DALLA BEFFA IL DISINGANNO
Dramma buffo.
Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.
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Libretto di Angelo ANELLI.
Musica di Giovanni PACINI.
Prima esecuzione: 12 gennaio 1817, Milano.
Personaggi:
DONNA ARISTÉA zia di |
contralto |
ALBINA promessa sposa a |
soprano |
SANDRINO |
tenore |
GIOVAN MATTEO amico, e amante di Donna Aristéa |
basso |
NARDONE lustra stivali |
basso |
FIAMMETTA cameriera di Albina |
soprano |
Un paesano. Un servitore. Un usciere della procura.
La scena è un villaggio di questo mondo.
[Avvertimento]
Per una gara collo Scannamuse in meno di otto ore il presente dramma fu inventato e dettato da Gasparo Scopabirbe.
Piazza d'un villaggio.
Sandrino e Fiammetta, indi Donna Aristéa al braccio di Giovan Matteo.
SANDRINO
La zia per la nipote
so che soffrir conviene:
ma veggo certe scene...
che non mi so frenar.
FIAMMETTA
Ella è due volte buona
a credere a quel tristo...
Ma della mia padrona
non voglio mormorar.
SANDRINO
Quell'impostor birbante...
FIAMMETTA
Eccoli appunto insieme.
Insieme
SANDRINO
Perché d'Albina amante
io deggio simular?
FIAMMETTA
Della nipote amante
dovete simular.
(esce Giovan Matteo con ombrellino dando braccio a Donna Aristéa)
GIOVAN MATTEO
Sì voi siete, a me credete,
poetessa singolar.
Scriver voglio al Campidoglio,
che vi mandi a incoronar.
DONNA ARISTÉA
Voi pur siete una gran cosa,
un gran fiore di virtù.
Come voi, chi scriva in prosa
no in Italia non c'è più.
GIOVAN MATTEO
Degna amica...
DONNA ARISTÉA
Illustre amico...
GIOVAN MATTEO, DONNA ARISTÉA
Da noi due, l'ho detto e il dico,
converrà, che omai dipenda
chi vuol fama, e cerca onor.
(ridendo in disparte)
Insieme
FIAMMETTA
Ah!... si grattano a vicenda
SANDRINO
Oh che pazza! oh che impostor!
SANDRINO
Donna Aristéa...
DONNA ARISTÉA
(con aria burbera)
Lasciatemi!
SANDRINO
Ma...
DONNA ARISTÉA
Mi seccate invano...
SANDRINO
(indicando Giovan Matteo)
Conosco già le cabale
di questo ciarlatano.
DONNA ARISTÉA
(con gran collera a Sandrino)
Ah temerario! ah indegno!
GIOVAN MATTEO, FIAMMETTA
Signora mia...
DONNA ARISTÉA
Lo sdegno
mi fa il cervel girar.
Insieme
DONNA ARISTÉA
La collera mi piglia:
ognun mi stia lontano:
qui tutto si scompiglia:
ogni consiglio è vano:
Oreste colle furie
in me sentir mi par.
GIOVAN MATTEO, SANDRINO, FIAMMETTA
La collera la piglia:
ognun le stia lontano:
qui tutto si scompiglia:
ogni consiglio è vano:
Oreste colle furie
in lei veder mi par.
DONNA ARISTÉA
(a Giovan Matteo)
Son mie le vostre ingiurie:
vi voglio vendicar.
DONNA ARISTÉA
Trattar da ciarlatano in faccia mia
un ser Giovan Matteo?...
SANDRINO
Signora mia,
sapete che, qual zia della mia sposa,
vi rispettai fin or. Ha omai due mesi,
che con Albina io stesi
il contratto nuzïal, quando costui...
DONNA ARISTÉA
Olà vi dico: a lui
più rispetto...
GIOVAN MATTEO
Eh! lasciate...
lasciatelo ciarlar: io non ci bado.
FIAMMETTA
(La padroncina ad avvertire io vado.)
(parte)
SANDRINO
Se avessi a dirvi...
DONNA ARISTÉA
E che?...
SANDRINO
Tutti omai sanno,
che buon capo è costui.
DONNA ARISTÉA
Non più. Chi offende
gli amici miei non m'è più amico. Albina
più vostra esser non può da questo istante.
SANDRINO
Per questo poi...
(a Giovan Matteo)
Ci rivedrem, birbante.
Donna Aristéa e ser Giovan Matteo.
DONNA ARISTÉA
Son fuor di me: di rabbia
non so quel che farei. Andiamo: io voglio
obbligar mia nipote
la scrittura a stracciar con quell'indegno.
