DEJANICE
Dramma lirico.
Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.
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Libretto di Angelo ZANARDINI.
Musica di Alfredo CATALANI.
Prima esecuzione: 17 marzo 1883, Milano.
Personaggi:
DARDANO primo triumviro di Siracusa |
baritono |
ADMETO venturiero tosco |
tenore |
LABDACO schiavo cartaginese |
basso |
DEJANICE patrizia decaduta, etèra (*) |
soprano |
ARGELIA nipote di Dardano |
soprano |
Corifei | |
NIDIO primo e terzo atto |
sconosciuto |
ALFEO primo e terzo atto |
sconosciuto |
LEUCO secondo atto |
sconosciuto |
IRAMBO secondo atto |
sconosciuto |
(*) È noto che in Grecia chiamavansi «Etère» le cortigiane talvolta anche di natali illustri e versate nelle discipline poetiche.
Patrizi e Popolo, Siracusani, Pirati d'Itaca, Vagabonde egizie, Etère, Citariste, Sacerdotesse.
L'azione si svolge in Siracusa, 600 anni prima del'era volgare.
Nel fondo il mare. Meriggio. Luce intensa.
Patrizi, Popolo, Donne, Schiavi neri, Schiave, e Labdaco in disparte.
CORO
A Marte lauri! Inni alla dea!
La punica galèa
urtò col rostro la trireme achèa!
Ustica e Lampedusa
fan più fulgido il serto a Siracusa!
LABDACO
(a parte)
Esulta! - Insulta!
Bieca turba tiranna,
più che troni non falci e genti uccida!
T'assonna sull'allor... Ma in petto avrai
l'urto, sognando, del pugnal numida!
CORO I
(alternandosi, additando Labdaco che sta solo in un angolo della scena)
Vedi quell'ombra
sinistra o truce?
CORO II
Labdaco?
CORO I
(con accento derisorio)
Il punico!
CORO II
Labdaco!
CORO I
Il duce?
CORO II
È folle?
CORO I
È ignavo...
CORO II
È fiero?
CORO I
È schiavo
e sogna d'Ustica
la riconquista...
CORO II
Colui?
CORO I
(ridendo)
Nel patrio
odio consuma,
Catana e Taranto
Sibari e Cuma!
(durante questo dialogo vanno sempre più accostandosi a Labdaco)
LABDACO
(messo in sospetto dalle loro mosse, fa atto d'allontanarsi, il Coro lo stringe fra le sue spire)
(Oh! bassa, oh! rea
bordaglia achea!)
CORO
Schiavo, scorgi sull'africo lido
torva striscia di lugubri incendi?
Oltre il mar l'ulular non intendi
dei caduti che gridan pietà?
È del Numida il barbaro nido,
sì, il tuo nido che in cenere va!
LABDACO
Ah! Il tuo Giove, caterva d'indegni,
solo è il nume dell'empia viltà!
CORO
(schernendolo)
Istrion, dei terribili sdegni
mal la larva sul volto ti sta!
(squillo di trombe dall'alto del promontorio, altro squillo gli risponde in distanza, pausa)
Al mar! Al mar!
La galea capitana a salutar!
(escono confusamente)
Dejanice sola.
Mentre la Turba si allontana in varie direzioni, Dejanice entra vivamente, dalla via attigua al palazzo degli anziani, porge ascolto alle grida del Coro e ne segue quasi le mosse sino a che la scena si sgombri.
DEJANICE
Inni! lauri al nocchiero! Ecco un felice!
e qual di questi più soave un premio
forse lo attende! E quante Argive e quante
anelanti staranno il gran ritorno!
.................................
Una... più ch'altre... riamata forse!...
(breve pausa)
Una!... perché su tal pensier m'arresto,
qual dall'aspide punta? E non potrei
indivisi ricambi io pur trovarmi,
sol che in un solo affetto
l'onda acquetassi de' sospiri miei?
(erigendosi)
Bella e fiera non son, quant'altra mai?
(con tristezza)
Folle! a che val la dissennata brama?
(con crescente amarezza)
La vaga etèra si desia, non si ama!
(volgendosi rapidamente e portando lo sguardo verso la strada)
Ma... or qui chi move? Ah! L'implacabil veglio!
Dardano!... Orror m'ispira...
Non m'abbia almeno ei scorta...
come l'augel sinistro,
il malo augurio sovra l'ale ei porta!
(comparisce Dardano appoggiato ad Argelia; Dejanice dissimula la sua presenza tra gli intercolunni dell'atrio degli anziani)
ARGELIA
(fra sé)
Giovine tanto e omai sì grande! Oh almeno
fossi io la prima a salutar la prua
della nave felice!
DARDANO
ARGELIA
A un sogno!...
DARDANO
ARGELIA
Ahi! troppo
volano i sogni!...
DARDANO
ARGELIA
Padre!
DARDANO
ARGELIA
(timidamente)
Amore!
Adolescente ancora,
vogando un dì sul mar,
su di una breve prora,
un giovincel la mia venne ad urtar...
In volto ei mi fissò...
La palpebra chinai... Perché? no 'l so...
DARDANO
ARGELIA
Volser gli anni...
di Apolline nel tempio
orando stava un dì...
la stessa voce eterea,
lo stesso sguardo i sensi miei colpì!
Per nome ei mi chiamò...
impallidii... tremai... di più non so!
DARDANO
ARGELIA
Di lui non seppi più...
DARDANO
ARGELIA
Ma quella nube in lagrime,
ma quella luce in palpiti
stemprar sentii su me!...
Quel sogno io l'amo!...
DARDANO
CORO INTERNO
Gloria ad Ameto! Al vincitor nocchier!
DARDANO
ARGELIA
Dolce pietà, voluttüoso affanno!
