L'AURORA INGANNATA
Favoletta in musica.
Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.
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Libretto di Ridolfo CAMPEGGI.
Musica di Girolamo GIACOBBI.
Prima esecuzione: anno 1605, Bologna.
Persone della favola:
AURORA |
soprano |
VENERE |
contralto |
PROCRI |
soprano |
CEFALO |
tenore |
SONNO |
basso |
ADONE |
contralto |
MORFEO |
basso |
AMORE |
soprano |
ECO |
soprano |
TITONE |
basso |
Le Grazie, Cacciatori.
Aurora, Venere.
AURORA
Cefalo, dove sei, garzon crudele?
O contraria mia sorte!
Là 've non giunge il piè risuonan forte
i miei tronchi sospiri,
le giuste mie querele,
e pur a' miei martiri,
fero già non rispondi.
Ohimè, dove t'ascondi?
Tu d'Amor genitrice,
che col bel viso adorno,
precorri il novo giorno,
pietosissima ascolta,
chi per soverchio amore
vive in dolore.
VENERE
Scopri, amante infelice,
nel profondo del cor tua pena involta:
che poc'arde o non ama
chi soccorso non chiama.
AURORA
Per bellezza infinita
colma di feritade
infinito è il desire,
infinito è il martire.
VENERE
Fero mostro, empia fera
è ritrosa beltade!
Misera, io t'ho pietade.
AURORA
Non giova la pietà senza l'aita.
VENERE
Alle tue voglie pronta, ecco m'avrai.
A gli amorosi guai soccorso spera:
dimmi l'angosce tue, narra gl'affanni.
AURORA
De' miei penosi danni
questo appunto saprai,
ch'amo Cefalo il crudo,
adorno di beltà, di pietà nudo.
VENERE
Se le vaghezze tue d'Amor tesoro,
(onde amoroso appare
il bel volto di rose e il tuo crin d'oro),
non potero destare
in quel rigido cor foco dovuto,
ah, sarà forse il mio
tardo soccorso intempestivo aiuto.
AURORA
D'esser gradita già non chiedo tanto,
se ben tanto desio
che quel garzon feroce
ne i cani e ne le fiere ha il cor sepolto.
E perché io l'amo, intanto?
Cinge di gelo il core, e d'ira il volto.
Ahi, ch'una sola voce,
una stilla di pianto
sdegna mirar, nega d'udire e poi
m'asconde ancora il sol de gli occhi suoi.
VENERE
Dunque, che brami tu, mia vaga amica?
AURORA
Ch'ei mi si scopra. E il piè fugace e lieve
non mova al corso, ohimè, pria ch'io gli dica
il mio tormento greve.
Tu vaga e bella dèa,
dammi questo contento,
che sai ben tu che fra le pene amare
è non amato amare,
è più crudo martoro
è pria morir che poter dir «io moro».
VENERE
Vanne, ch'io ti prometto
oprarmi al tuo diletto.
Aurora, Venere con le tre Grazie, Amore.
VENERE E LE GRAZIE
(coro)
Iº
Amor nume leggiadro,
ch'invece di ferir l'anime furi,
va', più ch'esperto arcier sagace ladro,
Cefalo, crudo e fero,
ribellante al tuo impero,
prendi, impiaga, innamora
de la sprezzata Aurora.
IIº
Tu, che i cori più saldi,
e del macigno ancor più freddi e duri,
col tuo poter incenerisci e scaldi,
Cefalo, crudo e fero,
ribellant' al tuo impero,
prendi, impiaga, innamora
de la sprezzata Aurora.
AMORE
Arde Cefalo, ed ama,
ama sì che non cura
nov'amorosa cura.
Arde sì, che sol brama
ch'eterno sia l'ardore:
dunque, come poss'io
far pago il tuo desio?
Come ferir quel core,
se non può aver un cor più d'un amore?
VENERE
Figlio, la tua possanza,
ogn'altra forza avanza.
AMORE
Madre, il mio non volere
mi toglie ogni potere.
VENERE
Dunque non vuoi?
AMORE
Non voglio.
VENERE
O fanciul pien d'orgoglio!
AMORE
O donna dispettosa!
VENERE
Figlio superbo e rio,
parto d'orsa crudel, non figliuol mio.
Non v'ho, né avrò mai posa,
fin che l'afflitta Aurora io non rimiri
contenta appien de' cari suoi desiri.
E dove non potranno
le forze aperte, adoprerò l'inganno.
Aurora, Cefalo, Coro de' cacciatori.
CEFALO E CACCIATORI
Iº
Aura dolce e diletta,
aura pura e gradita,
fiato gentil de le celesti sfere,
il tuo chiaro n'alletta,
il tuo fresco n'invita
a mirar, a godere
da quest'alte pendici
le bellezze del mondo allettatrici.
IIº
Ecco ne l'oriente
vaga magion del giorno,
scoprir le pompe sue nascendo il sole,
e col raggio lucente
fa' che spuntino intorno
le rose e le viole,
con cui s'adorna poi
Procri nel seno i caldi avori suoi.