GIOVAN MATTEO
Mia signora, lo sdegno
vi fa troppo scaldar la fantasia.
Nessun può far ch'io sia
da men di quel ch'io son. Pensiamo a cose
di voi, di me più degne: e seguitiamo
per l'onor delle lettere italiane
a morder, come cani,
quanti han fama oggidì fra gl'italiani.
DONNA ARISTÉA
Va ben: ma insiem bisogna
lodar gli amici miei.
GIOVAN MATTEO
Capperi! E insieme
anche i dotti stranier.
DONNA ARISTÉA
Questo mi preme.
Più, che all'Italia, io voglio
esser nota all'Europa.
GIOVAN MATTEO
Orsù: lasciate.
Ma non vi riscaldate
con nessuno per me: finché sicuro
io son del vostro amor, di stil non cangio:
calunnio i dotti, e a spese loro io mangio.
Nardone con sua cassetta da lustra stivali, poi Sandrino.
NARDONE
Ah! ah! che mondo matto!
Osservo in ogni loco,
che gli uomin presso a poco
fan tutti il mio mestier.
Io lustro gli stivali:
or certi di quei tali,
cui vedi questo e quello
qua e là far di cappello,
cui dir senti illustrissimo,
signor... monsieur... messer...
chi son?... si può saper?...
Sono, se ben ci vedi,
tanti stivali in piedi,
che, nel di dentro vôti,
si fan lustrar di fuor.
Ah! ah! questa si noti,
ch'è degna d'un dottor.
Gran testa che è la mia! Come soldato
mezzo mondo ho girato. Or me la passo
allegramente, e conto
per le mie bizzarrie molti avventori.
I zerbini e i signori
corron tutti da me: lavoro assai;
ma sempre a mezzo giorno ho terminato.
Poi di quanto ho pigliato,
per procurarmi un poco di sollievo,
ne mangio una metà, l'altra la bevo.
SANDRINO
Ecco l'uomo a proposito: Nardone,
ho bisogno di te.
NARDONE
Son qua, padrone.
Comandate.
SANDRINO
Conosci
quel ciurmador che qui donna Aristéa
condusse a villeggiar?
NARDONE
Volete dire
quel brutto ceffo che ha gli occhiali, e alloggia
là in casa...
SANDRINO
Sì.
NARDONE
Ha molt'anni, in un paese
l'ho visto in altro arnese...
SANDRINO
Ed egli ti conosce?
NARDONE
Oh!... quella faccia
non conosce che i ricchi, e la focaccia.
SANDRINO
Orsù: vien meco.
NARDONE
E dove?
SANDRINO
A travestirti
da filosofo.
NARDONE
E poi?...
SANDRINO
Ti dirò tutto
ciò che hai da far.
NARDONE
Ma io, che sono un asino,
come faccio il filosofo?
SANDRINO
Per bacco!
Non hai girato il mondo?
NARDONE
E che per questo?
SANDRINO
Dì sol quel che sai dire, e schiva il resto.
NARDONE
Ma fare il dotto è impresa ardita assai...
SANDRINO
Alle corte: se sai
lodar donna Aristéa, se farti amico
Giovan Matteo tu sai, sai tutto, a basta.
NARDONE
Ma se il furbo mi tasta?
SANDRINO
Un altro furbo,
par tuo, no 'l dée temer.
NARDONE
Or bene...
SANDRINO
Andiamo.
Se ottieni quel che io bramo,
ti do venti zecchini.
NARDONE
A tal scongiuro
la cassetta mi casca.
Venti zecchin?...
SANDRINO
Conta d'averli in tasca.
(partono insieme)
Sala.
Albina sola, indi Giovan Matteo e Donna Aristéa.
ALBINA
Un'amante, come me,
no, non v'è, né vi sarà.
Serbo ognor costanza e fé,
e Sandrino lo dirà.
M'è gran pena il dir di no:
gran piacer m'è il dir di sì:
la mia sorte ancor non so...
Quando, amor, verrà quel dì?
Dacch'è venuta in villa a ritrovarmi
questa signora zia,
io non son più padrona in casa mia.
Poetessa, qual è piena di boria,
non mira, che alla gloria; e alfin non pensa,
se non a far carezze a chi l'incensa.
Il mio Sandrin ch'è schietto, e da quel furbo
di ser Giovan Matteo tutto diverso,
non le va troppo al verso, e temo assai,
che rabbiosa, qual è...
GIOVAN MATTEO
Eccola. Dite
l'affare a lei...
DONNA ARISTÉA
Nipote mia, sentite.
ALBINA
Son qua; signora zia.
DONNA ARISTÉA
Se l'onor vostro
v'è caro, e l'onor mio... se infin m'amate...
subito lacerate
la scrittura nuzial, con quel Sandrino.