Il sen mi turba pe 'l fatal nocchier!
Dev'esser bello d'un gentil tiranno
virginalmente al forte piè cader!
Le voci si fanno più vicine. Dardano ed Argelia entrano nel palazzo degli Anziani. Da destra irrompono, guardandosi indietro Popolo, Donne, fra questi Dejanice, Labdaco.
I precedenti, Dejanice, Labdaco, Anziani, Giovani, Patrizi, Popolo.
CORO
Le galee, le triremi!
Siccome najadi
del golfo fendono
l'onde cerulee!
Del galeone
all'artimone,
un'asta sventola
d'oro e di porpora!
Ed all'attonito
Tirreno e Jonio
la gloria accusa
di Siracusa!
Vogano - vogano!
Eccoli - giungono!
Agitano pepli, veli e bandiere. Comparisce la trireme maggiore. Ne scende Admeto, seguìto dai suoi primi Nocchieri.
I precedenti, Admeto, Dardano, Argelia, Anziani, Nocchieri, Schiavi, Giovinette patrizie.
TUTTI
(gettando corone ad Admeto)
Ghirlande! Allor
al bel trionfator!
DEJANICE
(fra sé)
(È bello come il sol
il baldo vincitor!)
ARGELIA
(fra sé)
(Celeste vision!
È il mio dolce amator!)
DARDANO
Admeto si avanza, nobilmente modesto, verso i Triumviri; alcuni de' suoi portano le bandiere conquistate ai Cartaginesi.
DARDANO
Argelia seguita dalle giovinette patrizie move verso Admeto che piega un ginocchio a terra; depone sul suo capo la corona d'alloro dorato e gli cinge al fianco il velo trapunto di stelle.
CORO DI GIOVINETTE
(che s'accompagnano con plettri d'oro)
Virgineo coro,
con la più fulgida
delle corone,
cingiam la fronte al dorico leone!
ADMETO
(sottovoce ad Argelia)
Un raggio del tuo riso,
un alïar
breve del tuo sospiro... altro non chiedo...
Per te lottai... per te
strappai la fronda al desïato ramo!
Argelia, io t'amo!
ARGELIA
(sottovoce ad Admeto)
La mia povera lira,
se l'abbandono ai venti, amor sospira!
DEJANICE
(fissandoli)
(Ché non son io colei?
Eppur tal nacqui ch'esserla potrei!)
ADMETO
(alzandosi con gesto di suprema dignità)
Greci, costei m'ha cinto
l'ambito lauro e il sacro vel. Non basta!
Usco mi è padre!
DARDANO
ADMETO
Proscritto, il duce vostro
chiede una patria... Un nome...
E alla divina Argelia
ornar col velo nuzïal le chiome!
DARDANO, ANZIANI E POPOLO
Un venturier! Un tosco vil! Un barbaro!
Oh il folle insultator!
A pagarlo il predon si colmi d'or!
ARGELIA
È il sogno mio! Chi parla qui di barbari?
È l'invido furor!
Due stirpi s'uniranno in un amor!
DEJANICE
Un venturier! Un tosco vil! Un barbaro!
Oh! L'invido furor!
Ma troppo è bel d'Argelia per l'amor!
LABDACO
O venturier, prostrata hai l'asta punica
nel barbaro furor!
Ma v'ha pei vinti un Dio vendicator!
ADMETO
O Argelia mia! Chi il virginal tuo palpito
contende a questo cor?
Tutto in te perde l'italo amator!
DARDANO
ARGELIA
(O nube di luce,
bel sogno del cielo,
la mano di un truce
strappato ha il tuo velo!
Ha fatto un vampiro
diserto il mio nido,
scompare il bel lido,
qual nebbia sul mar!)
DEJANICE
Di palpito arcano
s'accende il mio seno,
mi afferra una mano
mi accieca un baleno!
In lagrime sciolgo,
in estasi anelo,
è l'erebo, o il cielo
che vedo spuntar!
ADMETO
Rivola sull'ali
dei torvi marosi!
Son più dei mortali
i nembi pietosi!
È l'orgia dell'odio
che inneggia il creato!
Ti plachi, o insultato,
il bacio del mar!
LABDACO
(fissando Admeto)
(Ti piove l'oltraggio
qual pietra su pietra,
scomparso è ogni raggio
dall'anima tetra!
La fronte dell'odio
ti annuvola il dio...
quell'odio sia mio,
vien meco sul mar!)
CORO
Oh! strano delirio!
Oh! inferma vision!
Di mirti vuol cingersi
l'italico Adon!
ADMETO
Dunque, nemmen la gloria
trova fra voi perdono?
Erede a tosca infamia,
un vil tra i greci io sono!
(traendo la spada e gettandola infranta ai piedi di Dardano)
Allor la daga infrangasi
che lidi e allor vi diè!
Colui che non ha patria
degno di voi non è!
(si strappa la corona d'alloro; commozione generale)
DARDANO, ANZIANI E POPOLO
Vitupero! Abominio! A tanto oltraggio
dée Siracusa rifiutar mercé!
ARGELIA, DEJANICE, LABDACO E DONNE
Della sua gloria s'è offuscato il raggio...
più che un ribelle omai l'eroe non è...
Dardano trae seco vivamente Argelia, Gli Anziani lo seguono; Dejanice, Labdaco, il Popolo, escono lentamente dal lato opposto. Admeto rimane solo in scena.
ADMETO
(solo)
Solo! O mio ciel, dove svanisti? Il nembo
t'oscura agli occhi miei. Solo!... La turba
fugge d'odio satolla e di disprezzo.
O Grecia, o Grecia,
tarda al periglio, al ludo pronta, prima
sempre all'offesa! Ed io nel fiotto nero
non affondai la vela, e non percossi
l'empia tua nave alla fatal scogliera!
