ARMIDA
Dramma per musica.
Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.
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Libretto di Jacopo DURANDI.
Musica di Pasquale ANFOSSI.
Prima esecuzione: 27 gennaio 1770, Torino.
Personaggi:
ARMIDA principessa di Damasco amante di |
soprano |
RINALDO principe italiano |
soprano |
UBALDO uno de' capitani dell'armata di Goffredo |
tenore |
IDRENO re di Damasco, e zio di Armida |
soprano |
ZELMIRA figlia del Sultano d'Egitto destinata sposa ad Idreno |
soprano |
CLOTARCO principe di Dania, compagno di Ubaldo, amante di Zelmira |
soprano |
Comparse di
Donzelle persiane e damascene con Armida;
Cortigiani, e Famigli con Rinaldo;
Donzelle, ed Eunuchi neri con Zelmira;
Satrapi, Guardie, e Maghi con Idreno;
Soldati europei con Ubaldo.
La scena si finge in Damasco, e nelle sue vicinanze. Il tempo è il giorno dell'arrivo di Ubaldo. L'azione è l'abbandonamento di Armida per la fuga di Rinaldo.
Argomento
Armida principessa di Damasco, a fine d'indebolire l'esercito de' cristiani, i quali assediavano Gerusalemme, infra altri guerrieri sedusse, e imprigionò Rinaldo. Egli languendo nell'amore più non curavasi della conquista di terrasanta, quando inaspettatamente vi giunse Ubaldo con un'armata di europei sotto di Damasco, per costringerne il re a rimettere in libertà i cristiani guerrieri, e vendicarne i sofferti danni. Ma tentò pria di trattare amichevolmente col re medesimo, il quale dissimulando i nuovi suoi meditati tradimenti, s'infinse di voler adempire le giuste pretese dell'europeo capitano. Intanto questi ebbe agio di parlare a Rinaldo, rimproverargli il vergognoso suo ozio, e persuaderlo a partire. Così nell'animo del valoroso giovine gli stimoli di gloria vinsero le più accorte tenerezze dell'amore.
Però la favola d'Armida, che forma uno de' migliori episodi della Gerusalemme Liberata, si è nel presente dramma variata così in alcuni caratteri, come nelle sue situazioni, e circostanze, per formarne un'azione sola, regolare, e più verosimile, e ridurla ad unità di luogo, e di tempo; laonde dell'antica favola si trasportò quel solo, che si giudicò più convenevole a dare una qualche novità allo spettacolo, a cagion della quale unicamente s'ideò questo dramma, il di cui intreccio s'intende dal medesimo.
Ballo primo: Amore custode del giardino di Armida
Sopra un cespo di fiori Amore se ne sta dormendo presso la porta del giardino di Armida, e tiene a' suoi piedi il turcasso, l'arco, la face, e la sua benda.
Le Grazie scherzando vi arrivano, vogliose di entrare nel giardino: osservano Amore, che dorme, e restando meravigliate, e sorprese, e tra di loro consultano, se lo debbano svegliare. Una di esse accenna alle altre le armi di Amore giacenti per terra, e tutte corrono con impazienza a prenderle, e con gioia fra di loro se le dividono.
Intanto Amore si risveglia, vuol ripigliare le sue armi, e si affanna non ritrovandole più: poscia veggendole in mano alle Grazie, corre per loro levargliele, ed esse ridono dello sdegno di Amore, e sono risolute di non rendergli le sue armi.
Egli mostrando loro un mazzetto di fiori, si fa intendere di volerlo donare alla più bella, s'esse gli consegneranno le armi involate: ciascuna ambiziosa di questo vanto, lusingandosi di poterlo meritare, gli consegna ciò, che gli tolse. Amore raccoglie le sue armi, e poi se ne fugge nel giardino.
Le Grazie non avendo potuto arrestar Amore dimostrano il loro rammarico, intrecciando una breve danza: vi giungono i Piaceri portanti ghirlande di fiori, ch'essi regalano alle Grazie, s'uniscono al loro ballo, che termina graziosamente.
Sopraggiungono finalmente le Ninfe insieme ai Piaceri, ch'esse tengono legati co' loro nastri, e ghirlande, e formano un ballo: Amore si presenta alla porta del giardino in atto di scoccare i suoi strali: le Grazie, e le Ninfe in veggendolo, accorrono per impedirlo: egli domanda loro perdono, ed esse gli formano un trono di fiori, che che si dà fine al ballo.
Ballo secondo: accampamento, ossia la lotteria militare
Giunge per riposarsi nel campo l'equipaggio de' turchi difeso dalla retroguardia con vari muli carichi di bagaglio.
Un corpo d'infanteria d'Europa viene ad attaccare il campo: al primo incontro l'armata turca fa piegare quei nemici, i quali fuggono, e sono inseguiti dai vincitori. Intanto un corpo di truppe leggere viene a sostenere i fuggitivi, li riunisce, e col fuoco dell'artiglieria si rinnova il combattimento, nel quale i turchi sono perdenti, e depongono le armi.
I vincitori si rendono padroni del campo: il generale ordina a un corpo di truppe di condurgli innanzi i prigionieri: mentre l'armata depone le armi, e il generale va a riposarsi nella sua tenda.
Quindi arrivano al campo parecchi vivandieri, i quali portano viveri all'armata: i soldati lo ricevono con segni di allegrezza: altri banchettano, altri fumano tabacco, altri invitano i vivandieri a ballare, e sono poi interrotti dall'arrivo della sposa del generale a cavallo seguita da' lacchè, palafrenieri, e da un piccol distaccamento di truppe, il resto prende le armi, ed il generale va all'incontro della sua sposa, la quale scende da cavallo vicino alla tenda del generale, ed il resto della truppa si riposa sulle armi, e molti d'essa ritornano verso le vivandiere.
Si eccita poscia una contesa tra i soldati, e si battono: i vivandieri tentano pacificarli, e in questo mentre il generale esce della sua tenda, per intendere il motivo della zuffa: allora tutti depongono le armi, e vanno a ragguagliarne il generale, il quale accenna doversi decidere colla sorte la contesa, e tutti dimostrano di acquietarsene.
Si apportano gli strumenti della sorte: ciascuno prende posto, e se ne sta impaziente ad aspettare il suo destino. Coloro, i quali vincono la sorte, presentano un mazzetto di fiori a colei, che loro fu destinata, e ne dimostrano contentezza. Il generale ordina poscia, che vi si chiami chi registri il contratto.
Compare la persona richiesta, che distende il contratto, il quale vien poi sottoscritto dagli sposi, che circondano il medesimo, e danno dimostrazione del lor piacer coll'intreccio di un ballo, che termina ringraziando con molti inchini la persona suddetta, ed altresì tutta l'armata dimostra agli sposi il suo contento con un concerto generale seguitato da molte danze, e da una contraddanza militare.
Ballo terzo: di furie
Armida veggendosi finalmente abbandonata da Rinaldo, si dà in preda al furore, e domanda in suo soccorso le Furie, commette alle medesime la sua vendetta.
La forza delle sue invocazioni attrae i demoni ministri del suo volere: essa impone loro di distruggere il suo palazzo, e di ridurlo in cenere, e quelli subito rompono le loro catene e corrono ad ubbidirla.
In questo mentre si apre la terra, vi esala una fiamma, in mezzo alla quale appaiono l'Odio, la Vendetta, e la Disperazione armate di faci, che distribuiscono agli altri demoni, i quali corrono a rovinare il Palazzo. Armida ascende sul carro, attraversa il teatro, e le Furie eseguiscono il ballo, che termina l'opera.
Gran sala nella reggia di Damasco ornata di trofei militari, destinata per le adunanze del real consiglio, illuminata in tempo di notte; trono da un lato con gradinata ricoperta di ricchi tappeti, cuscini all'intorno per li Satrapi.
Armida, e Rinaldo.
RINALDO
Ah taci, o principessa: i tuoi sospetti
mi trafiggono il cor! Son poche prove
della mia fé quell'adorar costante
l'impero de' tuoi rai,
soffrir miei lacci, e non lagnarmi mai,
divider teco i miei pensieri, e poi
sin ridurmi a pensar co' pensier tuoi?
Non più trionfi, ed armi
son le cure mie: per te d'amore
solo imparo a languir, né mai dal dolce
piacevol sonno, in cui sepolto io sono,
delle vittorie altrui mi desta il suono.
Dunque temer non déi...
ARMIDA
Non pentirti, idol mio, d'esser qual sei.
So, che tu m'ami: ho mille
prove dell'amor tuo: non dubitai
della tua fé giammai: però mi piace
sentir replicar, che Armida sola
è il caro ben, cui d'ottener tu brami,
da te sentirmi a replicar, che m'ami.
Assai n'ho d'uopo adesso
della tua fedeltà. No, non a caso
in questa notte è tutta
in tumulto la reggia. O qualche inganno
si medita a mio danno, o son sconfitte
le sirie squadre, e dome.
Se m'abbandoni...
RINALDO
Abbandonarti? Ah come?
Io, che per te sol vivo! Io, ch'odierei,
come sorte per me troppo nemica,
il racquistar la libertade antica!
ARMIDA
Protetta io sono, il vedo,
dal tuo amore abbastanza. Io sfido altera
l'inquiete sventure a' danni miei:
non so temer, quando fedel mi sei.
Idreno con séguito di Satrapi, e di Guardie, e detti.
IDRENO
Non v'è più pace, amici. Alfin la guerra,
che finor contumace
al rapido Giordano
di sangue musulmano intrise l'onde,
si propaga improvvisa a queste sponde.
ARMIDA
Ah, che dici, o signor! Così sorpresi!
Assaliti così! Rovine incontro,
ovunque già col mio pensier mi reco!
RINALDO
Che paventi, idol mio? Rinaldo è teco!
IDRENO
Pronto riparo esige
l'imminente periglio.
Si maturi tra noi qualche consiglio.
(va sul trono, appiè del quale siedono Armida, e Rinaldo, e quindi tutti i Satrapi)
Europa tutta a' nostri danni intesa
sull'Asia combattuta
di versarsi non cessa.
A costo ancor di spopolar sé stessa.
Di sì fieri nemici
la ferocia, il valor, l'audacia, e l'arti
ricordar più non giova:
purtroppo noi li conosciam per prova!
Ah quanto puote in que' lor petti alteri
brama di stragi, e avidità d'imperi!