GIOVAN MATTEO
Non avvi un chiaccherino, un saputello
più insolente di lui.
ALBINA
Piano; bel bello...
Per qual ragion?
DONNA ARISTÉA
Perché poc'anzi offeso
ha ser Giovan Matteo. Sciocco... insolente...
Oltraggiar quel saccente...
quel novello Demostene, che amando
pe 'l comun ben di parlar schietto e tondo,
non teme di sfidar l'odio del mondo?...
ALBINA
Ma, cara zia... Sapete, che le nozze
s'avea da far in questo mese istesso...
Sapete pur che adesso
è coi parenti omai corso l'invito...
DONNA ARISTÉA
Tanto fa: con colui, tutto è finito.
GIOVAN MATTEO
Per me, signora mia, già ve l'ho detto,
vivo del mio concetto,
né mi curo d'alcun; lasciate pure,
ch'ella sposi chi vuol.
DONNA ARISTÉA
(ad Albina)
No, no: sapete
il mio voler qual è... non rispondete?
ALBINA
Che posso dir?... vorrei
compiacer una zia che tanto io stimo.
Ma poi...
DONNA ARISTÉA
Che ma?... V'intimo
di non pensar più a lui.
ALBINA
Mi spiace assai...
ma non posso obbedir...
GIOVAN MATTEO
(piano a donna Aristéa)
(Che petulante!)
DONNA ARISTÉA
Sei mia nipote.
ALBINA
Sì, ma sono amante.
DONNA ARISTÉA
A una donna, quale io sono
tu parlar osi in quel tuono?...
Scioccarella... temeraria...
or vedrai quel ch'io so far.
GIOVAN MATTEO
(all'orecchio di donna Aristéa)
(Brava! bene! Ha preso un'aria
che non è da sopportar.)
ALBINA
Fare a me di queste scene?...
Distaccarmi dal mio bene?...
Son nipote, e non già schiava,
e Sandrino io vo' sposar.
GIOVAN MATTEO
(all'orecchio d'Albina)
(Questo è giusto: bene!... brava!...
ciarli pur, se vuol ciarlar.)
DONNA ARISTÉA
Tanto ardir con una zia?...
ALBINA
Sono alfine in casa mia.
ALBINA, DONNA ARISTÉA
Già mi scappa la pazienza...
non mi posso più tener...
GIOVAN MATTEO
(ora all'una, ed ora all'altra)
Via, calmatevi: prudenza:
fate bene a non tacer.
DONNA ARISTÉA
Vedrai con tuo periglio
di questo ciglio il lampo.
Non troverai più scampo
dal giusto mio furor.
ALBINA
Divien più poetessa
nella sua bile ognor.
GIOVAN MATTEO
Oh egual sempre a voi stessa
nell'ira, e nell'amor!
ALBINA
Voi... ciarlatan, voi siete
cagion d'ogni scompiglio.
(a donna Aristéa)
Badate al suo consiglio,
che vi fa grande onor.
GIOVAN MATTEO
Giacché voi mi dite tanto,
io d'impedir mi vanto
le nozze di Sandrino
che fa con me il dottor.
DONNA ARISTÉA
No: non lo sposerete,
l'ho detto e terrò duro...
per quell'Omero il giuro,
che mal conosco ancor.
ALBINA
Eh! via...
Insieme
DONNA ARISTÉA
Mi beffa ancora.
GIOVAN MATTEO
Vi beffa ancora.
ALBINA
Men caldo, mia signora.
DONNA ARISTÉA, GIOVAN MATTEO
Ah! quei modi impertinenti...
tollerar non voglio affé.
ALBINA
Torno a dirvi fuor dei denti,
che nessun comanda a me.
Insieme
DONNA ARISTÉA
Orrende larve e spettri,
ond'è il mio stil sì chiaro,
che alzai tra fasci e scettri
l'onor del calamaro,
scagliatevi... punite
quel temerario ardir.
GIOVAN MATTEO
(ad Albina)
Non fate il bell'umore,
mia cara signorina.
(a donna Aristéa)
È degno un tal furore
d'un'anima latina.
(Or che attizzato ho il foco
mi voglio divertir.)
ALBINA
(ridendo)
(Ah... ah! colle sue furie:
no... non mi fa spavento.)
(a donna Aristéa)
Sol della vostra collera
treman le zucche al vento,
(a Giovan Matteo)
voi qui attizzate il foco:
ma vi farò pentir.
ALBINA
Non più: vedrem fra poco...
DONNA ARISTÉA, GIOVAN MATTEO E ALBINA
...com'ella andrà a finir.