(contemplando il velo)
Del mio mondo perduto or tu mi resti
solo, o povero velo!
Tu mi parla di lei, tu mi rammenta
a quando, a quando lo scomparso cielo!
(si getta sui gradini di marmo del foro)
Admeto, Dardano, Dejanice.
Dardano e Dejanice compaiono all'estremità del foro. Admeto è immobile contemplando il velo.
DARDANO
DEJANICE
Calici d'oro, ~ di mirti rami,
siccome a Venere ~ offrir mi sai?
Parla! Che chiedi? ~
DARDANO
DEJANICE
Che m'ami?
DARDANO
DEJANICE
Colui? Giammai!
DARDANO
DEJANICE
Greco, deliri?
Io delatrice?...
DARDANO
DEJANICE
(Pur s'io non sono...
un'altra forse... Numi, perdono!)
DARDANO
DEJANICE
(con risoluzione repentina e tremenda)
Lo esigi! E sia!
ADMETO
(durante il dialogo precedente)
Astro pallido d'amor,
dal mesto ciel
deh! sorridi al mio dolor!
La mia rosa si sfrondò...
Un dio crudel
il mio fral disanimò!
DARDANO
DEJANICE
(con accento desolato)
Misera! Misera! ~ Mi son venduta...
Vinse il pudore ~ folle pietà!
(Dardano si allontana; Dejanice si nasconde dietro alla colonna del foro)
Admeto, Labdaco, poi Dejanice.
LABDACO
(affrontando Admeto)
Romba la folgore...
Vuoi tu guidarne il lampo?
ADMETO
(alzandosi vivamente)
Chi sei?... Chi sei?...
LABDACO
Corseggiator numidico,
caddi e fui vinto in campo!
ADMETO
Del tuo sguardo men buia è la tempesta,
tu porti il reo consiglio...
LABDACO
La battaglia e la strage è la mia festa
la vita è nel periglio...
ADMETO
Lasciami!
LABDACO
No! Fugaci volan l'ore
che appressano il destin!
Sceglier déi tu fra un odio ed un amore!
ADMETO
L'odio è gioir divin!
LABDACO
Di Malta e d'Itaca ~ sull'erma vetta
un branco d'aquile ~ un duce aspetta...
esuli anch'essi ~ son dell'amor...
vuoi ti a vittoria ~ guidar costor?
Vedremo in cenere ~ le greche sponde,
l'empio travolgere ~ navil nell'onde!
È gioia olimpica ~ la voluttà,
che la vendetta ~ ci appresterà!
ADMETO
(O dolce sogno ~ più non t'ascolto...
Erra il mio spirto ~ da un dio travolto...
Le torve Erinni ~ non han mercé...
nell'aspra lotta ~ soccorri a me!)
DEJANICE
(fra sé)
(Te di codardi vittima
non io, non io farò...
S'anco reietta, complice
Admeto a te sarò!)
ADMETO
(con risoluzione repentina a Labdaco)
Sgombra, fellon!
LABDACO
(brandendo un pugnale e avventandosi contro di lui)
Ah! spegnasi
l'empio segreto in te!
DEJANICE
(avanzandosi repentinamente e ghermendo il polso di Labdaco)
Ferma!
ADMETO
(a Labdaco)
Volesti uccidermi...
Degno sei tu di me!
(a Dejanice)
Ma tu?
(il pugnale cade di mano a Labdaco)
DEJANICE
Del greco vittima,
l'odio è il mio fiero dio!
Esso ci leghi insieme!
Sulla fatal trireme
perir con voi saprò!
ADMETO
Sei forte e altera. Seguimi!
DEJANICE
(con esaltazione)
Il genio tuo sarò!
DEJANICE, ADMETO E LABDACO
Flagelli la rapida prora
il fiotto, al levar dell'aurora,
in traccia del nido fatal!
Fuggiam! Tra la buia tempesta,
la lotta inegual sia la festa,
il vanto del fiero corsal!
Fuggiamo! Trasvolano l'ore...
Fuggiamo! Mortale è l'amore...
Sol l'odio nel mondo è immortal!
(s'allontanano rapidamente)
Rocce. - Tra gli scogli, un sentiero.
Egizie, Corsari e Labdaco.
CORSARI
(internamente)
Evohé! Evohé!
Fenda il mar cerulo
la vela nera,
l'antenna scivoli
senza bandiera,
sotto allo sprone
gema la prua!
Remige, incurvati,
la preda è tua!
LABDACO
(seduto sopra uno scoglio)
Melctar! Melctar!
Perché i giganti
leoni dormono
là dell'Acropoli
sul limitar?
Perché le cupole
d'ombre si vestono
siccome tumuli
dal monte al mar?
Melctar! Melctar!
(si alza)
Perché non s'agita
d'Essum nel tempio
degli astri pallidi
l'annunciator?
E delle sicule
genti lo scempio
non compie il punico
vendicator?
Melctar! Melctar!
O patria mia, tra i pallidi vapori,
là dove quasi il mar col ciel confina,
di qua ti scorgo e de' tuoi caldi fiori
gli aromi aspiro e della tua marina!
Oh! Ti disegni il sol più presso a me,
perch'io possa morir, guardando a te!
CORSARI
(sulla scena)
Evohé! Evohé!
Al vento, a sera,
vira, o pilota!
È la galera
dell'italiota!
Col rostro eburneo
spingi la prua!
Urta, t'arremba!
La preda è tua!
Danza egizia.
EGIZIE
Noi siam le Egizie
che non han nome,
la rosa o l'aliga
ci ornan le chiome,
se vagabonde
voghiam sull'onde,
se erranti andiamo,
al monte, al pian!