AURORA
Odi, Cefalo ingrato,
bella e cruda cagion de' miei tormenti;
odi gl'ultimi accenti
d'un core disperato.
CEFALO
Dì pure, e quante, e quali
sian le tue pene rie,
ma non sperarmi amante,
ché le viscere mie
sono duro diamante,
e le preghiere tue qual vetro frali.
AURORA
Più non voglio pregarti.
(Così potess'io dir: «non voglio amarti!»)
Vedi miseria estrema:
tu mi sprezzi, io t'adoro,
tu m'uccidi, io non moro.
E pur quel duro cor non scaldi o pieghi;
crudele, accetta un don, se sdegni i prieghi.
CEFALO
Inespugnabil sono:
quel che non poté Amor, non potrà il dono.
AURORA
Queste mie chiome bionde,
queste guancie di rose,
queste luci gioconde,
questo sen d'alabastro,
queste poppe amorose,
me stessa al fine ed ogni mio desio
a te dono, ben mio.
O vago, o vivo scoglio,
tu non rispondi pur?
Lassa, ch'io veggio sfavillarti
ne gli occhi ira ed orgoglio.
O core di diaspro,
parla, ch'altro non chieggio.
Deh, non negar a chi per te vien meno,
se troppo è una parola, un cenno almeno.
CEFALO
Non con cenni o con segni,
ma con schietto parlare or ti fo chiaro
ch'emmi il tuo amare amaro.
Resta, ch'io t'assicuro
che m'agghiaccia il tuo ardore,
che i doni tuoi non curo,
che per te non ho core.
Aurora, Eco e le Grazie.
AURORA
Fuggi, garzon feroce.
Fuggi, che pur ti segue addolorata
l'anima mia con questa fioca voce
per restar consolata
dovunque andrai fuggendo,
(ché sempre fuggitivo ohimè ti vede).
Teco verrà lambendo
l'orma gentil del leggiadretto piede.
Questo è dunque il conforto,
o dèa di Pafo,
da te promesso?
ECO
...Esso.
AURORA
Chi mi risponde? Or tu, chi sei cui io tanto
movo a pietà del dolor mio?
ECO
...Io.
AURORA
L'alma del terzo ciel cui Gnido onora
Venere bella...
ECO
...Ella.
AURORA
Deh, t'increscano omai vaga ciprigna
gl'aspri miei guai!
ECO
...Ahi!
AURORA
Ahi, dolor senza aita! Ecco a ragione
mio cor dispera!
ECO
...Spera!
AURORA
E che sperar poss'io quasi la morte,
ch'a questo solo il duol m'invita?
ECO
...Vita.
LE GRAZIE
Siam noi, le Grazie ancelle
di lei che vince in cielo
di bellezza e splendor tutte le stelle.
Venere a te ci manda,
e per noi ti comanda
che rassereni il volto afflitto e smorto,
ch'avrai se non contento, almen conforto.
AURORA
Nutrendo andrò col mio pensier incerto
di dubbia speme il cor, nel dolor certo.
Venere, Adone.
VENERE
Dove vai? perché parti?
O de l'anima mia vero soggiorno?
Ah! non partir ancora,
leggiadro Adon, che il tuo partir m'accora.
A pena a queste luci
col solo apparir facesti giorno,
che col presto fuggir lor notte adduci.
ADONE
Non t'incresca il partire
che più soave fia
poscia il ritorno ancora, anima mia.
VENERE
Crudelissima gita,
spietata dipartita.
Or provo sì, ma più lo prova il core,
che il più crudo dei mali è il mal d'amore.
Ma vedi, meraviglia,
per soccorrer l'Aurora il passo or movo
né aita per me trovo.
Eccomi giunta a le Cimerie grotte
del Sonno e della Notte.
Venere con le Grazie, Adone, il Sonno, Morfeo.
VENERE E LE GRAZIE
Iº
O nel silenzio involti!
O nell'oblio sepolti,
che in questo speco ascoso
a gli occhi altrui dormite.
A l'aura, a l'aura uscite
o figli della notte e del riposo!
IIº
Lasciar non vi sia grave
la quiete soave,
ch'a questa chiara luce
colei v'invita e chiama,
colei vi chiede e brama
che diva è in terra e stella in ciel riluce.
SONNO
Deh, qual voce or risuona
fra quest'ombre segrete,
ladra de la quiete?
VENERE
Venere io son, son io
del vago Cipro il riverito donno.
Or non udite? o Sonno,
te chiedo. O Morfeo, te bramo e desio.
SONNO E MORFEO
Iº
O vago nume,
o caro lume
che i nostri orrori
rischiari, e indori
coi vivi rai
comanda omai.
IIº
Per te fia lieve
fatica greve.
Veloci, e pronti
per piani, e monti
n'andremo noi
a' cenni tuoi.
IIIº
Augelli e fiere
veloci e fiere
dolce allettando
addormentando
cotanto forte
che paian morte.
IVº
Così dormendo
potrai volendo
farne pian piano
con la tua mano
care mine
nove rapine.
VENERE
Di Cefalo crudel, Sonno, io vorrei,
nel lungo faticar già sazio e stanco,
ch'entrando ne' begli occhi or dolci e rei
per te quietasse il travagliato fianco.