Fiammetta sola, indi Giovan Matteo.
FIAMMETTA
(verso la scena)
Restate in quella stanza, e alla padrona
vi vado ad annunziar. Chi sarà mai
questa brutta figura?... Egli s'annunzia
un filosofo, e a me pare un babbeo.
FIAMMETTA
Oh appunto... udite ser Giovan Matteo.
(che trapassa la scena)
V'è fuori in anticamera un cotale
che fuor del naturale
è vestito... e filosofo si chiama.
GIOVAN MATTEO
Ebbene?...
FIAMMETTA
Per madama,
m'ha detto, ch'ha una lettera, e domanda
di presentarsi a lei.
GIOVAN MATTEO
(Per bacco! io non vorrei... che qui venisse...
a vogarmi sul remo... Eh! niente, niente...
Donna Aristéa già sente
qual bisogno ha di me.)
FIAMMETTA
Dunque...
GIOVAN MATTEO
Fiammetta,
tu qui un momento aspetta: ed io me n' vado
per madonna Aristéa. Tien l'occhio a lui.
(Gran voglia ho di saper chi fia costui.)
(parte)
FIAMMETTA
Non so come ad un uom di questa fatta
possa donna Aristéa portare affetto.
Questo ciarlon l'occhietto
fa pure a me. Che bel zerbin! Ha un muso
che è brutto fuor d'ogni uso;
mi volta fin lo stomaco; mi pare
un gufo, un pipistrello, una beccaccia:
e credo ch'abbia il cor, come la faccia.
Non vo' ch'ogni galante
sia bel, come un narciso;
ma ch'abbia almanco un viso
che non vi faccia orror.
Per me, se presto o tardi
ho da pigliar marito,
voglio appagar gli sguardi,
lo vo' gentil... pulito...
ma ch'abbia sopra tutto
le qualità del cor.
(parte)
Albina sola, indi Donna Aristéa con Giovan Matteo.
ALBINA
(chiudendo un biglietto e mettendoselo in seno)
Mi scrive il mio Sandrin segretamente
che qui verrà un filosofo; ch'io finga
d'adattarmi a sposarlo,
se la zia me 'l dirà: io non vorrei
che Sandrin mi mettesse in qualche imbroglio...
DONNA ARISTÉA
Un filosofo?... Ebben: fate che passi.
GIOVAN MATTEO
Narran che bestie e sassi
a sé traesse Orfeo... ma voi, signora,
con modi assai più grati
traete a voi le bestie, e i letterati.
ALBINA
(Senti lo scaltro.)
DONNA ARISTÉA
Il mio
favor più, che il mio nome, han molti a cura.
GIOVAN MATTEO
Ecco qua quell'amico...
ALBINA
Oh! che figura!
Nardone in abito da filosofo e detti.
NARDONE
Gran donna, a voi che, celebre
del mondo in ogni parte
giungeste in questo secolo
a dominar le carte,
se 'n vien Pasqual Dal Manico
famoso ambulator.
E dello stil lucanico
furente ammirator.
DONNA ARISTÉA
Che sento!... qual contento!...
Qual mia ventura è questa?
ALBINA
(Ah... ah... mi vien da ridere)
GIOVAN MATTEO
(Si scalda già la testa.)
ALBINA, GIOVAN MATTEO
(Sol ché la lodi, un asino
diventa un gran dottor.)
DONNA ARISTÉA
Conosco il vostro merito.
(Mi balza in petto il cor.)
NARDONE
(La matta è presa; or cogliere
saprò quel furbo ancor.)
DONNA ARISTÉA
Ehi... da seder.
ALBINA
(Costui senz'altro è quello,
di cui Sandrin mi scrive.)
DONNA ARISTÉA
(in disparte a Giovan Matteo)
Ebbene, amico?...
che vi par di quest'uomo?
GIOVAN MATTEO
Ha un far da scaltro...
parla da sciocco... il credo e l'uno, e l'altro.
NARDONE
Scusate in grazia quella signorina!...
DONNA ARISTÉA
È mia nipote.
NARDONE
Come è fresca e bella!
Maritata?...
ALBINA
Zitella.
Ma in breve...
NARDONE
Ah!...
GIOVAN MATTEO
Che avete?
NARDONE
Oh! niente... niente...
Mi passa per la mente,
che son nubile anch'io. Ma voi... m'inganno?...
no... voi siete il gran Plinio
de nostri dì Giovan Matteo Pitali:
me 'l dicon quegli occhiali...
DONNA ARISTÉA
Il conoscete?
NARDONE
Per fama... non volete? E qual fra i dotti
v'ha mai, che non conosca un uomo tale?