Senza mattino
senza diman!
Di golfo in golfo,
di lido in lido,
la vela nomade
è il nostro nido;
e andiamo, andiamo
senza posar,
uman mistero,
fulgido, o nero,
siccome il cielo,
siccome il mar!
CORSARI
Brune dèe, se manca il nido
ai vostri amor,
v'offeriam di Cipro e Gnido
il nappo d'or!
Vogherem tra rupe e rupe
a pari, a par!
Volerem sull'onde cupe
in mezzo al mar!
E la Venere marina,
in sua pietà,
alla coppia oceanina
arriderà!
LA VEDETTA
(Leuco)
Vele ad ostro!
ALTRA VEDETTA
(Irambo)
A mattin!
CORSARI
Remigi, al mar!
Escono disordinatamente - le Egizie dal lato opposto.
Admeto, poi Dejanice.
ADMETO
Oh! Rea vita corsara! In me l'ebbrezza
svanì della vendetta e della pugna!
Un nume solo i sogni miei saluta...
Quel del rimpianto! Vagabondo i lidi
scorro in affanno e guardo... e guardo... Ahimè!
Tutto mi parla allor, donna di te!
Mio bianco amor, mi porta olezzi il mar
dell'ambre tue, del giglio che t'ornò!
Un raggio d'or mi viene a salutar,
è il raggio d'or, che il sen t'illuminò!
E d'una corda il palpito gentil
risveglia l'eco del nefasto asil!...
Piango a quel suon d'amara voluttà;
fremo a que' rai di celestial dolor...
febbri può dar la sensual beltà...
non si amò che in un sol... nel primo amor!
Canta, t'irradia, t'orna, Argelia mia!
Aspiro sol quel suon, que' rai, quel fior!
Voci interne dei Corsari.
CORSARI
Urta! Spingi! T'arremba! Al rostro! Al rostro!
ADMETO
(con esaltazione)
Ritorno re!
LE VOCI INTERNE
L'acheo naviglio è nostro!
Admeto esce rapidamente.
DEJANICE
(la quale sarà comparsa alle ultime parole di Admeto)
Ei più non m'ama! Misera!
No! Amata ei mai non m'ha! D'Argelia sola
gli erra il nome sul labbro e di colei
s'inebria il suo sospiro!
Ed io nel mio deliro
il patto strinsi dell'infamia... solo
i suoi dì per salvar... sol perché a fianco
del demone dell'odio
in me trovasse l'angel dell'amor!
Ah! mio povero cor!
Con impeto violento
ché non perite
nauti e pirati nel terribil porto?
Egli non m'ama! Il mio spirito è morto!
Dejanice, Argelia, Leuco, Irambo ed i Corsari.
I Corsari entrano vivamente in iscena, trascinando Argelia, la quale tenta invano, scarmigliata, di liberarsi dalle loro strette.
LEUCO E UN ALTRO
L'ho ghermita nella pugna...
Tocca a me!
IRAMBO E UN ALTRO
Non levarmela dall'ugna,
o guai a te!
DEJANICE
(riconoscendo Argelia, fra sé)
(Nume! Un'estasi immortale
accordi a me!
È costei la mia rivale,
Argelia ell'è!)
CORO
(ai primi due)
Ella è nostra!
ARGELIA
(dibattendosi)
Ahi! Fato crudo!
Oh ciel, mercé!
CORO
Schiavi al gladio, al dolce ludo
ognuno è re!
Dejanice s'avanza.
DEJANICE
(con tono autorevole)
A costei non un s'attenti
d'insultar!
Ella è mia! Son vostri i venti,
è vostro il mar!
I Corsari liberano Argelia.
ARGELIA
(prostrandosi a Dejanice)
Tu mi salvi!... Oh la divina
apparizion!...
CORO
Della naiade regina
è il guiderdon.
(s'allontanano con segni di paurosa deferenza)
Dejanice e Argelia.
DEJANICE
(con accento convulso)
Deh! nella tua s'affisi
la mia pupilla nera!
Dammi de' tuoi sorrisi
quello che egual non ha!
T'ergi al mio fianco! Fissami
tu pur sublime, altera!...
Divina, inenarrabile,
trovo la tua beltà!
(la rialza)
ARGELIA
(con terrore)
Numi! Il tuo lampo è orribile...
Non mi guardar così!...
La face dell'Eumenide
il ciglio mio colpì!
DEJANICE
Chi ti fa l'occhio turgido,
chi ti fa il sen commosso?
Di qual amor nel palpito
s'ispira il tuo sospir?
Dimmi quel nome... Ah! dimmelo!
Farti beata io posso,
farti piombar nell'ultimo
d'ogni terren martir!
ARGELIA
Ah! Tu non vuoi che uccidermi...
Perché non l'osi dir?
(lunga pausa)
DEJANICE
Eppur, vedendoti ~ sì dolce e pura
al mio terribile ~ lampo tremar,
ti avrei voluto ~ di mia sventura
quasi sorella ~ poter chiamar!
Avrei voluto ~ del tuo diletto
sull'are pronube ~ cingerti il fior!
No! - questo misero ~ core che ho in petto
nato non era ~ che per l'amor!
ARGELIA
Tu a me compiangi! ~ Raggio d'affetto
fra le tue nubi ~ balena ancor!
DEJANICE
Perché t'ha spinta ~ sul mio cammino
febbre funesta ~ dimmi! Perché?
Perché sfrondasti ~ dal mio destino
l'unica gioia ~ che resti a me?
ARGELIA
Da me che chiedi? ~
DEJANICE
Torna a' tuoi lidi!
Muta una tomba fa' del tuo cor!
Scorda che amasti!