RINALDO
Signor, vengon sull'Asia
queste schiere nemiche
le loro a vendicar ingiurie antiche.
Altra cagion più giusta
le trasse ancor...
ARMIDA
Ma rammentarla adesso
d'uopo non è.
(piano a Rinaldo)
Deh taci, o traditore.
RINALDO
Errai: perdona. (Oh tirannia d'amore!)
IDRENO
Siamo stretti d'assedio, e al rovinoso
improvviso torrente
qual argine opponiam? Le squadre, i duci
entro Solima ancor fanno dimora,
e il soccorso d'Egitto è lunge ancora.
Appena io reggo al peso
dell'armi, e della guerra. A noi sol resta
o cedere, o morir. Se v'è chi ardito
arte, o forza adoprando, i rei nemici
o debelli, o respinga, abbiasi (il giuro)
non scarso premio al faticoso impegno
Armida in sposa, ed in retaggio il regno.
RINALDO
Or nel timore, ed or nel premio, o sire,
sempre eccedi ugualmente.
IDRENO
Al rischio mio
(si alza con impeto)
chi provegga dov'è?
RINALDO
Sì, vi son io.
Sospiro, è ver, fra i dolci lacci altrui,
ma chi son mi rammento, e quel, che fui.
Lasciami il caro bene,
tu sai, ch'è mio quel core:
rammenta quante pene
ha già costato a me.
Poi de' nemici tuoi
opprimerò 'l furore,
e acquisterò, se vuoi,
novelli regni a te.
(parte)
Idreno, e Armida.
IDRENO
Molto promette il tuo guerrier, ma invano
mi lusinga la speme.
ARMIDA
E che paventi,
se Rinaldo è per noi? Qual mai valore
resiste al suo valor? Segue indivisa
la vittoria i suoi passi. Al suo coraggio
stimoli aggiungerò. Quell'alma grande
tu non conosci ancor. Se amante il vuoi,
egli è tenero, e grato, e se lo brami
guerriero, egli è...
IDRENO
Non mi negar, che l'ami.
Vinca Rinaldo, e debitore io sono.
A te di sua vittoria. Ah da' tuoi lumi,
donde fu l'alme altrui regnava solo,
or più docile almeno
si mosse amore, e ti passò nel seno.
Dolce han le belle il core,
né son per genio austere:
ad arte son severe,
e il finto lor rigore
da noi bramar le fa.
Senza quest'arte amore
ci languirebbe in seno,
o piacerebbe meno
sin la maggior beltà.
(parte col séguito)
Armida sola.
Io dianzi, è ver cercai
d'essere amata, e i miei amanti odiai:
ma vendicossi amore, e applaudo il colpo.
La fiamma, che m'accende,
in fronte all'idol mio troppo risplende.
So, che a torto amor condanna
chi tiranno, e cieco il chiama:
infelice è chi non ama,
chi non sente il caro ardor.
È un innato istinto in noi,
necessario amico affetto,
che ci unisce, e con diletto
violenta il nostro cor.
(parte)
Luogo nelle vicinanze di Damasco, in cui sorge un alto monte ricoperto di ghiaccio e di neve, con dirupi sul davanti. Lungo la sua difficile e disastrosa salita vi sono sparse diverse, e robuste piante tutte biancheggianti di neve. Il tempo è nell'aurora.
All'aprirsi della scena si veggono Ubaldo, e Clotarco a cavallo, con numeroso séguito di Soldati parte a cavallo e parte a piedi avanzarsi in ordine di battaglia.
UBALDO
Valorosi compagni,
nuovi perigli a superar vi guido.
Voi sempre in ogni lido
la vittoria precorre, e al vostro nome
d'ogni sua parte estrema
Asia omai doma impallidisce, e trema.
Sciorre i lacci al guerrier dobbiam, cui solo
l'acquisto il ciel destina
della città ch'è di Giudea reina.
Ah ch'ei su queste rive
in dolce servitù langue, e non vive!
L'insidiose d'Idreno arti ribelli
non ci sgomentan più. Desti noi siamo,
che già vani rendemmo i greci inganni,
e siamo avvezzi a debellar tiranni.
CLOTARCO
Signor, sull'erto monte
il primo io salirò: gli occulti agguati
dell'empio re disgombrerò dintorno,
prima che il sol ci riconduca il giorno.
Questi per me sono
insoliti cimenti.
Tornerò vincitor.
(s'incammina per salire sul monte, e s'intende subito un'orrida armonia, ch'imita il fremito di vento racchiuso. A mano a mano ch'egli ascende, gli si affacciano diversi terribili mostri, quali sbucando dagli imminenti dirupi, quali spiccandosi dagli alberi. Clotarco va difendendosi co' la spada)
UBALDO
Ferma: che tenti?
L'impeto affrena: a disgombrar dal monte
quest'orride sembianze, altr'armi giova
opportune adoprar.
(Clotarco discende, e i mostri s'arrestano ad occupar la strada)
CLOTARCO
Come! Non vedi
gli strani mostri a ogn'altro cielo ignoti,
che attraversan la via? Fremere osserva
quel velloso leon, ch'orrido in faccia
le bramose sue canne apre, e minaccia.
Mille intorno fischiar serpi non odi?
Con replicati nodi
tortuosi guizzar non li rimiri,
e trar l'ultimo seno i tardi giri?
Il timor non s'arresta:
voglio aprirmi la via col ferro in mano.
(in atto di risalire)
UBALDO
Ferma: tu stringi il nudo acciaro invano.
Son que' mostri insolenti
vane forme apparenti.
La cieca illusion così gli adombra,
ed una opposta illusion gli sgombra.
A me s'aspetta il dileguarli. Omai
della città nemica
guida i soldati a circondar le mura.
Io libera, e sicura
questa via renderò, donde si varca
alla reggia d'Armida. Alfin sull'orme
quindi impresse da me poscia t'invia
sicuro a replicar l'istessa via.
Clotarco conduce per altra parte i Soldati, e intanto Ubaldo ascende il monte. Ripiglia l'orrida armonia, e gli si avventano i divisati mostri, i quali poi fuggono, al vedere la magica verga, che Ubaldo loro presenta; intanto scende precipitosamente un drappello de' Custodi del palazzo di Armida, per respingere Ubaldo, e l'investono: egli retrogradando, si difende, finché disceso nel piano, attacca particolare zuffa col Duce del detto drappello, e lo vince, mentre pure i Soldati di suo séguito combattono, e debellano i Nemici. Risale finalmente il monte, e giunto, ch'egli è sulla vetta, spunta luminoso il sole, e rende più ameno il monte.
Dopo pochi momenti la detta orrida armonia, cambiando improvvisamente e di tempo, e di tuono, forma l'allegro ritornello della cavata di Zelmira.
Zelmira, che scende dal monte con séguito di Donzelle, indi Clotarco.
ZELMIRA
M'alletta, m'affanna
la speme, l'amore:
confuso il mio core
più pace non ha.
Mie dilette compagne,
mentre il timor di prossime rovine
occupa già la reggia, all'ombre amiche
qui riposiam tranquille. In queste spiagge
timor non giunge: eppure
dagl'insulti d'amor non son sicure!
CLOTARCO
(avanzandosi)
(È donna, o dèa quella, ch'io miro? E quelle
sì leggiadre donzelle,
che la seguono ognor...)
ZELMIRA
(Che veggo! E donde
venne questo guerrier?)
CLOTARCO
Dimmi, se quanto
bella, ed amabil sei, tu sei cortese,
siete voi forse ora dal ciel discese?
Su quest'orride sponde
crudo albergo de' mostri, ammirar tante
beltà sì rare...
ZELMIRA
Orrore il monte imprime,
cui neve copre, e duro ghiaccio il piede:
ma poi sulle sue cime
ridente, e vaga amenità risiede.
Ivi il piacer perpetuo regna, e senza
l'amarezza, che 'l segue: ivi non sanno
infra l'erbette, e i fiori
inquiete abitar cure, e timori:
deh seguimi, e vedrai...
CLOTARCO
No, che non lice
a me nemico il seguitarti.
ZELMIRA
E come
tu nemico ci sei? Qual torto mai
da noi tu soffri? Ah non confondi ancora
coll'ire tue private
l'altrui certa innocenza. Io non t'offesi piange
né offenderti poss'io, se non con dolci
ingegnose querele,
con languide repulse,
con tenere contese,
che s'estinguono ognora appena accese.
CLOTARCO
Oh qual gentil dolore! A que' tuoi detti
mi si destò nell'alma!
Non inteso tumulto, una tal face,
che m'agita, e m'alletta, affanna, e piace.
Tuo nemico non sono, anzi tua guida,
e tua scorta sarò. Calmati, e poi
verrò, ti seguirò, dove tu vuoi.
Ubaldo con Guardie, e detti.
UBALDO
Già dell'arti d'Idreno,
che del nevoso alpestro monte intorno
chiudean la strada, io vincitor ritorno.
Dell'armi nostre è la città già stretta,
e la nostra vendetta
le sovrasta imminente... Ah tu gli sguardi
sol raccogli in colei,
mediti, e non ascolti i detti miei!
CLOTARCO
Signor, son pronto anch'io... vedrai... ma queste
innocenti donzelle
son degne di pietà.
ZELMIRA
(s'inginocchia appiè di Ubaldo, e le sue compagne fanno lo stesso)
Fra' tuoi nemici...
non racconta, o signor, queste infelici!
UBALDO
Olà sorgete, e libere, e sicure
ite a vostro piacer. Pensa, o Clotarco,
che d'un bel ciglio al varco
sovente in dolce agguato amor si asconde.
Tu sai, che son feconde
le insidie allettatrici in questa terra.
Armati di rigore,
vieni all'empio tiranno a recar guerra.
Ha da tremar l'altero
a tante squadre in faccia:
gl'involerò l'impero,
se contrastar vorrà.
Ho la vittoria appresso,
ch'ode la mia minaccia,
e la vittoria adesso
al fianco mio sarà.
(parte)
Clotarco, e Zelmira.
CLOTARCO
(Il seguirlo è dover... Ma lasciar sole
queste erranti bellezze... Ah no, che troppo
indiscreto sarei.)
ZELMIRA
Signor, deh soffri,
ch'io parta: il ciel dilegui i rischi miei.
CLOTARCO
Vorrei seguirti, e insieme io non vorrei.
ZELMIRA
Già mi è pena il lasciarti: eppur...
CLOTARCO
Che dici?