Oh moccolo... oh fanale
di questa nostra età! La calda voglia
di conoscer voi pur m'ha qui condotto.
GIOVAN MATTEO
(a donna Aristéa)
(Mi conosce, e mi loda!... ei dunque è un dotto.)
DONNA ARISTÉA
(a Giovan Matteo)
Ebbene?...
GIOVAN MATTEO
(È un uom che sa.)
ALBINA
(Son curiosa
di quel ch'ei vorrà far.)
GIOVAN MATTEO
Voi non recate
per madonna una lettera?...
NARDONE
Sì: appunto...
Ma... vi dirò... (costui m'imbroglia... voglio
prima scoprir terren). Donna Aristéa
sa il greco... è vero?
DONNA ARISTÉA
(confusa)
(Che mi chiede mai?...)
GIOVAN MATTEO
Che serve? Ella il traduce: e bene assai.
NARDONE
E voi?
GIOVAN MATTEO
Così, così.
NARDONE
(Convien voltarla.)
L'arabo che si parla
per tutta l'Asia... lo saprete?
GIOVAN MATTEO
E come?...
L'arabo è qui fuor d'uso.
NARDONE
Che lo sapeste, avrei creduto al muso.
Me ne spiace.
DONNA ARISTÉA
E perché?
NARDONE
Perché la lettera
ch'io reco è appunto in arabo... ma... via.
La potrò spiegar io.
ALBINA
E chi la manda?
DONNA ARISTÉA
Si può saper chi sia?
NARDONE
Un can.
GIOVAN MATTEO
Che?
NARDONE
Sì. Il gran can di Tartaria.
DONNA ARISTÉA
Che ascolto!... Io mi confondo...
Gran sorte è inver la mia:
il can di Tartaria
mi fa sì grand'onor!
GIOVAN MATTEO
Tutto stordito è il mondo
dell'opre vostre in rima.
NARDONE
E l'altre alcun più stima,
che son da farsi ancor.
ALBINA
(Credere io posso appena
ciò che veder mi tocca:
non la credea sì sciocca...
affé mi fa stupor.)
DONNA ARISTÉA
Orsù: vediam la lettera.
ALBINA E GIOVAN MATTEO
Ne sono impaziente.
NARDONE
V'è un dono, oltre la lettera,
e un dono singolar.
ALBINA, DONNA ARISTÉA E GIOVAN MATTEO
Un dono?
NARDONE
Sì: un tesoro...
ALBINA
Cospetto!...
DONNA ARISTÉA
Or via...
GIOVAN MATTEO
Vediamo.
NARDONE
Vi servo.
ALBINA, DONNA ARISTÉA E GIOVAN MATTEO
Che facciamo?
NARDONE
(Or me la vo' cavar.)
ALBINA, DONNA ARISTÉA E GIOVAN MATTEO
Che state ad aspettar?
NARDONE
Son qua...
ALBINA, DONNA ARISTÉA E GIOVAN MATTEO
Vediamo.
NARDONE
Oh diavolo!
ALBINA, DONNA ARISTÉA E GIOVAN MATTEO
Ch'è stato?
NARDONE
Ah! dove sono?
non trovo più la lettera...
non trovo più quel dono...
Che dirà mai quel tartaro?...
Ah! non so più che far.
ALBINA, DONNA ARISTÉA E GIOVAN MATTEO
Chetatevi... Calmatevi,
quale accidente è questo!
NARDONE
Ah!... L'ho nella valigia.
(Bellissimo pretesto.)
Corro d'un salto a prenderla,
e subito son qua.
Tutti.
ALBINA, DONNA ARISTÉA E GIOVAN MATTEO
Su: presto... correte.
NARDONE
Vi servo: vedrete
la lettera, il dono.
Stordir vi farà.
(Or or viene il buono
da rider sarà.)
ALBINA
Andate... tornate...
v'aspetto... ma presto.
Grand'uomo ch'è questo!
Stupire mi fa.
Donna Aristéa, Giovan Matteo, ed Albina.
GIOVAN MATTEO
Alle corte; mi pare
un grand'uomo.
DONNA ARISTÉA
Anche a me.
(ad Albina)
Voi che ne dite?
ALBINA
Non saprei... voi capite...
quel ch'io capir non posso...
DONNA ARISTÉA
Oh! mia nipote...
se amaste il vostro ben, d'un uom sì fatto
v'avreste a innamorar, non d'un zerbino.
GIOVAN MATTEO
Ella del suo Sandrino
già non si può scordar.
ALBINA
Io vi protesto;
ché non ci penso più. (Vo dietro al vento
per gir più presto in porto.)
DONNA ARISTÉA
Se per moglie
ei vi volesse, io pur...