ARGELIA
Qui pria m'uccidi!
DEJANICE
Ripensa, Argelia!
ARGELIA
Mi metti orror!
DEJANICE
(trascinando seco Argelia)
Tu lo vuoi! Meco vien!
ARGELIA
Dove traggi il mio piè?
DEJANICE
In un antro ~ sul mar ~ noto a me ~ solo a me!
ARGELIA
Pe 'l mio nume pietà ~ pe 'l tuo barbaro dio!
DEJANICE
Del tuo pianto bear ~ vo' lo spirito mio!
Il tuo strazio a me fia ~ celestial voluttà!
ARGELIA
O mio dolce amator, ~ o mio nume fedel,
vieni a me dal tuo mar, ~ scendi a me dal tuo ciel!
DEJANICE
Vien! Chi ucciso ha il mio cor ~ per me uccisa cadrà!
ARGELIA
Ma del fatal segreto
mi darai tu ragion?
DEJANICE
Del tuo divino Admeto,
folle! l'amante io son!
Dejanice, Argelia, Admeto, Labdaco.
ADMETO
(vivamente)
Menti! Nel sen d'Admeto
vive più casto ardor!
DEJANICE
Furie d'Averno!
ARGELIA
O dèi!
il mio celeste amor!
LABDACO
Sacra per noi tu sei!...
T'affida al nostro onor!
ARGELIA
(ad Admeto)
Della fatal tua complice
ché non m'ha il ferro ucciso?
Ché non calò la tenebra
ad accecarmi il viso?
Io non t'avrei saputo,
io non t'avrei veduto
al tuo vessil spergiuro,
spergiuro al nostro amor!
ADMETO
(ad Argelia)
Non imprecar! Fui misero,
non sono infame ancor!
Tu rivedrai, o Argelia,
la desïata sponda!
Potrai volar e piangere
in seno al genitor!
In quel divino istante
la tua pietà confonda
il tuo perduto sogno
col mio perduto amor!
DEJANICE
(fissando alternamente Argelia ed Admeto)
Di quel crudel lo strazio,
di quella rea l'affanno
alla reietta vittima
non fan men grave il danno!
Quanto di lor più misera
in terra omai sarò!
Sola non ha perdono
chi perdonar non può!
LABDACO
O desolata vergine,
al tuo cocente affanno
sarà pietoso il misero,
ch'ebbe da te pietà!
A lui flagelli l'omero
la verga del tiranno...
Per farti in patria libera,
schiavo tornar saprà!
ADMETO
(con tono autorevole)
A lei sii guida, o Labdaco!
Risponder déi per me!
DEJANICE
(con impeto d'ira)
Admeto!
ADMETO
Impero in Itaca
sol de' corsari ha il re!
(Labdaco va verso il fondo, in atto d'impartire degli ordini)
DEJANICE
Notte cupa, accendi, accendi
della folgore le faci!
Sulle labbra degli audaci
spegni il barbaro sospir!
Se, percosso, tu dovessi
l'orbe intero incenerir!
ADMETO
(a Dejanice)
Cessa omai gli insulti orrendi!
Frante son le tue ritorte!
Il saluto della morte
è per me divin gioir!
Di costei non vo' gli amplessi,
voglio sol per lei morir!
ARGELIA
Oh! Nel pelago si affondi
la mia nave desolata!
Nuovi cieli, ignoti mondi
m'avea schiusi il suo sospir!
La mia benda egli ha strappata,
non anelo che a morir!
Giunge una barca condotta da Leuco ed Irambo.
LABDACO
(ad Argelia)
Gonfia è la vela!
(porge la mano ad Argelia e la trae verso il fondo)
ARGELIA
(guardando Admeto)
Ahimè!
ADMETO
(ad Argelia)
Scorda ch'io fui!
(Argelia sale sulla barca)
DEJANICE
Più a me sfuggir non può!
Sacrario.
Argelia, coro di Sacerdotesse, poi Admeto.
CORO INTERNO DI SACERDOTESSE
S'innalzi a te per l'etra
coi propiziati incensi,
coi voli della cetra,
il canto mesto dei notturni amor!
E tu rivela intanto
ai suscitati sensi
le voluttà del pianto,
le mistiche dolcezze del dolor!
ARGELIA
(inginocchiata sui gradini di marmo davanti alla statua della dèa)
Delle tu bende, o diva,
all'infelice Argelia
svela l'arcano che fa muto il cor!
Diffondi sull'amara
estasi mia,
il fascino immortal
che tutto oblia!
Cospargimi sull'ara
il crin di fior!
Strappane un sol... fatal...
quel dell'amor!
Fa' ch'io non l'ami più...
se tanta è pur, o dea, la tua virtù!
CORO INTERNO DI SACERDOTESSE
E tu rivela intanto
la voluttà del pianto,
le mistiche dolcezze del dolor!
ARGELIA
O tu che in ciel rifrangi
il nugol d'or,
o tu, che, a notte, piangi
il gran dolor,
astro dai freddi rai,
mar dei sospir,
a lui che tanto amai
volate a dir:
ch'ei trovi a me virtù
se un dio no 'l può, perch'io non l'ami più!
Alle ultime note d'Argelia, Admeto penetra furtivamente nel sacrario e s'inginocchia, inosservato, al fianco suo.
Argelia e Admeto
ADMETO
Argelia, ei no 'l potrà!
ARGELIA
(alzandosi vivamente - Admeto fa altrettanto)
Deliro! Sogno!
ADMETO
Fissa la mia pupilla!... Admeto io sono!...
ARGELIA
Sei tu che torni a me?... Tutto io perdono!
ADMETO
Ritorno a te siccome a sera tornano
gemine stelle nel dolente ciel...