ZELMIRA
Del tuo bel core in mente
la dolce idea mi tornerà sovente.
CLOTARCO
Ah tu non sai... se mi vedessi il core...
io voglio...
ZELMIRA
Addio. Nel dì di tua vendetta
abbi pietà d'un'innocente.
CLOTARCO
Aspetta.
ZELMIRA
Perché?
CLOTARCO
Ti seguirò.
ZELMIRA
Ma non degg'io
restarmi più.
CLOTARCO
Ti seguirò, ben mio.
ZELMIRA
Vorresti cedere
a un dolce affetto,
ma l'alma timida
ti ondeggia in petto;
teme di perdere
la libertà.
Vieni, a te caro
sia 'l giogo tenero,
ch'io ti preparo:
mercé, che merita
la tua pietà.
(parte ascendendo il monte seguita da Clotarco)
Atrio a mosaico corrispondente al giardino di Armida: in prospetto la gran porta del medesimo costrutta d'argento, effigiata a bassi rilievi con cardini, e cornici dorate: da una parte fonte composto di gruppi di fiumane, che dalle loro urne scaturiscono limpide acque.
Idreno, e Armida.
IDRENO
Dunque s'ascolti il messagger, che pace
a proporci ne viene.
(a due comparse, le quali ricevuto l'ordine partono)
IDRENO
Utile a noi
più che ai nemici esser potrà. Siam troppo
noi di forze inuguali.
ARMIDA
Ah, sire, asconde
dubbi, e perigli assai questa di pace
simulata richiesta. Eppur sì poco
in Rinaldo confidi? Il suo valore
forse ignorar tu puoi?
IDRENO
So, ch'è nemico
per sé, per genio a noi: so, che d'amore
langue, e vaneggia, e ne' deliri suoi
amico ci si vanta. Ah s'ei si desta
dal suo letargo un dì! Giammai ne' dolci
impeti dell'affetto
le facili promesse
apprezzar non si denno
di un amator, che ha già perduto il senno.
(parte)
Armida, indi Zelmira.
ARMIDA
Che intesi mai! Ma dopo i tanti pegni
di un amor così puro,
Rinaldo un dì spergiuro
potria scordarsi... Ah no, che rea sarei,
fomentando nel core i dubbi miei.
ZELMIRA
Principessa, a' tuoi lacci
invitati da queste
delizie seduttrici
s'offrono volontari i tuoi nemici.
ARMIDA
Zelmira, alfin comincio
i miei trionfi a paventar. La calma
de' nemici è funesta.
Molto a temer, poco a sperar mi resta.
(parte)
Zelmira, indi Clotarco.
ZELMIRA
Me stessa io non intendo. Invidio, e soffro,
la felice rivale: amo Rinaldo,
e a lui celo il mio amor: m'affanna, è vero,
di perderlo il pensiero, eppur talora
vorrei, ch'ei s'involasse; e sebben tosto
questa idea mi tormenta,
purché Armida non goda, io son contenta.
CLOTARCO
Quella donna gentil, ch'or da te parte,
è Armida?
ZELMIRA
È dessa.
CLOTARCO
Oh quanto de' suoi doni
in lei raccolse il ciel! Degno di scusa
è Rinaldo, che l'ama.
ZELMIRA
Altri scusando
tua difesa prepari.
CLOTARCO
In que' tuoi rai
la mia difesa è già sicura assai.
Chi la mia fiamma accusa,
ti guardi un solo istante,
e già nel tuo sembiante
ritroverà la scusa
della mia fiamma allor.
L'altrui beltade ammiro,
ma sol per te sospiro,
sola m'accendi il cor.
(parte con Zelmira)
Rinaldo, e Armida, che lo seguita piangente, e rattristata.
RINALDO
Non paventa, idol mio. Vuoi, ch'io non vegga
gli oratori europei, ch'ogni memoria
d'Europa oblii? Non li vedrò. Tu vuoi,
che de' nemici tuoi
nemico io sia? M'affretto
ad assalire, a debellar gli audaci.
Sarò qual piaccio a te.
ARMIDA
Così mi piaci.
Serbati ognor così. Fa' che s'inganni
chi dubita di te, chi fé non presta
al verace amor tuo. Tu rassicura
l'agitato mio cor. Rinaldo, io tutta
già così vivo in te, che giorni interi
per me gl'istanti sono, ove non sei,
e son, quando ritorni,
brevi istanti per me gl'interi giorni.
Se mai dovessi abbandonarmi... Ah troppo
il sol pensier già mi funesta. Oh dio!
morirei di dolor, nel dirti addio.
(piange)
RINALDO
Deh non piangi, o mio ben. Sempre al tuo fianco
io sarò, sarò tuo. Tu fosti il primo
mio dolce amore, il sai,
e l'ultimo amor mio tu pur sarai.
(le prende la mano e gliela bacia)
Ubaldo, che s'arresta osservando, e detti.
UBALDO
(Ecco il guerrier, di cui vo in traccia. Oh come
amor lo trasformò! Com'egli il campo
cangiando in questa reggia,
fra i vezzi del piacer torpe, e vaneggia!)
Prence, alfin ti ritrovo. Io non credei,
che immemore così...
ARMIDA
Che vuoi?
RINALDO
Chi sei?
(Ubaldo! O mio rossor!)
UBALDO
Noto sì poco,
signor, io sono a te?
ARMIDA
Se il re tu cerchi,
questa non è la via.
RINALDO
(Come scusar la debolezza mia!)
ARMIDA
Tu seguimi, o Rinaldo.
UBALDO
Amico, ascolta.
ARMIDA
Vieni, non indugiar.
UBALDO
Soffri un momento...
RINALDO
(ad Ubaldo)
Vorrei... Vedi?
(ad Armida)
Non so... (Crudel cimento!)
ARMIDA
Come! E dubiti ancora? O resta, o parti,
più non curo...
RINALDO
Verrò, ma non sdegnarti.
ARMIDA
A non sdegnarmi, ingrato,
vuoi consigliarmi adesso?
Mi lasci in questo stato!
Resti al nemico appresso!
È questo, o traditore,
l'amore ~ ch'hai per me?
Dov'è l'antica fede,
la tua pietà dov'è?
Ah sì crudel mercede
non meritai da te!
(parte seguita da Rinaldo)
Ubaldo, e poi di nuovo Rinaldo.
UBALDO
Confuso, irresoluto
ei da me parte. In lui non è ancor spento
lo stimolo d'onor. Tace, arrossisce,
dunque ei vede il suo fallo. Ad emendarlo
vicina è già quell'anima sospesa,
che non mendica scuse a sua difesa.
Se questa via non giova,
altra ne sceglierò...
Rinaldo?
E fin a quando in languido riposo
rimaner tu vorrai contro tua fede,
con rovina de' tuoi, con tuo rossore
così vilmente a vaneggiar d'amore?
Asia minaccia ancor: gli empi nemici
mostrano ancor l'orgogliosa fronte.
Dal Giordano all'Oronte
vi son di guerra i fieri segni impressi:
indurano sé stessi
i nostri duci alle fatiche: ognuno
combatte, e vince, e ad onorato vanto
aspira ognun. Che fa Rinaldo intanto?
Dai piacer avvilito, a tutti ascoso,
in ozio vergognoso,
giuoco servil d'una fanciulla infida,
langue insano, e codardo,
e trema a un cenno, e impallidisce a un guardo!
RINALDO
Errai, purtroppo è ver! Voglio... Vedrai...
(guardando intorno, vede Armida, che sta osservandolo)
Ma fu dolce l'error! Lasciami, amico,
lasciami respirar.
UBALDO
Come?
RINALDO
Deh parti,
non tormentarmi più!
UBALDO
Ma pur dovresti
conoscerti, arrossir...
RINALDO
Del rossor mio
soffrirti spettator più non poss'io.
UBALDO
Quel rossor, che appar sul volto,
è un'immagine del core,
e palesa alfin l'errore,
che sepolto ~ aveva in sé.
Tu lo senti, che t'accusa,
che t'infiamma e ti circonda:
i suoi moti almen seconda,
rendi omai te stesso a te.
(parte)
Rinaldo solo.
Che risolvo, infelice! E qual consiglio
abbracciar deggio, o ricusar? Non veggo,
ch'aspri contrasti intorno a me: non sento,
che tumulti nel cor. Su queste arene
amore mi trattiene,
mi respinge il dover. Uno infedele,
l'altro vile mi chiama. Incerta pende
mia fede, il mio decoro,
e ancor non so, chi vincerà di loro!
Vincerà forse amor, che in seno impera,
e i miei pensieri a voglia sua riprova?
Quasi in me più non trova
pensier, che si ribelli ai cenni sui,
ma timidi son tutti innanzi a lui.
Ah se d'amor v'accende
dolce soave affetto,
ah moderate in petto
il contumace ardor!
Ardor, che piace, e affanna,
che la ragione offende,
che lusingando inganna
de' folli amanti il cor.
Ricchissimo gabinetto nel palazzo reale, ornato di porcellane, d'oro, e argento, di rubini, smeraldi, e di altre gemme.
Idreno, e Zelmira.
IDRENO
Chi creduto l'avria? Confuso, oppresso
del giorno all'apparir io mi ritrovo
mille perigli intorno,
e sarò lieto al declinar del giorno.
Longe non son l'arabe squadre: a tergo
d'improvviso il nemico
assalito sarà. La sua rovina
pria vedrà, che 'l suo rischio. Io vuò l'orgoglio
soffrir degli europei, fingermi amico,
secondarne ogni voto,
e trargli intanto al precipizio ignoto.
ZELMIRA
Ma Rinaldo?...
IDRENO
Cadrà: de' miei nemici
il più crudo, il più forte in lui se n' mora.
ZELMIRA
E Armida, che l'adora?...
IDRENO
In lei già troppo
si dilatò l'amor. Util fu pria,
ora nuocermi puote. Essa l'erede,
non sarà più del regno. Un figlio io voglio
procurarmi, e un successore al soglio.
ZELMIRA
Che intendo mai!
IDRENO
Tu non venisti sposa
già d'Armida al german? Quei cadde, innanzi
che il sacro rito a te 'l giungesse. Invano
io qui non ti ritenni. Alfin, Zelmira,
del sultan è voler, che a me l'unisca
indissolubil nodo. In me tu vedi
il tuo sposo, il tuo re. T'amo, e mi voglio
riamato da te: ma non ti aspetta,
ch'io m'avvilisca ai prieghi, alle insensate
languidezze mendaci, ad esser mai
tenero servilmente, o di te stessa
mi formi un nume, e ch'io lusinghi attento
il fluttuoso femminil talento.