ALBINA
Se fossi certa,
che pari alla dottrina
fosse la sua moral...
GIOVAN MATTEO
Sentite, Albina.
Lasciate ch'io qui resti,
quando torna colui. Saprò assaggiarlo...
d'ogni parte squadrarlo; e, s'io vi dico,
ch'è un uom per voi, purch'ei non vi ricusi,
voi potete sposarlo ad occhi chiusi.
DONNA ARISTÉA
Bravo! Nipote mia, vien meco: andiamo.
Lascia pur fare a lui.
ALBINA
Vedremo... e poi...
DONNA ARISTÉA
Ah! se brami il tuo ben, ti fida a noi.
Giovan Matteo, poi Nardone.
GIOVAN MATTEO
Bello è il progetto in ver! Ei la nipote,
ed io la zia. Se, qual mi pare, è dotto,
io lo potrò di botto
all'alta impresa aver sostegno e sozio,
e farem di dottrina un gran negozio.
NARDONE
L'affare è qua... ma dove
andò donna Aristéa?
GIOVAN MATTEO
Torna a momenti.
Or parliamo tra noi.
NARDONE
(dopo aver guardato intorno)
Amico, ehi... senti.
T'ho veduto in Romagna...
GIOVAN MATTEO
(Ohimè! che ascolto!)
NARDONE
Diventi bianco in volto?
GIOVAN MATTEO
Io no...
NARDONE
So tutto.
Già c'intendiam...
GIOVAN MATTEO
Per carità...
NARDONE
Non parlo.
Ma il buon boccon... gustarlo
il vuoi tu sol?...
GIOVAN MATTEO
Io no... Sarem fratelli:
anzi... vuoi ch'io favelli,
come la penso?
NARDONE
Parla.
GIOVAN MATTEO
Avrai veduto
quella giovine...
NARDONE
Ebben?
GIOVAN MATTEO
Ti piace?
NARDONE
Assai.
GIOVAN MATTEO
È tua, se tu la vuoi.
NARDONE
(Che dirò mai?)
Per moglie?...
GIOVAN MATTEO
Ci s'intende!
NARDONE
Affé!... credea,
conoscendoti appien, tutt'altra cosa.
GIOVAN MATTEO
Ti dico, per tua sposa...
NARDONE
Cospetto! è un bell'affar. Ma e tu?...
GIOVAN MATTEO
Ti svelo
da vero amico i miei disegni. Sappi,
che ho genio per la zia... che s'ella il vuole,
suo sposo anch'io sarò.
NARDONE
Salute e prole.
GIOVAN MATTEO
Senti che tiro è questo:
amico, zio, collega,
faremo insiem bottega
di senno e di moral.
NARDONE
Quando è così, m'arrendo.
La mia virtù ti vendo.
Se con la tua l'accumuli,
sarà un gran capital.
GIOVAN MATTEO
Ma converrà far guerra
più, che agli sciocchi, ai dotti.
NARDONE
Vada ogni autore a terra,
o paghi i miei strambotti.
GIOVAN MATTEO, NARDONE
Va' che un grand'uom tu sei!
A noi questi babbei
han da cavar la fame,
o li farem tremar.
Comuni abbiam le brame,
comuni avrem gli affar.
(entrano insieme a destra; poi vedendo sortire le donne dalla sinistra tornano in scena)
Albina, Donna Aristéa e detti.
GIOVAN MATTEO
Amico: eccole qua. Donna Aristéa,
egli è, qual vi parea,
pien d'ogni qualità. Signora Albina,
è l'uom per voi: promesso
m'ha di sposarvi.
ALBINA
E faccio anch'io lo stesso.
(Riderem da ver.)
GIOVAN MATTEO
(indicando Nardone)
V'attende...
DONNA ARISTÉA
Come?...
Così presto è tornato?
ALBINA
Signore, ebbene?... avete poi trovato?...
NARDONE
Sì: tutto, ecco la lettera; leggete.
(dà la lettera a Donna Aristéa che l'apre)
Il don poi lo vedrete:
io l'ho già in tasca.
DONNA ARISTÉA
Che scrittura è questa?
NARDONE
Non vi ho detto, che è in arabo?
GIOVAN MATTEO
E in qual modo
può madonna capire, amico mio,
ciò che scrive il gran can?
NARDONE
Ve 'l dirò io.
(si fa dar la lettera e legge)
Carminar farisea. Vuol dir tempesta
di pietra fine che vi caschi in testa.
GIOVAN MATTEO
(a Donna Aristéa)
È una frase orientale...
(Che briccon!)