Disgiunte fece un breve dì nostr'anime,
or le congiunga della notte il vel!
ARGELIA
Ben dici, Admeto: le divise lagrime
sono il sol che ci resti uman gioir!
Al fianco mio non ti fu dato vivere
ora... il sento... con me vieni a morir!
ADMETO E ARGELIA
D'un palpito uniti
nel gaudio supremo,
i cieli infiniti
tentare sapremo,
le palme insertando,
a pari volando,
dai campi del duol,
ai lampi del sol,
col riso sul labbro,
coll'estasi in sen,
rapiti all'ebbrezza
del divo seren!
CORO INTERNO DI SACERDOTESSE
(più debolmente)
S'innalzi a te per l'etra
coi voli della cetra
il canto mesto dei notturni amor!
ARGELIA
La moribonda prece
segna vicino il mattutino albor...
Lasciarti deggio. ~
ADMETO
Ora fatale!
ARGELIA
Ma non fia questo ~ l'ultimo vale...
ADMETO
Per noi la notte ~ del tetro avel
fia il primo giorno ~ vissuto in ciel!
ARGELIA
Ah! Sì: la notte ~ del tetro avel
fia il primo giorno ~ vissuto in ciel!
(Argelia esce)
Admeto e Dardano.
DARDANO
ADMETO
(stupito)
Numi!
DARDANO
ADMETO
Deliri?
DARDANO
ADMETO
Lo so! La morte!
A te che preme ~ se spento io cada
da greca spada? ~ Sol non cadrò!
DARDANO
ADMETO
No!
DARDANO
ADMETO
Destin, destin! ~ In un istesso vel,
non nati ancor, ~ ci volle uniti il ciel!
DARDANO
ADMETO
(in atto di piegare un ginocchio)
Chiamami figlio!
DARDANO
ADMETO
(stendendogli la mano)
Chiamami figlio!
DARDANO
ADMETO
Deh! Falla mia!
DARDANO
ADMETO
Per te perir? Ah! Tu non hai mercé!
Fia maledetto il parricida in te!
(si allontana in direzione opposta)
Il gineceo.
Nel fondo giardini - All'ingiro colonnato dorico - Fontana nel mezzo.
Nidio, Alfeo, Labdaco, Etere, Patrizi, Nocchieri, poi Dejanice.
Sovra ricchi cuscini babilonesi, stanno mollemente adagiate le Etere con plettri dorati. Citariste.
Danza delle Etere.
LE ETERE
(accompagnate colle citare dalle Citariste)
Degli ènei tripodi
ai calidi profumi,
dell'ignee perle
ai moribondi lumi,
brevi son l'ore
all'afrodisio metro...
e canta Amore,
s'anco inerti le dita, il vago plettro!
Amor, delizia
celestialmente umana,
amplesso olimpico
e voluttà profana!...
Di molli lagrime
grava le ciglia un vel,
perché riapransi
affascinate dall'ebbrezza in ciel.
CORO DI PATRIZI E NOCCHIERI
(entrando vivamente)
Evohé! Evohé!
Ambre sui tripodi,
narcisi, balsami,
musiche, faci!
Le ridde, il turbine,
gli ebri deliri,
i nappi, i baci!
Ad Afrodisia
il vieto metro
non gema il plettro!
Una si canti
una si crei
madre d'incanti
nuovi agli dèi,
irresistibile
divinità!
La voluttà!
Durante questo Coro, comparisce Dejanice nello strano abbigliamento delle indovine egizie; essa si aggira inquieta come in traccia di taluno che non si trovi; i Nocchieri le si fanno intorno e' mentre essa vorrebbe sottrarsi inosservata la traggono verso il proscenio. Ha il volto coperto di un velo fittissimo. Le Etère s'alzano e le si fanno intorno.
LE ETERE
Un'egizia! Un'egizia! Una sibilla!
Su qual fatata spuma
vogasti a noi dai culmini di Cuma?
Strappa la cetra, ti contorci e strilla!
(alcune citariste le pongono in mano una cetra)
DEJANICE
Una cetra perché? Dove la voce
cantando piange?
Derisïon atroce!
L'Egizia canta e il vil strumento frange!
(getta e spezza sdegnosamente la cetra)
Colà, nell'oasi
verde dell'arido
saaro deserto,
le rose s'amano,
come le vergini,
a cielo aperto.
Là non ricovera
arcani palpiti
la chiusa tenda...
Come il sol fulgido
l'amore libero
è senza benda...
Fu là, nel fascino
dei caldi rai,
fu là che amai!
Ecco! Lo scalpito
odi dell'arabo
bianco corsiero?
A volo, a turbine
giunge da Nubia
il bel guerriero!
A terra ei balza,
e dal mio turgido
seno anelante
un grido s'alza!
Grido ch'ei soffoca
col bacio amante!
È lui! È lui!
Fu là che, ahi misera!
Amata io fui!
Ché non ritorni,
ché non ritorni?
Le notti piangono...
d'amplessi vedova,
per me si velano,
a bruno i giorni!
Deserta è l'oasi...
sole... errabonde
vagan gazzelle!...
Più non riflettonsi
sulle mie sponde
le amiche stelle!
Spenta ho ogni brama...
non ho più lagrime...
ei più non m'ama!
Durante la canzone di Dejanice, Labdaco, confuso tra i Nocchieri cartaginesi, ne ha seguite con crescente attenzione le mosse, e ha fatto parte a' suoi Compagni delle sue impressioni.
LABDACO
(accostandosi a Dejanice, sottovoce)
D'Irambo e Leuco, o Egizia,
novella mi sai dar?
DEJANICE
(come punta dall'aspide, fra sé)
(Scoperta son! Oh fulmini!)