Studi sì bassi, e rei, questa indolente
stupidità troppo comune a tanti
lascio allo stuol dei scioperanti amanti.
ZELMIRA
Ma senza il voto mio
di me dispone il padre? Egli è tiranno
della mia libertà.
IDRENO
Folle! Qual uso
di questa tua vantata
libertà ne faresti? Amami, ascondi
ciò, ch'intendesti, e al tuo dover t'appresta.
ZELMIRA
Deh, signor, io non so... (Che angustia è questa!)
(parte)
Idreno, Armida, indi Ubaldo.
ARMIDA
S'avanza impaziente
il nemico orator. Pensoso, e fiero
medita inganni, e stragi. Ah ti ritrovi
inflessibile ognora!
Che déi temer? Non siamo vinti ancora.
UBALDO
Di quanto oprasti a nostro danno, io sono
a chiederti ragion, ma non ricuso
pace, ch'util ci sia. Comparsi appena
della Siria ai confini
i guerrieri latini,
tu fosti il primo ad insultarci. All'empio
di Solima tiranno,
contro di cui non qui venimmo armati,
tu somministri ancora armi, e soldati.
IDRENO
Difendere gli amici
da un oppressor ferocemente invitto
in Europa, o tra voi forse è delitto?
ARMIDA
Qual mai ragion vi porta a queste sponde,
mancano a voi regni, e nemici altronde?
UBALDO
Ricordati l'offesa,
e ricercar non déi
la cagion, che ci muove a tanta impresa.
Non sol coll'armi tue, ma con ignoti
empi artifici a insidiarci inteso
tu fosti ognor. Che fan que' miei guerrieri
con vili modi industri
da te rapiti alle fatiche illustri?
Qual mai nova è cotesta
indegna arte di guerra? Avvilir tanta
altera gioventù, ridurla a segno
d'obliar la sua gloria,
e vaneggiar più folle
d'amor nell'ozio, effeminata, e molle!
ARMIDA
E qual confin preferivi
de' nemici alle offese? Osserva intorno
qual aspetto crudel di sé presenta
la Siria oppressa. Ancor pendon cadenti
le rovine frequenti
delle nostre città. Fuman di sangue
pur le campagne, e delle messi invece
serban tra i solchi accolte
le biancheggianti ancora ossa insepolte.
Piange il deluso agricoltor: costretti
sono popoli interi i prischi alberghi
mendici abbandonar: vanno un asilo
fuggitivi a cercar negli antri cupi,
nell'ime valli, o su dirotte rupi.
Regna per opra vostra alfin sicura
la crudeltà colla licenza audace,
morte, il furor, l'avidità rapace.
UBALDO
Delle sciagure altrui
qual parte a voi toccò?
ARMIDA
Ma dobbiam forse
nella strage vicina
aspettar indolenti egual rovina?
In chi fidar ne giova? In voi, che sempre
furiosi cadete in mille eccessi,
sino ad incrudelir contro voi stessi?
No, ignote non ci son le oppresse genti
e di patria, e di fé congiunte a voi,
depredate di già da voi, da tanti
vostri compagni masnadieri erranti.
IDRENO
Non più: gli odi, l'offese
tacciansi alfin. Non vi ricuso amici,
desio la pace, e a richiamar son pronto
da Solima le schiere. Intanto io rendo
liberi a te tutti i guerrieri tuoi,
che ignobile dimora
fanno in ozio servil.
ARMIDA
Rinaldo ancora?
IDRENO
Sì, quell'eroe non deve
maggiormente languir.
ARMIDA
Ma non comprendi
che mediti, che dici,
e qual nemico aggiungi a' tuoi nemici?
IDRENO
Che più temer, se l'amistà già scende
i discordi ad unir animi avversi?
Pace prometto, e prendine tu stesso
un pegno in questo amplesso.
(abbraccia Ubaldo)
Saranno a pro di voi
i miei tesori aperti, e meglio un giorno,
più che da questo dono,
il tuo gran duce apprenderà chi sono.
Torni la pace amica,
splendan sereni i giorni,
ed il piacer ritorni
ad inspirarci amor.
Torni sicura, e lieta
la pastorella al prato,
e al campo abbandonato
torni l'agricoltor.
(parte)
Ubaldo, Armida, indi Rinaldo.
UBALDO
Tanta dolcezza al mio nemico in seno
ritrovar non sperai. Sensi di pace
da lui impara, o principessa.
ARMIDA
Ancora
non ti vantar del tuo trionfo. Ah vieni,
Rinaldo, in mio soccorso. Il re... costui...
(con affanno e tenerezza)
Il ciel... la sorte... Ognun congiura a gara
contro di me!
RINALDO
Di chi paventi? Io sono
vindice tuo: non temi, e ti consola.
ARMIDA
Io ti perdo, idol mio: costui t'invola.
(piange)
RINALDO
Involarmi? Ah che dici!
Chi sarà mai l'audace?
E temi... Oh quanto il tuo timor mi piace!
UBALDO
Principe, alfin da questo
vergognoso tuo sonno
risorgi, e te rendi a te stesso omai:
già t'avvilisti, e delirasti assai.
Non obbligarmi intanto
violenza ad usarti...
RINALDO
Ah come! Io sono con impeto
forse tuo schiavo? E pensi a mio dispetto...
trema: io mi sento ancor Rinaldo in petto.
UBALDO
Veramente tu mostri
gran prova di valor! Vado i tuoi fasti
nel campo a celebrar.
(in atto di partire)
RINALDO
Fermati. Ah troppo
indiscreto tu sei! No, non conosci
di un affetto il poter...
UBALDO
So, che son tutti
necessari gli affetti, e so, che sono
destinati a servir: che se non stanno
al lor dover soggetti,
la colpa è sol di noi, non degli affetti.
All'agitata prora
sono d'inciampo i venti,
ma senza venti ancora,
non può solcar il mar.
Come il nocchiero accorto
modera i loro eccessi,
va con que' venti istessi
in porto ~ o a naufragar.
(parte)
Armida, Rinaldo, indi Clotarco.
ARMIDA
Dimmi, Rinaldo, adesso
ch'io mi tormento invan, che troppo ingiusti
sono i sospetti miei, che moriresti
prima d'essermi infido,
e prima di partir da questo lido!
RINALDO
Ma che temi, idol mio? Forse non t'amo,
forse io parto da te? L'altrui minacce
mi sgomentano forse?
CLOTARCO
Al re s'affretta
torbido, e fiero Ubaldo, e vuol, che Idreno
or t'obblighi a partir. Onde l'indugio
non riproduca inciampo,
vuol trarti a forza, e ricondurti al campo.
RINALDO
Come? A forza rapirmi! E quale è questa
col re nemico intelligenza?
ARMIDA
Idreno
con questi erranti usurpatori alfine
o sincera, o mendace
sulla rovina mia fermò sua pace.
Ne sei, Rinaldo, il caro prezzo: io sono
la vittima infelice!
(piange)
RINALDO
Armida amata!
Al re mi affretto: il barbaro vedrai
impallidire in faccia a me: la reggia
di sangue inonderò. Ma nel mio affanno
il tormento maggiore,
principessa adorata, è il tuo dolore!
Se la pace alfin bramate,
non piangete, amati rai:
voi sapete, che mi fate
tutta l'anima gelar.
Luci belle, ognor vi amai,
e se liete, o meste siete,
voi mi date, o mi togliete
quel valor, ch'io debbo usar.
(parte)
Armida, Clotarco, indi Zelmira.
ARMIDA
Prence, pietà di me: fa', che il tuo duce
al nuovo giorno almeno
differisca a partir. Giacché prepara
colpo sì atroce alla sventura mia,
così subito il colpo almen non sia.
(parte)
CLOTARCO
Amor come governi
i tuoi seguaci! Il peso anch'io comincio
de' tuoi lacci a sentir.
ZELMIRA
Fuggi, o Clotarco:
va crescendo il periglio.
CLOTARCO
Ah come!
ZELMIRA
Idreno
agli Europei morte minaccia: amico
per tradirvi s'infinse. Ancor mi resta
una via di salvarti.
CLOTARCO
Ed il mio duce...
e Rinaldo... Ah che dici! Io vuò con essi
o vincere, o morir.
ZELMIRA
L'istesso scampo
anche loro aprirò. Vieni, fuggiamo
da un tiranno crudel.
CLOTARCO
Dunque confonde
te ancor nel suo furore?
ZELMIRA
Egli sua sposa
mi vuole al nuovo dì: più della morte
io l'aborro, il detesto,
ma tutto ho da temer, s'io qui m'arresto.
CLOTARCO
Ah, principessa, e dove
vorrai meco fuggir? Fra schiere armate,
tra i rischi della guerra?...
ZELMIRA
Io vuò, che guida,
che tu scorta mi sii, finché in Egitto
ricondotta sicura,
tu giudichi in faccia al genitore
l'innocente mia fuga, il mio timore.
Se in te non trovo aita, a cui poss'io
ricorrer più? Deh non lasciarmi esposta
alle brame di un empio! A me tu rendi
la pietà, ch'ho di te.
CLOTARCO
Zelmira amata,
mi fai tremar! Tu sei... Sappi, mio bene,
ch'ogni periglio tuo già mio diviene.
Nel dubbio cimento
non temo la sorte:
mi rende più forte
l'istesso timor.
L'ingiusto tiranno
non è, ch'io pavento,
ma il barbaro affanno,
che soffre il tuo cor.
(parte con Zelmira)
Amenissimo giardino con viali, e cespugli di fiori, diversi alberi fruttiferi, fontane, statue di alabastro, e di bronzo, e sedili di verdura all'intorno. Grande scala in prospetto, e in maggior lontananza scopresi tra l'intreccio de' suddetti viali il magnifico real palazzo.
Idreno con séguito di Soldati.
IDRENO
Soldati, ove declive in verso il fiume
la città degradando apre l'uscita,
solleciti correte. Infra le opache
dalle selve imminenti ingombre sponde
della via sinuosa
cauti alfin vi celate. Ivi a momenti
Rinaldo, il latin duce, e i suoi rapaci
insolenti seguaci
sicuri passeran. Voi d'improvviso
gli assalite, opprimete. Essi non hanno
difesa, o scampo: è loro il fiume a fronte,
a tergo la città, daccanto il monte.