E tu che del pensier l'imago sei,
Morfeo: un sogno desio non visto unquanco.
Dorma il garzone e veggia con la mente
nell'Aurora gentil Procri presente.
SONNO
Non vana è la speranza
ch'hai de la mia possanza.
MORFEO
Ed io, che Morfeo sono, al poter mio
fo legge il tuo desio.
VENERE
E così Aurora sei
da me servita, e se non quanto appieno
era il pronto voler come potei.
VENERE E LE GRAZIE
Che non può, che non vale
con vaghi pregi suoi
oggi beltà fra noi?
Un fiato sol che bella donna essale
basta per suscitar in rozzo core
dolce fiamma d'amore.
Cefalo, Sonno, Morfeo.
CEFALO
Iº
O monti, o colli, o prati, ecco a voi riede,
col veloce pensier pront'è il desio.
IIº
Anzi, che resta il cor se parte il piede,
che in voi s'annida ogni diletto mio?
IIIº
Ma poiché alla stanchezza il vigor cede,
ogn'altra cura dolcemente oblio.
IVº
E gl'occhi miei, ch'aperti star non ponno,
qui dono in preda a la quiete e al sonno.
SONNO
Tanto l'attesi pur, ch'io giunsi al varco.
Ei già d'affanni scarco
soavemente posa e dorme queto;
onde io mi parto taciturno e lieto.
MORFEO
Dorme Cefalo o finge?
Ah, parmi pur che dorma.
Così l'amata forma
fia ben ch'or l'appresenti. Onde per questo
visibil parto ed invisibil resto.
Cefalo, Morfeo, Aurora, Titone, Procri.
AURORA
O Cefalo spietato,
è questo il guiderdon della mia fede?
Il premio de' miei guai,
la mercé del dolore,
fuggirmi a tutte l'ore?
Dove sei? dove stai?
Ah! rispondimi omai,
che questo sol desio.
CEFALO
Dolce cor mio!
AURORA
Odi voce soave,
soavissimo suono!
Stolta, mentre ragiono
non miro il mio bel sol, non veggio quello
ch'ha del mio cor la chiave!
O prezioso ostello,
dove nasce la luce,
che al mio ben mi conduce.
Che fai tu qui soletto,
amato mio diletto?
Stanco forse pigliar cerchi ristoro?
CEFALO
Sì, mio tesoro.
AURORA
O parole amorose,
con opportuna aita
voi mi date la vita.
Vaghe labbra di rose
concedetemi almeno, e premio sia
de l'aspra pena mia,
de l'interno mio duolo,
un bacio, un bacio solo.
Per sì caro desire,
io mi sento morire,
si liquefa col cor l'anima insieme.
CEFALO
Viva mia speme.
AURORA
Pietosissima dèa,
quelle grazie ti rendo
cui deggio, e so, poiché per te comprendo
che vero è quel contento
che nasce da tormento.
Labbra cortese e pie,
datemi in parte omai, se non in tutto,
il desiato frutto
delle miserie mie,
de' miei penosi guai.
CEFALO
Baciami omai.
TITONE
Ferma l'audaci labbra o troppo ardita!
E ben fermarle déi,
che quei baci son miei.
Tu, tu dal letto uscita
lasciasti, sol per far la scorta al sole,
del tuo Titon le membra fredde e sole.
Or ecco a mezzo il giorno.
Quando fia il tuo ritorno?
Ah, veggio, sì, quanto veder mi spiace
e grida il cor se ben la lingua tace!
PROCRI
Iº
Ohimè, che veggio? Ohimè, vista dolente?
Quest'è la pura fé, Cefalo infido,
quest'è, garzon crudel, l'amore ardente?
IIº
O già del mio sperar ricetto e nido,
così tradirmi? Or l'immenso amore,
che per te m'arse il cor sveno ed ancido.
IIIº
Queste lagrime mie, cui verso fuore,
sono il sangue di lui perché nel seno cadendo
estingua il mal gradito ardore.
IVº
Deh perché il pianto, ohimè, non è veneno
che bevendolo or or mi fora grato,
col mio morir farti contento appieno.
Cefalo traditor, Cefalo ingrato!
TITONE
Or dunque affretta il piè dubbioso e tardo.
AURORA
Io mi sento morire.
CEFALO
Ah, non partire!
PROCRI
Ed io tutta di sdegno avvampo ed ardo.
TITONE
Deh, vieni e non tardare!
AURORA
Ohimè, ch'io moro.
CEFALO
Ahi, che martoro.
PROCRI
Ed io di rabbia e gel mi discoloro;
statti che dal tuo aspetto io mi dileguo.
CEFALO
Perché fuggir? Deh ferma! Ed io ti seguo.
Ohimè, son desto o dormo?
O sol de gli occhi miei,
Procri mia, dove sei?
Come esser può che sia
quasi smarrita a volo
l'alma de l'alma mia?
Ah, pur mi chiese un bacio, e un bacio solo!
Ma guidatemi voi orme inchinate
a quelle stelle amate
che non l'avendo appresso
aborro questa luce, odio me stesso.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
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