LABDACO
(ritornando verso Nidio ed Alfeo)
È vano il dubitar!
(nel frattempo Nidio ed Alfeo han dato parte ai siracusani delle rivelazioni di Labdaco, con gesti significativi, additando Dejanice; i greci alla lor volta parlano sommessamente alle citariste)
LABDACO
Non val la larva ~ delatrice,
che al re corsaro ~ rubò l'amplesso,
sol per rivenderlo ~ a peso d'or.
CORO
Onde il sapesti? ~
LABDACO
Dardano istesso
me lo svelava! ~
CORO
Infamia! Orror!
Oh la beffarda! ~ Oh la bugiarda!
che ruba a Diana ~ la castità!
Tutti contamina... ~ sgombri di qua!
(Labdaco scompare; Nidio, Alfeo e il coro appressandosi a Dejanice, circondandola)
CORO
Ché ti chiudi a biechi ludi
o mendace in falso vel?
Sfolgorar i seni ignudi
che non fai davanti al ciel?
Te non ha dell'orgia oscena
fatta sazia il saturnal?
Si fa sfinge la sirena;
nota sei... mentir non val!
Qui gli amplessi, a prezzi infami,
non si vendono... si dan!
L'uom, cui dir tu puoi che l'ami,
leghi e vendi al suo tiran!
DEJANICE
O crudeli, la mercé
d'un pugnale si accordi a me!
CORO
Cortigiana! ~ Delatrice!
Di costà rimovi il piè!
ADMETO
(che è entrato alle ultime parole del Coro)
Forse è solo un'infelice...
s'ella è tale, è sacra a me!
DEJANICE
(fra sé, con accento disperato)
(È vendetta inesorata,
sommi dèi, la sua mercé!)
CORO
(allontanandosi e volgendosi indietro, con accento di scherno)
Cortigiana!... Delatrice!...
bel campion, rimanga a te!
(escono)
Dejanice, Admeto.
ADMETO
Strappa il tuo vel... Dimmi chi sei... Perché
giovar ti possa!
(Dejanice cade im ginocchio davanti ad Admeto e si scopre senza proferir parola)
Tu!... Tu... In tanto abisso
cader potesti?... No!... Dimmi che menti!...
Dimmi che un reo mistero...
DEJANICE
Ahimè! Perdona!
ADMETO
Ahi! Dunque, ahi! Dunque è vero?
DEJANICE
Pietà, pietà, m'uccidi!
ADMETO
Tra noi s'uccide, o femmina,
solo chi s'odia o s'ama!
Con le tue pari macchiasi
sin d'un pugnal la lama!
Donna e patrizia, scendere
sì basso hai tu potuto?
Dimmi a qual prezzo a Dardano
Admeto hai tu venduto?
Dillo! E, se vuoi dell'or
colmar te n' posso ancor!
DEJANICE
(rialzandosi e indietreggiando inorridita)
A me dell'oro! Barbaro
ché non mi squarci il cor!
Straziata, offesa ~ del vitupero
segnava il patto ~ coll'uom fatal...
Ma il redimeva ~ sacro un pensiero,
quel di salvarti ~ dal suo pugnal!
Admeto, oh guardami, ~ mentia l'incanto
di quell'amplesso ~ che mio ti fe'?
Mentir potevano ~ i baci, il pianto
che sparsi misera! ~ in seno a te?
Io non t'amava? ~ Io ti vendea?...
Oh! No - T'è noto ~ io non son rea!
Di' che non m'ami ~ e a carni infami
sparmii il tuo ferro ~ la tua pietà!
A far finita ~ l'orribil vita,
solo il tuo sprezzo ~ bastar potrà!
ADMETO
(Tortura orribile! ~ Dubbio codardo!
Forse più misera ~ che infame ell'è!)
DEJANICE
Admeto, ascoltami! ~ sol d'un tuo sguardo,
d'una parola ~ chiedo mercé!
ADMETO
(con impeto imperioso)
Ed osi ancora? ~ lungi da me!
DEJANICE
(manda un grido)
Menzogna! Menzogna ~ sei bella e felice,
l'amplesso t'inebrii ~ di un altro amator!
Ritenta il tuo ludo, ~ fatal delatrice,
suggella la morte ~ col bacio d'amor!
DEJANICE
Admeto!
ADMETO
Mi lascia!
DEJANICE
Admeto, m'ascolta!
La morte ti chiedo ~ la morte a' tuoi piè!
ADMETO
I numi, i mortali ~ qui t'abbiano assolta,
memoria d'infamia ~ tu resti per me!
La respinge. Dejanice cade svenuta. Admeto s'allontana rapidamente.
Due porte sui due lati. - vano che dà sul mare, nel fondo. - Lampade di bronzo pendono dagli architravi. - Notte profonda.
Dejanice sola.
All'alzarsi della tela, Dejanice entra in scena dalla porta a sinistra, che immette alle stanze di Dardano. Essa è avvolta in un peplo ruvido e scuro.
DEJANICE
Sopito è il veglio. Dei letali gigli,
che furtiva posai nell'empia stanza,
n'avrà ben tosto intorpiditi i sensi
l'acre profumo. E di più lungo sonno
quel sopor fia foriero. Argelia veglia
sola, col suo dolor. Sinistri gemiti
mugola il vento e n'ha ben donde, come
talun che canti di agonie vicine.
Sbarriam vani e pertugi, onde non possa
le vietate porte
ch'una, una sola
ospite attesa penetrar: la morte!
Morte! Mistero eterno
dei mar, dei cieli al par,
sorgi dal freddo Averno
due tombe a spalancar!
Sorgi e, terribil dea,
spegni nel tuo furor
un empio ed una rea,
un odio ed un amor!
Admeto! Admeto!