De' nemici così più duri, e forti
se il numero scemate,
Asia fia vincitrice. Udiste? Andate.
(partono i soldati)
Ubaldo, e detto.
UBALDO
Sire, al meriggio inclina il giorno: io devo
senza indugio partir. Viviamo amici,
adempi le promesse, e il contumace
Rinaldo a me tu rendi.
IDRENO
Il prence invitto
persuaso è di già. Sa, che s'estinse
ogni sdegno tra noi, né più contrasta
indocile a seguirti. I tuoi disegni
secondi il ciel: suddita l'Asia, e 'l mondo
torni a soffrire amico
del gran genio latino il freno antico.
(parte)
Rinaldo, e Ubaldo.
RINALDO
Ah dunque è ver, che tu per sempre, o duce,
dal mio ben mi dividi?
UBALDO
Anzi la gloria
di superar te stesso
tutta da tua virtù s'attende adesso.
RINALDO
A questo colpo Armida
preparata non è!
UBALDO
Scordati alfine
quell'affetto, quel nome
quel fatal volto...
RINALDO
Il vorrei far, ma come?
UBALDO
Vieni, seguimi, fuggi,
da lei t'invola accorto.
RINALDO
Ma impressa in mente, e nel mio cor la porto.
UBALDO
E a questo segno una tiranna adori,
che già tanti tradì, ch'ama vedersi
languir gli amanti intorno, ed ella invece
solo degli occhi sui
il trionfo crudel ama in altrui?
Te così pure inganna: in te lusinga
un nemico, che teme, e in suo pensiero
t'odia, ordisce tua morte...
RINALDO
Ah non è vero!
Io conosco quel cor.
UBALDO
A un cieco affetto
dunque opporsi non sa la tua ragione?
RINALDO
Sì, la ragion si oppone,
ma incerta, e lenta, o s'agita sospinta
ch'ella forse ha piacer di restar vinta.
UBALDO
No, non credo, che sia
sì debole Rinaldo. Alma sì grande
non è nata al languir. La patria, il mondo
molto aspetta da te. Tu sei d'Europa
il sostegno, e l'onor: d'Asia nemica
il terrore tu sei: la sua rovina
essa può prolungar, sol quanto inerme
tu qui resti racchiuso. Ah, prence, omai
vendica l'onor tuo: quel braccio forte
ad emendar t'affretti
l'ozio di questa reggia! Io già rimiro
crollar Solima a terra, e a' piedi tuoi
supplici i re dell'Asia o chieder pace,
o del loro fasto in pena
stender la mano alla servil catena.
Vieni, ai trofei ti guido: ogni momento
si usurpa alla vittoria.
RINALDO
Ah sì, ti seguo,
guidami dove vuoi. Ma... Armida... Oh dio!
L'eviterò. Verso la via del fiume
tu mi precedi.
UBALDO
(abbracciandolo)
Invitto prence! Estinto
qui sia l'ardor.
RINALDO
Non dubitarne.
UBALDO
(Ho vinto.)
(parte)
Rinaldo, indi Armida.
RINALDO
Amiche sponde, addio, dove d'amore
appresi a sospirar. Ad ogni passo
nel pensier mi destate
tenere idee, dolci memorie, e voti,
e mille nel mio cor soavi moti.
Addio dunque per sempre. Assai mi costa
il dovervi lasciar! Non la seconda
amenità, che in questa parte, e in quella
riproduce sé stessa ognor più bella,
ma l'amabil aspetto
dell'idol mio, che spesso in voi soggiorna,
così belle vi fa, così v'adorna.
Oh quante volte ancora
più care ognor mi tornerete in mente!
Quanto il mio ben v'invidierò sovente!
(in atto di partire s'incontra con Armida)
(Armida! Oh ciel!)
ARMIDA
Mio caro prence, ah quanto
io debbo alla tua fé! So, che costante
tu ricusi partir, che sempre fisse
hai le tue brame in me.
RINALDO
Ma chi te 'l disse?
ARMIDA
Io stessa a Idreno in faccia
ti vidi minacciar. Meco vivrai
più lieto altrove: io voglio...
RINALDO
Ah tu non sai,
che il mio dover, la fé...
ARMIDA
(turbandosi)
Come?
RINALDO
Sì lieti
non ci vuole il destino: al suo rigore,
Armida, invan ti opponi,
ma vuol (dicasi alfin) ch'io t'abbandoni.
ARMIDA
Abbandonarmi! E sin ad ora, ingrato,
mi tradisti così? Con tal costanza
dirlo tu puoi? Né pensi al m io tormento...
Crudel!... Misera me! Morir mi sento.
(si pone a sedere)
RINALDO
Oh dio! Tu non sai, come
tremo, agghiaccio in parlarti. Ah non son io,
che ingrato a te, ben mio,
lasciarti or voglia mai. Troppo mi piaci,
troppo cara mi sei,
troppo meriti i puri affetti miei.
Ma la legge, il dover, la patria, e cento
obblighi sacri, ahi lasso!
mi costringono, o cara, a sì gran passo.
ARMIDA
Rinaldo abbandonarmi! E vuoi, ch'io 'l creda?
E Rinaldo il potrà dopo le tante
replicate promesse
d'un reciproco amor, le prove, i pegni
della mia fé, dopo che a me non piace
che il suo piacer, che più non so, non posso
voler, che a voglia sua, che a me la morte
saria minor tormento,
che di lui restar priva un sol momento?
Ah no 'l credo, idol mio! Troppo conosco
il tuo bel cor: di crudeltà sì nera
no, capace non sei. Tu vuoi con questi
indiscreti pretesti
tormentarmi così. Ma infin l'affanno,
adorato mio bene,
mi è caro ognor, quando da te mi viene!
RINALDO
Non lusingarti, Armida. Io son purtroppo
a lasciarti costretto, involontario
esserti traditore,
a divenire ingrato a tanto amore!
ARMIDA
Barbaro, e ti compiaci
di vedermi morir? Deh quando mai
io da te meritai
compenso sì crudel! La sola idea
di perderti m'uccide, eppur tu vuoi,
spaventando il mio affetto,
che perfido io ti creda a mio dispetto?
Se mi vedessi il cor! Più grave affanno
del mio, no, che non dessi!
No, che non sono al par di te, tiranno,
insensibili tanto i tronchi... i sassi.
Sviene, e intanto si spiccano dai loro piedistalli le Statue del giardino. Escono pure delle Ninfe dai cespugli, ed insieme intrecciano intorno a Rinaldo un piccol ballo, esprimendo con acconci movimenti il lor dolore per l'affanno di Armida, e tentando di ricondurre a lei Rinaldo, il quale attonito, e confuso sta irresoluto tra il partire, e il restarsene, e finalmente si accosta ad Armida.
RINALDO
Che m'avvenne, infelice! Io non comprendo,
se son desto, o deliro,
e s'è finto, od è ver ciò, che rimiro!
Ah che finto non è 'l dolor, che opprime
i sensi a lei, che langue. E potrò mai
lasciarla in questo stato!
Ella tanto fedele, io tanto ingrato!
Deh consolati, Armida, amata speme
di questo cor! Non partirò, non voglio
che il tuo voler. Ti offesi, il so: ne sono
pentito alfin: bell'idol mio, perdono.
E Rinaldo, che priega... Eppur s'io resto,
Ubaldo che dirà? S'io parto... Ah quale
barbara angustia è questa!
Armida che dirà, quando fia desta?
Dunque... misero me!
Ubaldo: al suo comparire si dileguano i Ballerini, e le Ninfe.
UBALDO
Prence, t'affretta.
Idreno ci tradisce: ogni dimora
senza scampo ci perde.
RINALDO
(accennandogli Armida)
Ah, duce, osserva,
s'io posso abbandonar...
UBALDO
(lo prende per la mano)
Vieni, rammenta
il comun rischio, il tuo dover.
RINALDO
Potessi
vederla almen riscotersi dal duolo!
UBALDO
O meco parti adesso, o parto solo.
(lo lascia con sdegno, e in atto di partire)
RINALDO
(si lacera di dosso, e getta le ghirlande di fiori, che l'adornavano)
Che crudeltà! Ferma: ti seguo. A terra
voi del mio amor misere insegne. Addio,
principessa infelice. Il ciel ti serbi
a un amante di me più fortunato,
né più 'l costringa a divenirti ingrato.
(s'incammina, e poi di nuovo si ferma)
UBALDO
E ancor t'arresti?
RINALDO
Oh dio!
UBALDO
Perché pensoso...
RINALDO
Confuso... dubbioso...
Non vado... non resto...
Che stato funesto!
Che passo crudel!
(parte con Ubaldo, e si rivolge sovente con tenerezza a riguardare Armida)
Armida, indi Zelmira.
ARMIDA
Barbaro! E ardisci ancor... vedi, se t'amo:
vieni, e placata io sono:
ma non dirmi più mai...
(si avvede, che manca Rinaldo, e si alza con stupore)
Con chi ragiono?
Infelice! Ei partì. Rinaldo, oh dio!
(va d'intorno ricercandone con affanno)
Perché fuggi da me? Parla, rispondi.
Rinaldo, anima mia, dove t'ascondi?
Che crudeltà, qui sola,
e oppressa dal dolor, ch'ei mi cagiona,
quel barbaro mi vede, e m'abbandona!
No, sì crudel non è: m'ama, conosco
tutto il suo cor... Ah del suo amore i fregi
(osservando le ghirlande di fiori deposte da Rinaldo)
qui sparse, e lacerò!
(con impeto)
Qual altra io cerco
prova dell'odio suo? M'aborre, e fugge,
ed io mi lusingai... Dunque sì presto
disperarne dovrò? Chi sa? Potrebbe
quindi non lunge... eccolo: parmi... io miro
è desso: eppur... misera me, deliro!
Spergiuro! A lui chi per pietà mi guida?
Sì, vuò svenarlo io stessa, e voglio...
ZELMIRA
Armida,
tutta d'armati, e d'armi
empie il re la città: freme, e fa quindi
ogn'angolo osservarne, ed ogni lido.
ARMIDA
E Rinaldo?
ZELMIRA
Partì.
ARMIDA
Partì l'infido!
ZELMIRA
Forse co' suoi compagni
egli a perir s'invia. Le insidie altrui
loro scopersi invan.