(Giovan Matteo ascolta, guarda lo scritto, e a quando a quando ripete alcune delle parole che legge Nardone)
NARDONE
Carpognin scrocca panetto
referendaria scannabua rinego
finisco tutto il senso, e poi lo spiego.
Ostrica... fracuccù... marran, galera...
Remo... Aristarca; or ve la spiego intera.
GIOVAN MATTEO
L'arabo, a quel che sento,
è una lingua sonora.
DONNA ARISTÉA
Via, che vuol dir?
NARDONE
Vi servo, o mia signora.
De' tartari il gran can, flagel dei cani,
un don per le mie mani
manda a donna Aristéa; ma con un patto,
ch'ei vuol pure il ritratto
che in questi dì fu fatto
di madonna Aristéa.
GIOVAN MATTEO
Che ne vuol fare?
NARDONE
Ei lo vuole appiccare
in una sua moschea; dove fa conto,
ch'abbia donna Aristéa più di Macone,
e degli altri suoi numi,
quanti ella mai pretende incensi e fumi.
GIOVAN MATTEO
Cospetto! Questo cane
vi fa un onor!...
NARDONE
(a Donna Aristéa)
Ei non ha letto mai
i vostri versi: eppur vi stima assai.
DONNA ARISTÉA
Son contenta.
ALBINA
(Che matta!)
Orsù: vediamo il don.
GIOVAN MATTEO
(Io già m'aspetto
qualch'altra bricconata.)
NARDONE
Eccolo.
(tira fuori una scatola, e da quella una corda di budello)
ALBINA
Come!
DONNA ARISTÉA
Questo è un boccon di corda da chitarra.
NARDONE
Per quel che il can mi narra,
è un dono singolar. È questa corda
una corda di cetra. Ma sapete
di chi era questa cetra?...
Sentitelo e stupite: era di Dante.
ALBINA
(Io schiatto.)
DONNA ARISTÉA
Oh che bel dono!
GIOVAN MATTEO
(Oh che furfante!)
DONNA ARISTÉA
Ma come in Tartaria?...
NARDONE
L'avea rubata
fin da trecento un arabo. Mangiato
n'han dopo i sorci una metà; ma spera
null'ostante il gran cane
che vorrete aggradir quel che rimane.
GIOVAN MATTEO
Cospetto! c'è che dir? Per una corda
della cetra di Dante
io mi faccio impiccar. Per certi vati
questa corda è un tesor. Donna Aristéa,
voi già capite quanto onor vi sia,
che qua torni per voi di Tartaria.
DONNA ARISTÉA
È vero! È vero! Il dono
è degno d'un gran can.
GIOVAN MATTEO
Per tua mercede,
amico, ti concede
Albina la sua man.
NARDONE
Bene... le nozze
noi le farem...
ALBINA
Quando vorrà la zia.
DONNA ARISTÉA
Tra mezz'ora.
GIOVAN MATTEO
(a Donna Aristéa)
E le nostre, anima mia?
DONNA ARISTÉA
Le farem tutti insieme.
GIOVAN MATTEO
Ah! ch'io vi bacio
le ginocchia... la man...
DONNA ARISTÉA
Lasciate... adesso
vo' sfogar quell'eccesso
del poetico ardor, che mi trasporta.
Oh Pindo! era già morta
la gloria tua. Risurge ora, e s'attiene
a questa corda e a me. Vati del giorno,
o state a me d'intorno a testa china
come a vostra regina; o ve ne andrete
senza pan, senza fama in fondo a Lete.
Esser tra i vati io voglio
prima non pur, ma sola.
In barba al Campidoglio
il nome mio già vola
per odi, canti, e cantiche
alle venture età.
Nipote, amico, sposo,
se amate il mio riposo,
fate per tutti i modi
ch'ogni giornal mi lodi.
E ognun, che intorno assorda
con versi ogni brigata,
per meritar la corda
che sol fu a me serbata,
conquida i miei nemici
e me li stenda ai piè.
Ah! se mi amate, o amici,
fatevi odiar per me.
(via)
Albina e Nardone.
ALBINA
Dunque, amico...
NARDONE
Che c'è?
ALBINA
Sandrin m'ha scritto...
NARDONE
E chi è questo Sandrin?...
ALBINA
Qual scena è questa?
NARDONE
Costui non so chi sia.
ALBINA
Perdo la testa.
NARDONE
Voi dunque, signorina, a quel che sento,
sarete la mia sposa.
ALBINA
Ma come va la cosa?...
NARDONE
Siamo intesi,
ch'io sarò vostro sposo,
e ser Giovan Matteo di vostra zia.
ALBINA
Ma Sandrin?...
NARDONE
Torno a dir, non so chi sia.