Oh! La tua man m'avesse
allor squarciato il seno!
Avrei potuto almeno,
guardandoti, morir!
E tra i celesti spasimi
del moribondo petto
ti avrebbe benedetto
l'ultimo mio sospir!
Follia sperar per me
dal ciel sì gran mercé!
Argelia! Admeto!
Io v'unirò le labbra
nei desiati baci,
vi ridarò quell'estasi
che nome ha solo in ciel!
Io tenterò frattanto
le interminate paci
tra le pareti gelide
d'un ignorato avel!
Dejanice e Dardano.
Dardano alle ultime parole di Dejanice entra in scena pallido, scarmigliato, barcollante. Dejanice scorgendolo si ritrae nell'ombra.
DARDANO
DEJANICE
Ti guata negli occhi ~ la morte con me,
t'ancide il rimorso ~ con l'ugna fatal,
è l'ultimo lampo ~ che sfolgora a te,
è l'ultimo affanno ~ che il petto ti assal!
DARDANO
DEJANICE
Fantasma non sono ~ non son visïon...
di carni cocenti ~ vestita son io,
ministra fatale ~ del funebre dio
la vittima io sono ~ che nega perdon!
DARDANO
DEJANICE
(brandendo un pugnale)
Non la vedrai ~ più in terra mai
com'io colui ~ non rivedrò!
In mano mia ~ fellon tu stai...
perir tu déi ~ pietà non ho!
Lo spinge nella stanza ove lo segue. Un grido soffocato, poi lungo silenzio.
Dejanice e Admeto dall'interno.
Dejanice rientra in iscena pallida, esterefatta, vacillante. Cade accasciata sovra un sedile, stringendosi il capo tra le mani.
ADMETO
(dal mare)
Cessato il vento, fanciulla, ha il suo pianto,
perché tu ascolti il mio misero canto,
misero canto pieno di dolore,
come quello del cigno, allor che muore!
DEJANICE
(trasalendo)
La voce sua! Non sogno! È desso! Ei viene!
Corre al vano del fondo e lo spalanca. - La luna illumina la scena.
DEJANICE
Ed Argelia lo attende! Ecco! È il fruscio
della sua vesta... Ei vien! L'ultima prova
riserba il nume al sacrifizio mio!
(esce rapidamente)
Argelia, Admeto, più tardi Dejanice.
Argelia esce dalle sue sale bianco vestita, col velo e la ghirlanda delle fidanzate. Ha in una mano un doppiere, nell'altra una piccola anfora d'oro che depone sul tavolo a destra.
ARGELIA
Ben dici, Admeto... Pieno di dolore
come quello del cigno allor che muore!
ADMETO
(entrando dal vano del fondo)
Sei tu?
ARGELIA
Son io.
ADMETO
Come raggiante sei!
ARGELIA
Non porto il velo delle nozze? È giunto
il sospirato dì! Labdaco tutto
a me narrò. Sopito è il veglio infermo
e troverà domani compiuto il rito!
ADMETO
Pur...
ARGELIA
Vacilli?...
ADMETO
Per me non già. Segnato
è il mio destin funesto, irrevocabile!
Ma tu sì bella, tu nel primo fiore
degli anni, ancor non puoi trovar sorrisi
nella vita?
ARGELIA
Non più! Volano l'ore!
Argelia leva da uno stipo un vassoio, con due calici d'argento e li depone sul tavolo, accanto all'anfora d'oro. Poi leva da un cofano due mazzi di fiori che dispone un due piccole conche d'alabastro.
ARGELIA
(con sorriso di tristezza ad Admeto)
Nulla più manca al nuzïal banchetto!
Qui son calici e fior. Vieni!... T'aspetto!
(Argelia e Admeto siedono vicinissimi uno all'altro)
ADMETO
Mira! Son presso a spegnersi
le addolorate faci,
siccome amanti spiriti
allo spirar dei baci!
Odi! Di eteree cetere
il virginal sospir!
Come funesto è il vivere
quando si può morir!
ARGELIA
Mira! Le stelle gemine
brillan nei campi d'or!
L'han spente in terra l'Odio
le unisce in ciel l'Amor!
Vieni insertiam la palma
nell'ultimo sospir!
È pur soave e calma
l'ebbrezza del morir!
ARGELIA E ADMETO
Mesciam nel mesto calice
la pietosa stilla
sino che l'aure tacciono
sino che il ciel scintilla!
Lasciam la fragil veste!
Quest'ultimo dolor
alla pietà celeste
confida il nostro amor!
DEJANICE
(contemplando i due amanti con la più viva emozione)
Ciel! Quanto ei l'ama! E quanto
s'aman, se san morir!
Oh l'inaudito schianto!
Oh! l'orrido martir!
Argelia versa dall'ampolla d'oro il liquore in due calici. I due amanti li toccano insieme.
ARGELIA, ADMETO
L'ultimo bacio in terra, il primo in ciel!
S'abbracciano. Argelia si stacca per prima dall'amplesso convulso di Admeto. Mentre stanno per appressare le labbra ai calici, irrompe Dejanice, e getta a terra slanciandosi in mezzo a loro le tazze avvelenate. Admeto ed Argelia si alzano vivamente, in preda alla massima agitazione.
DEJANICE
Non voi! non voi! Perire altri qui dée!...
Barriera insuperabile
tra voi s'alzava un odio ed un amore!
L'odio fu spento! Mira!
Trascina Admeto davanti alla porta di Dardano e la spalanca. Admeto manda un grido di raccapriccio.
DEJANICE
Dardano è morto e Dejanice muore!
Si trafigge e cade fulminata, Argelia cade riversa sullo scanno. Admeto le s'inginocchia davanti.
Cala la tela.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 01/12/2018
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
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