ARMIDA
Come?
ZELMIRA
Dispose
Idreno, che sian tutti
nell'uscir dalle mura
trafitti gli europei.
ARMIDA
Mancava ancora
alle sventure mie questa sventura!
E Rinaldo in periglio!... Ah sì l'ingrato
cada, e miri, in cader, l'empio omicida,
e chiami invano in suo soccorso Armida.
È un traditor... Ma non potrebbe un giorno
del suo rigor pentito... Ah si difenda
una vita sì cara! O almen con lui
voglio morire anch'io.
È un ingrato, lo so, ma è l'idol mio.
Dopo un soave affetto,
che ci avvampò nel seno,
ditemi, amanti, almeno,
se disarmar si può!
Vorrei scacciar dal petto
l'autor del mio tormento,
e in petto ognor lo sento,
ma discacciar no 'l so.
(parte)
Zelmira, indi Clotarco.
ZELMIRA
Oh come amore ora l'affanna, or l'ira!
CLOTARCO
Siam perduti, o Zelmira.
Occupa il re la via, che al nostro scampo
tu pietose insegnasti. Ubaldo invano
l'uscita ne tentò. Sospetta Idreno
del tradimento tuo: me pur minaccia
tuo complice, ed amico. A noi non resta
più difesa a sperar.
ZELMIRA
Seguimi: ancora
una via troverò...
CLOTARCO
Dove? Se tutta
ingombrano i custodi
l'inimica città!
ZELMIRA
Dunque vorrai
aspettar morte? Avventurar conviene
tutto a nostra difesa.
Ha gran parte la sorte in ogni impresa.
Prema tranquillo il lido,
freni l'avara speme,
chi teme ~ ognora infido,
e senza calma il mar.
L'immensità profonda
miri da lunge, e altero
rimiri errar per l'onda
il provvido nocchiero,
e lieto ritornar.
(parte con Clotarco)
Accampamento degli europei in vicinanza di Damasco, dove i Fanti sono schierati, e attendati sul colle, e la cavalleria nel piano. Veduta di una parte della città.
Rinaldo, e Ubaldo.
RINALDO
Lascia, ch'io la raggiunga. Essa affannosa
verso di noi correa,
ma l'inimica, e rea
turba la circondò! Non merta amore
tanta pietà? Senza di lei noi forse
non eravam perduti? Oh troppo fida,
adorabile Armida! Io fiero, ingrato
ti abbandono, t'uccido, e tu pietosa
a salvarmi ti affretti,
con provvido consiglio
tu vieni a parte ancor del mio periglio!
UBALDO
Rinaldo, alla sua cura
son grato anch'io. Dal traditore Idreno
distinguerla saprò, ma se t'inoltri
ora sull'orme sue, ti perdi, o almeno
il rischio tuo rinnovi. Eccoti alfine
tra quei compagni a soggiogare eletti
l'oriente infedel. Ciascun t'aspetta
la nostra a vendicar comune offesa,
ed a finir la ben comincia impresa.
Leggi, al veder te sciolto,
leggi a ciascuno il suo piacer in volto.
Vieni.
RINALDO
Ma pria del mio furore il peso
ne senta Idreno. Egli ad Armida, a noi
nemico è già. Comincerò da questa
le mie vittorie. Andiam.
(in atto di partire)
Armida frettolosa con séguito di Guardie, e detti.
ARMIDA
Prence, t'arresta.
Da te Armida tradita, e che pur giunse
con suo rischio a salvarti,
ascolta ancor per un momento, e parti.
No, Rinaldo, io non vengo
la tua perfidia a rinfacciarti, i nostri
affetti a rammentar, o le funeste
tue mendaci proteste.
Merito l'odio tuo: son rea, lo vedo,
perché troppo t'amai, perché non posso
di te scordarmi, e ti difendo ognora:
mi tradisci, m'opprimi, e t'amo ancora.
Pietà cerco da te, pietà, ch'è degna
del tuo cor generoso...
RINALDO
Ah principessa,
più non farmi arrossir. Barbaro, ingrato
so, che teco son io, ma con mia pena,
ma costretto lo sono. All'amor mio
si oppone il mio dover: m'accusa il mondo,
la gloria mi richiama,
né vuol, che l'età mia consumi intera
a idolatrare una beltà straniera.
La tua costanza ammiro: io so, che m'ami,
questa vita è tuo dono: io mi rammento
le promesse, gli affetti... Ah per tua pace
un infelice oblia,
che sol per suo dover fu traditore,
ma che d'esserlo geme, e n'ha rossore.
ARMIDA
Sei tu, ch'ora mi opponi
questo ignoto dover? Ma quando ancora
non amarmi potevi, o allorché osasti
un'infelice lusingar, non era
questo dover sì necessario, o forse
egli era in quell'istante
invincibile meno, e men costante?
Crudel! Libero allora
e di amare, e d'odiare, dunque d'amarmi
scegliesti per mio duolo,
per oltraggiarmi, e per tradirmi solo!
(piange)
RINALDO
Duce, pietà, consiglio: a quel suo pianto
più resister non so.
UBALDO
Deh principessa,
s'ami Rinaldo, ama il suo onor: non tenta
d'indebolirlo più. Rendilo alfine
alla patria, e a sé stesso,
ed alla gloria sua.
ARMIDA
No non pretendo
d'insidiare il suo cor. Segua la via,
che a lui la gloria addita, io sol ricerco
un asilo fra voi. M'uccide Idreno,
se in Damasco rientro. Io sarò sempre,
Rinaldo (ah non più mio!) qual tu mi brami
tua preda, e schiava, e de' perigli tuoi,
se tu a parte mi vuoi, son lieta assai,
nemmen d'amor ti parlerò più mai.
Così tenue pietà pur si concede
a' nemici più rei,
che a me s'abbia a negar temer dovrei?
UBALDO
Armida a questo segno
non avvilirti. Avrai pronta difesa
ora dall'armi nostre. In questo campo
a noi lasciarti, e a te restar non lice.
ARMIDA
E Rinaldo che dice?
RINALDO
Udisti? Io sento
tanta pietà di te... Ma a voglia mia
più dispor non poss'io. Credimi, o cara,
non è sdegno, o disprezzo...
ARMIDA
Tu compensi il mio amor con questo prezzo?
Di compianger tu fingi
la mia sorte crudele, ed il mio scorno,
come d'amarmi, empio, fingesti un giorno.
M'odii? Estinta mi vuoi? Barbaro, io vado
ad appagarti alfine. Ah per chi mai
tanto amor, tanta fé, numi, io serbai!
Partirò, ma pensa, ingrato,
che tradita io son da te.
RINALDO
Idol mio, condanna il fato,
non accusa la mia fé.
UBALDO
(ad Armida)
Soffri in pace le tue pene.
(a Rinaldo)
Tu rammenta il tuo dover.
ARMIDA
Infedele!
RINALDO
Addio mio bene.
UBALDO
Ah se alfin partir conviene.
Insieme
RINALDO
Non si torni a sospirar!
ARMIDA
Non mi vegga a sospirar!
(Rinaldo, ed Ubaldo s'incamminano verso le tende, bensì Rinaldo si arresta a ciascun passo ad osservare Armida)
ARMIDA
Traditor... ma fugge... oh dèi!...
senti pria... non so... vorrei...
(agitata)
Si confonde il mio pensier!
RINALDO
Cara, io t'amo... e torno anch'io...
(con impeto si libera da Ubaldo, e si avvicina ad Armida)
UBALDO
(con sdegno)
Se sì debole tu sei
va', ritorna a delirar.
ARMIDA
Dimmi almen...
RINALDO
Mio bene, addio.
(confuso guardando Ubaldo, ed allontanandosi da Armida)
Tu non puoi vedermi il cor!
ARMIDA, RINALDO E UBALDO
Se produci un tanto affanno,
ah sei pur tiranno ~ amor!
Sotterranea illuminata da lampade a diversi lumi con all'intorno tutti gli strumenti, e i simboli della magia, e dell'arte divinatoria. Ara di pietra nel mezzo dedicata agli dèi inferi.
All'aprirsi della scena al suono di funebre sinfonia si veggono comparire Zelmira, e Clotarco incatenati, incoronati di frondi di cipresso, e circondati di bende ornate di simboli, e di caratteri, preceduti dai Ministri del tempio, i quali portano gli strumenti del sacrificio, e sono seguiti da Guardie, indi Armida, e Idreno in abito di augure co' la tiara in capo, preceduto da diversi Maghi portanti in mano doppieri accesi, e seguito dai Custodi reali.
IDRENO
(ad Armida)
Di pietà non parlarmi. I prieghi tuoi
omai fervon piuttosto
d'alimento al mio sdegno. Io non respiro
che vendetta, e furor. Dolce mi sembra
coteste rimirare a morte in faccia
vittime inorridir, e allorché 'l ferro
sentonsi nelle vene,
tremar vederle, intridersi di sangue
languidamente i lumi erranti aprire,
impallidir, contorcersi, morire.
ZELMIRA
Barbaro!
CLOTARCO
Invendicati
non moriremo almen.
ARMIDA
S'avido sei
or di sangue così, quello si versi
di chi fomenta il tuo furor. Comprendi,
ch'ostie più grate ai barbari son tanto,
ch'amino a queste intorno are infedeli
sol le nere di morte ombre crudeli.
Gl'innocenti risparmia...
IDRENO
Ed innocente
chiami chi mi tradì? Non è Zelmira,
che abusò d'un arcano
da me fidato a lei, che aperse il varco
a' miei nemici, ed al mio amore ingrata,
quando sposa la scelgo, a uno straniero
si abbandona così? Non fur sorpresi
nella fuga ambedue? Dunque compagni
sian nella pena, e vendichi un sol colpo
l'offeso altrui riposo,
il re, la patria, il genitor, lo sposo.
ZELMIRA
Or mi è dolce il morir. Io sentirei,
vivendo teco, incrudelir mia sorte,
e a me moltiplicar l'istessa morte.
Tu mi difendi, Armida,
appresso il genitor. Digli, che abuso
fe' dell'arbitrio suo, che quando ei volle
destinarmi a uno sposo, il genio mio,
non l'util suo dovea
pria consultar, che troppo del suo sangue
prodigo fu: di lacci egli m'avvinse,
e di sua mano il ferro in sen mi spinse.
Esagera il suo error: co' la mia strage
tanti spaventa insani
genitori indolenti, ed inumani.
