio tuo fratello,

che in un bel fior novello

per sua cagione estinto

trasmutò 'l bel Giacinto?

Se poté Citerea

l'istesso far del morto e vago Adone,

perché tu non potrai

mutar in fior

l'estinto Endimione?

DIANA

Gran padre, o tu che puoi

lassù nel cielo assiso

ogni cosa mutar quaggiù fra noi,

poiché di Vener l'orgoglioso figlio

have da me diviso

il mio ben,

muta lui in aureo giglio.

PANE

Ecco pian pian la terra

dà tomba al trasformato Endimione

e solo lascia l'argentee corna

or sopra il suolo,

ove in mezzo è restato il core.

Ed ecco il core da sé disserra

pianta che mostra ai cigli

tra foglie di smeraldo

or d'or tre gigli.

CORO

a 6

Meraviglie son queste,

ma sotto le cortine

serbano ancora simbolo celeste.

DIANA

Ecco già sussurrando,

sopra i gigli volando,

si spiccano tre api

ch'han d'or le spoglie e d'or le penne e i capi.

Queste fra gl'ori e gl'ostri

ammirerà l'età barbari mostri:

son umani portenti:

fatte stelle lucenti,

su nel mio cerchio in fra stellati campi,

vibreranno di gloria eterni lampi.

CORO

a 6

Meraviglie son queste,

ma sotto le cortine

serbano ancora simbolo celeste.

Fine del libretto.

Generazione pagina: 14/01/2016
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Locandina Atto primo (prologo) Scena unica Atto secondo Scena unica Atto terzo Scena unica Atto quarto Scena unica Atto quinto Scena unica