ALBINA
Mi burlate! io sposa a voi?
Come va codesto imbroglio?
Per marito non vi voglio,
se credessi di morir.
NARDONE
Ma pur or voi detto avete
d'accettarmi in vostro sposo:
voi perciò più non potete
la promessa ritirar.
Insieme
ALBINA
Giusto cielo! me meschina!...
voi ridete? intendo già...
NARDONE
State allegra, bella Albina,
che Sandrin vi sposerà.
Insieme
NARDONE
Seguite pur la trama,
siam con Sandrino intesi:
sol per servir chi v'ama
a mascherarmi io presi;
questa commedia in bene
fra poco andrà a finir.
ALBINA
Già chi voi siate ignoro:
eppur mi fido appieno.
L'amor di lui che adoro
ormai non ha più freno;
dopo sì lunghe pene
io spero alfin gioir.
Villaggio.
Giovan Matteo e Donna Aristéa
DONNA ARISTÉA
Sì: voglio arrendermi
al vostro invito.
A voi, pigliandovi
per mio marito,
in corpo e in anima
legar mi vo'.
GIOVAN MATTEO
Ah! mia carissima
donna Aristéa,
per quanto chiaccheri
l'invidia rea,
indivisibile
da voi sarò.
Insieme
DONNA ARISTÉA
Per dar più credito
a quanto ho scritto
costui m'è utile
che a torto o a dritto
con lodi e satire
servir mi può.
GIOVAN MATTEO
Fra tanti stimoli
dell'appetito
mi giova d'essere
di lei marito,
e a scrocco vivere
così potrò.
Fiammetta, indi Albina con Nardone e detti.
FIAMMETTA
A momenti col suo sposo
qui se n' vien la padroncina.
GIOVAN MATTEO E DONNA ARISTÉA
Ecco appunto.
NARDONE
Signorina,
non vi state a rattristar.
È Sandrino a noi vicino
più di quello che non par.
GIOVAN MATTEO, DONNA ARISTÉA
Affrettiamoci, o miei nipoti,
a compire i nostri voti.
Il notaro e i testimoni
stan là dentro ad aspettar.
TUTTI
Sopra i nostri matrimoni
quante ciarle s'han da far!
Sandrino con una Comparsa che porta la cassetta di Nardone, ed un Usciere della pretura.
(a Nardone che si spoglia, e comparisce coll'abito suo di prima, cioè di lustra stivali)
SANDRINO
Lévati omai quell'abito:
ecco la tua cassetta.
Vien qua: non aver fretta,
che ti vo' pria pagar.
(gli dà dei denari)
DONNA ARISTÉA, GIOVAN MATTEO E FIAMMETTA
Che vedo mai! che miro,
son fuor di me: deliro...
Colui... che beffa orribile!
Che posso far? che dir?...
NARDONE, ALBINA E SANDRINO
Rimasti son di sasso:
han lo stupor sul volto...
M'aspetto un gran fracasso:
dovrà il briccon fuggir.
ALBINA
Signora, è questo adunque
quell'uom sì dotto e degno?...
DONNA ARISTÉA
Giovan Matteo, che dite?...
È questi quell'ingegno
pien di dottrina e adorno
d'ogni moral virtù?
GIOVAN MATTEO
Signora mia... sapete...
che io... che voi... scusate...
DONNA ARISTÉA
Conosco ora chi siete,
pe' fatti vostri andate...
andate fuor dai piedi:
io non vi voglio più.
GIOVAN MATTEO
(con arroganza a Donna Aristéa)
Per quanto siate instabile,
signora poetessa,
terrete la promessa;
ve 'l dico in faccia...
SANDRINO
Orsù.
Qui non vogliam più scaltri,
raminghi e mal viventi,
ch'osano in casa d'altri
di far gl'impertinenti,
ite: il pretor ve l'ordina.
(l'usciere presenta a Giovan Matteo una carta)
GIOVAN MATTEO
(Tremo da capo a piè!)
GLI ALTRI
Muto, confuso e pallido
sente i suoi torti in sé.
SANDRINO
(a Donna Aristéa)
Voi pur fra i vostri lauri
o state omai tranquilla,
o andate liti a spargere
lontan da questa villa.
ALBINA, SANDRINO
Noi siam in casa nostra.
TUTTI
E da ridir non v'è.
DONNA ARISTÉA
Disingannata or sono.
Nipoti miei, perdono;
vadan le brighe al diavolo:
non vo' più acerbità.
TUTTI
Viva. Alla beffa il giubilo
succeda e il disinganno.
Chi semina discordie
sempre ha la beffa e il danno.
Forse a più d'un proficua
questa lezion sarà.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 27/05/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
(W)