ARMIDA
(Mi fa pietà!)
IDRENO
Ministri, olà, prendete
le vittime infelici.
CLOTARCO
Empio tiranno,
se morir tu mi fai...
ZELMIRA
S'io cado esangue...
ZELMIRA E CLOTARCO
Contro te parlerà questo mio sangue.
I Ministri conducono le due Vittime all'ara, appiè della quale le fanno sedere, e le legano. Quindi uno de' Ministri presenta al Re la sacra scure sopra un bacile, ed egli nel porgerla al Gran sacerdote, canta i seguenti versi accompagnati da grave sinfonia, e in questo tempo sentonsi tratto tratto alcune scosse di terremoto, e fremiti di tuono.
IDRENO
Del Tartaro profondo austeri numi,
terribili ai viventi,
che la luce smarrir fate alle stelle,
di turbinosi venti,
di sonore procelle
il ciel n'empiete, e 'l mare, e ad un sol cenno
le pallide sventure escon dai vostri
caliginosi regni.
Sulla terra a versar rovine, e sdegni:
le vittime accogliete,
ch'or si svenano a voi: portino seco
il mio timor: soccorso a me prestate,
dell'arti vostre esecutor mi fate.
Nell'atto di porgere la scure al Sacerdote, si ode un più forte fragore, ed esce improvvisamente da sottoterra fra diverse vampe di fuoco l'Ombra di Tabrimon antico re di Damasco, e d'altra parte l'Odio, la Vendetta, e l'Ira, che avvicinandosi all'ara, rovesciano i vasi adornanti la medesima, indi la detta Ombra si raggira fremendo, l'Odio getta ai piedi d'Armida un pugnale, la Vendetta uno strale, l'Ira una face, e tutti insieme spariscono.
IDRENO
Che orror! Perduto io sono. In quelle atroci
spaventose sembianze
lessi la mia rovina. Odiano i dèi
queste vittime forse. Il reo m'è ignoto,
che lor deggio immolar, che il soglio mio,
la mia vita insidiò.
ARMIDA
Quel reo son io.
Sì, t'ingannai: dal tuo furor difesi
i traditi Europei: per me son giunti
incolumi al loro campo, ed a tuo danno
essi ritorneranno: omai gli aspetta;
morte già ti circonda, e la vendetta.
IDRENO
Empia, ti punirò. Dove ti trasse
un disperato amore!
ARMIDA
Affretta il colpo,
che a me prepari, ed il mio trono usurpa,
ma goderlo non spera. Io più non posso
me stessa tollerar: fra opposti affetti
il cor mi si divide:
pietosa è quella man, ch'ora m'uccide.
IDRENO
Sarai paga a momenti. Olà, custodi,
in carcere distinto i rei serbate
al lor supplizio. Oh quali
minacciosi fantasmi io veggo intorno!
Perfidi, io voglio... Oh tradimento! Oh giorno!
Perfidi, sì, tremate,
ancor non sono oppresso,
e vendicar me stesso,
perfidi, ancor saprò.
Libero almen son io,
può ben cangiar mia sorte:
per voi fra le ritorte
no, che cangiar non può.
(parte col séguito dei maghi e sacerdoti)
Armida, Zelmira, Clotarco, e Guardie.
ARMIDA
Prence, de' tuoi custodi
è duce Argante: a lui questo presenta
(porge una gemma a Clotarco)
noto monile, e un adito alla fuga
egli aprirti saprà. Libera ancora
teco resti Zelmira. Io sola, io devo
oggi morir. Al traditor Rinaldo
narra la strage mia. Digli, che Armida
sopravviver non seppe al suo rigore,
e pensando quai fummo, in sul mio fato
qualche lagrima ancor versi l'ingrato.
CLOTARCO
Povera principessa,
quanta pietà mi fai!
ZELMIRA
Come compensa
amore i suoi seguaci! E ognun ricerca
sollecito il suo giogo, e v'è chi loda
sì debol servitù, gli anni migliori
chi sol consacra a lui,
cieco così sulle rovine altrui?
Ah fuggite amor più lieti
voi, che siete in libertà:
ci fa deboli, inquieti,
delirar sempre ci fa.
Più che l'ira de' tiranni
sue lusinghe ognor temete:
i suoi vezzi sono inganni.
Infelici, se credete
a chi fé serbar non sa.
(parte con Clotarco fra i custodi)
Armida sola fra le Guardie.
Che fai, che pensi, Armida? Oppressa alfine,
tradita, abbandonata,
a morir già vicina,
e innocente morire, e invendicata!
Ma sulla mia rovina
trionferà Rinaldo? Ah no!... Sì viva,
sin ch'io 'l riduca almeno
tremante a' piedi miei. Sia la sua pena
d'esempio agl'incostanti:
spaventiamo così gl'infidi amanti.
Vadasi... E come, e dove? Egli protetto
dall'armi sue queste mie mura istesse
stringe, minaccia, e sfida:
io tradita così... povera Armida!
Senza difesa, esposta
al furor d'un tiranno avido ognora
di vedermi morir... Dunque si mora.
Quel perfido arrossisca: il ciel, la terra
faccian le mie vendette. Ombra seguace
l'agiterò, finché sé stesso odiando,
colla man, ch'era mia, di cui mi priva,
disperato s'uccida... Ah no ch'ei viva!
L'ingrato vive, e 'l barbaro suo core
è insensibile forse al mio dolore!
Perché se m'odia, oh dio!
Quell'anima incostante,
perché più non poss'io
odiar quell'alma ancor!
Perché quel suo sembiante
amor formò sì bello,
e perfido, e rubello
gli formò poscia il cor!
(parte fra le guardie)
Cortile nel palazzo reale.
Idreno con séguito di Soldati, indi Ubaldo seguìto da' suoi.
IDRENO
Coraggio, o miei seguaci. È da' nemici
sorpresa la città, però non siamo
perduti ancor. Degli Arabi lo stuolo,
che a nostro pro s'invia, non è lontano.
Vidi nel vicin piano
sparse al vento ondeggiar le nostre insegne.
Qui intrepidi restate, onde il nemico
alla regia non passi. Intanto Armida,
prima cagion del rischio mio, s'uccida.
(parte, e restano in difesa del posto i suoi soldati)
UBALDO
Seguitemi, o compagni:
tutto a noi cede. Ad occupar la reggia
lieve inciampo saranno
que' timidi soldati. Al vostro aspetto
impallidiscon già: lor trema il ferro
nell'inabile destra. In ogni impresa
l'usato ardir vi chiedo:
assalite, uccidete: io vi precedo.
Va ad attaccare i Nemici, e dopo breve zuffa li disordina, li vince, e poi tutti si disperdono fra le scene.
Clotarco, e Rinaldo, indi Zelmira.
CLOTARCO
Sì, per mio scampo offrì sé stessa Armida
a una pena non sua. Da te tradita,
essa aborre una vita,
che amava sol per te. Col suo favore
libero io sono.
RINALDO
Oh generosa! Oh troppo
principessa fedel! Cerchiamo, amico,
una via di salvarla...
ZELMIRA
Oh sventurata,
e a torto oppressa Armida! Or va', Rinaldo,
l'opra a mirar del tuo rigor.
RINALDO
Che dici?
CLOTARCO
Che avvenne mai?
ZELMIRA
Già l'infelice è tratta
crudelmente a morir. La vidi...
RINALDO
Ah come!
In suo soccorso andiam. Tutto si tenti
a sua difesa. Io morirò con lei,
s'altro far non potrò. L'onor l'esige,
gratitudine il chiede,
il dover, la pietà, l'amor, la fede.
(parte con Clotarco)
Zelmira, indi Ubaldo, e Idreno fra le Guardie.
ZELMIRA
Fuggiam da queste sponde amene un giorno,
ora ingombre d'orror. Come la sorte
delizie alterna, e danni
ed in seno al piacer nascon gli affanni!
(parte)
UBALDO
Empio, cedi quel ferro, inutil peso
all'imbelle tuo fianco.
IDRENO
(getta la spada)
Oppresso io cedo
all'avverso destin, ma l'odio mio
ceder non sa.
UBALDO
Vedrai se può giovarti
l'impotente odio tuo. Dov'è Clotarco?
Traditor, me lo rendi.
IDRENO
O cadde, o forse
a trapassargli il seno alcun s'affretta.
Incomincia da lui la mia vendetta.
UBALDO
Ah, barbaro, se mai
l'uccidesti così, trema, ch'io serbo
fra i scempi, e le ritorte
in più pene divisa a te la morte.
IDRENO
Guardo il mio fato estremo,
non mi turbo, t'insulto, e non ti temo.
(partono)
Rinaldo, che tiene Armida per mano.
ARMIDA
Lasciami, traditor. Perché mi togli
a una morte, ch'è pena assai minore,
e dolce a paragon del tuo rigore?
Per chi vivrò, se mi tradì Rinaldo,
in cui raccolti, e fissi
tenni i miei voti, e per amarlo io vissi!
RINALDO
Ah, principessa, inorridisco ancora
pensando a te! Serba una vita almeno,
ch'or ricevi da me. S'è ver, che m'ami,
no, di te non mi priva...
ARMIDA
Perfido, m'abbandoni, e vuoi, ch'io viva?
So, che troppo conosci
la debolezza mia. Non ho valore
d'obliare un ingrato,
che m'involò la pace,
e un traditore odiar, che ancor mi piace.
Ah lasciami morir!
(in atto di partire)
RINALDO
Fermati. Oh dio!
Non sii crudel così...
ARMIDA
Crudel son io?
Misera, ch'io no 'l fui, quando ti vidi
solo, immerso nel sonno, entro il mio regno,
e un colpo sol potea
me vendicar d'ogni mio torto antico,
ed Asia liberar da un gran nemico!
Ma ti vidi, e t'amai. Se ancor tu 'l puoi,
richiama alla memoria
quel fatal giorno almen di tua vittoria,
o se spiace al tuo orgoglio,
con rammentar quel dì punirti io voglio.
Ah no, per un ingrato,
che amor non ha, che 'l finge, e l'avvelena,
troppo dolce saria cotesta pena!
RINALDO
Non trafiggermi più. Vivi, e ti serba
sull'Asia a dominar. Legge daranno
a imperi così vasti i tuoi pensieri.
ARMIDA
Il tuo cor io dimando, e non gl'imperi.
Ma che dissi, infelice! Omai ti scorda
l'amor, la fede altrui,
qual meco fosti un dì, qual teco io fui:
pensa, che siam nemici. Io mille volte
tentai svenarti: or vendica te stesso,
lacera un cor, dove tu vivi impresso.
Degno il colpo è di te: non invidiarmi
una morte sì cara.
(con tenerezza gli prende la mano, e gliela bacia)
A me fia dolce
morir per questa mano,
che adoro, e che fia mia, lo spero invano.
RINALDO
Oh dio! Vincesti, Armida.
Son tuo: basta così. Pace non trovo
fuori di te. Di fedeltà m'accusi
il mondo pur: forse avverrà, che poi
l'accusa sua rivochi,
o almen superbo andrò, perché tra noi
di colpa così bella i rei son pochi.
Clotarco, e detti.
CLOTARCO
Signor, deh vieni a raffrenar l'insana
licenza militar. L'orror, la morte
erra indistinta, e scorre
della città nemica ogni sentiero.
RINALDO
E Ubaldo?
CLOTARCO
È lunge.
ARMIDA
E Idreno?
CLOTARCO
È prigioniero.
(parte)
ARMIDA
Ah si rispetti almeno
l'infelice mio re! Vado in difesa
di lui, che m'odia, e n'ha ragion. Rinaldo,
abbi pietà di noi. Torno a momenti:
rimanti, addio. Ma senti,
ch'ho da sperar da te?
RINALDO
Tutto, o mia vita.
Riposo avrai... sarò... (Dirlo non oso!)
ARMIDA
Sai, che sta nel tuo amore il mio riposo.
Ma tu mi guardi, e taci! Ah sei pentito
forse d'essermi grato?
RINALDO
Anzi mi spiace,
che teco io fui crudel.
ARMIDA
Dunque son io...
RINALDO
La mia vita, il mio ben.
ARMIDA
Tu sei...
RINALDO
D'Armida
l'amante, e 'l difensor.
ARMIDA
E speri...
RINALDO
I giorni
viver con te felici.
ARMIDA
E ti consola...
RINALDO
Sol questa mia speranza, e Armida sola.
Ancor da te diviso
presente a me tu sei:
tutti gli affetti miei
non san pensar che a te.
ARMIDA
Ognor sul tuo bel viso
s'arresta il core amante:
ognor per te costante
più non ritorna a me.
RINALDO
Ad una fé sincera...
ARMIDA
A così dolce affetto...
ARMIDA E RINALDO
Dov'è quell'alma austera,
che accendersi non sa?
RINALDO
Più non temer, ben mio.
ARMIDA
Più non tradirmi, o caro.
ARMIDA E RINALDO
Ma se fedel son io,
abbia di me pietà.
(partono da diverse parti)
Ubaldo, e Clotarco.
UBALDO
Dunque ad Armida appresso
vedi Rinaldo, e a lui più non ti opponi,
e con Armida ancor tu l'abbandoni?
Vanne, cerca, il raggiungi,
guidalo a me.
CLOTARCO
Donne, ugualmente è reo,
a idolatrarvi chi servil si avvezza,
e chi ruvido ognor vi fugge e sprezza.
(parte)
UBALDO
Troppo ei si lascia in preda
al suo piacer. I moderati affetti
utili sono in noi, com'esser suole
in fresca riva a verdi piante il sole;
ma come il sol fervido troppo uccide,
o inaridisce quelle,
che i suoi più dolci rai faceano belle,
troppo ardenti così gli affetti in noi
l'alma opprimono alfin, che inaridita
ogni virtù più rara,
a servir solo, ed a languire impara.
Chi a regnar sul vostro core,
donne belle, aspira altero,
di sé stesso ognor l'impero
ha da perdere così.
Per mercé del vostro amore
delirar dovrà con voi,
consacrarvi i voti suoi,
le sue cure, ed i suoi dì.
(parte)
Clotarco, e Rinaldo, indi Ubaldo.
CLOTARCO
Signor, a un gran cimento
seguendo Armida ora ti esponi.
RINALDO
Amico,
scusa i trasporti miei. So, che purtroppo
debole comparisco agli occhi altrui,
ch'io non son quel, che fui, che all'amor mio
sacrifico la gloria, e la mia pace,
ma la mia debolezza ancor mi piace!
UBALDO
Principe, al campo, all'armi
solleciti si corra. Un empio stuolo
d'arabi masnadieri usi all'insidie
d'improvviso c'investe: a nostro danno
Idreno gli affrettò. Ti offre la sorte
un incontro opportuno,
Rinaldo, a compensar quanto perdesti
fra i vezzi del piacer. Gli empi debella
fumanti ancor di nostro sangue, alteri
delle spoglie a noi tolte. Al nostro duce
con sì gran prova di guerriero ardire
presentarti potrai senza arrossire.
In faccia a te ritorni
Asia a tremar, che mentre amor ti occulta,
dell'imbelle ozio ride, e t'insulta.
RINALDO
Ma che sarà d'Armida?
È troppa crudeltà lasciarla esposta
sola in mezzo alle stragi... Ah tu non sai,
qual contrasto d'affetti in seno io provo!
UBALDO
Ritorni forse a vacillar di nuovo?
Se della tua tiranna
t'indebolì l'aspetto. Evita, o prence,
questo fatal soggiorno, in cui son tese
mille insidie al tuo cor. Fra queste mura
no, la tua libertà non è sicura.
Sei vinto già, se amor tu sfidi, e sei
vincitor, se lo fuggi. Allorché manca
l'occasion, s'estingue
il fomento, che 'l pasce. Alfin recidi
la sua radice infesta,
che un dì potria rigermogliar funesta.
Va', mi precedi al campo. Io tutto affido
te stesso a te. D'una pietà servile
frena i moti, che amor torna a destarti:
non t'affanna, non pensa: ardisci, e parti.
RINALDO
Quante volte esser deve
e vinto, e vincitor! Qui l'aria, i sassi,
il terreno, ogni oggetto
inspirano al mio cor l'antico affetto.
Fuggasi alfin: povera Armida! Almeno
tu la consola, amico:
dille... ah dille per me ciò, ch'io non dico!
Di', che fedel io sono,
e dille il mio dolor;
ch'è ver, ch'io l'abbandono,
ma che le lascio il cor.
Tergi le sue pupille,
calma il suo core oppresso,
dille, che viva, e dille
quanto mi costa adesso
il mio crudel rigor!
(partono da diverse parti)
Magnifico palazzo di Armida, che poi rovina, e si trasforma in una deserta campagna, nella quale si veggono parecchi mostri.
Zelmira, poi Idreno incatenato fra le Guardie, indi Armida.
ZELMIRA
(alle donzelle di suo séguito)
Come! Partì Clotarco? Ecco la fede
ed ecco la pietà, che quell'ingrato
mi giurò, mi promise! Ah mie compagne
a creder siam nui
facili troppo alle promesse altrui!
IDRENO
Tu vedi il tuo trionfo
nella sventura mia.
ARMIDA
Sire, s'avanza
degli arabi il soccorso. Omai saranno
le tue catene infrante.
IDRENO
Armida ancora
ad insultarmi viene?
Vanne: son men crudeli
della perfidia tua le mie catene.
Ubaldo, e detti.
UBALDO
Olà, soldati, al campo. Il re superbo
traete, ove il suo reo destin lo mena.
Voi venite al trionfo, egli alla pena.
ARMIDA
(con affanno)
Signor, pietà. Sospendi...
dov'è, che fa Rinaldo? Ei mi promise...
ed or mi lascia oppressa...
UBALDO
Di lui t'oblia, pensa a salvar te stessa.
Farò di queste mura
un cumulo di sassi. I vostri inganni
su voi ricadranno.
A tremar, a morir vieni, o tiranno.
(parte)
ARMIDA
Mio re.
IDRENO
Perfida, addio. Vivi, e infelici
rendi almeno, vivendo, i miei nemici.
(parte fra le guardie)
Armida, Zelmira, indi Clotarco, e poi di nuovo Zelmira.
ARMIDA
Zelmira, per pietà cerca, t'affretta,
guida Rinaldo a me.
ZELMIRA
Pietà mi chiedi?
Così confusa sono,
che incerta al mio destino io m'abbandono.
(parte)
ARMIDA
Mi lascerà Rinaldo
fra le rovine mie, così sepolta!
Ho da soffrirlo ingrato un'altra volta?
Fuggi, seguimi, Armida: il tuo periglio
indugio non ammette.
CLOTARCO
Fuggi, seguimi, Armida: il tuo periglio
indugio non ammette.
ARMIDA
Eppur non torna
Rinaldo ancor?
CLOTARCO
Di lui ti scorda. Astretto
sospirando partì. La fé, l'amore
ei serba a te, quanto il dover lo chiede.
ARMIDA
Empio! Questo è l'amor, questa è la fede?
Finge pietà per me, soccorso, e pace
mi promette di nuovo, e poi crudele
in periglio sì rio
da me s'invola, e non mi dice addio!
Misera, ch'io dovea svellergli 'l core,
quand'era in mio poter! Ah dove apprese
sì dura crudeltà! No, no 'l produsse
l'italo ciel: d'orrida fiera i primi
alimenti egli trasse: a lui diè vita
sul Caucaso gelato errante scita.
ZELMIRA
S'avanza, o principessa,
de' nemici il tumulto. In questa reggia
più sicure non siam.
ARMIDA
Deh mi lasciate
in preda al mio destin!
CLOTARCO
Serbati almen...
ZELMIRA
Vivi, estingua il furor l'amore antico.
ARMIDA
Chi mi parla di vita è mio nemico.
CLOTARCO
Dunque perir vorrai?
ARMIDA
Vanne.
ZELMIRA
Ti spiace
la pietà, ch'ho di te?
ARMIDA
Lasciami in pace.
ZELMIRA
Ma non vedi...
CLOTARCO
Non sai, che ti sovrasta...
ARMIDA
Lo so, lo vedo: alfin partite, e basta.
CLOTARCO
Zelmira, andiam, né questi
perdiamo utili istanti.
ZELMIRA
Oh amor tiranno! Oh sempre ciechi amanti!
(parte con Clotarco, e con esso loro tutto il seguito di Armida)
Armida sola.
Dunque per mio tormento
nacque Rinaldo! E ognor così mi strugge!
Mi giura amor, poi m'abbandona, e fugge!
Sì, l'empio, e gode del suo inganno.
Ah spergiuro! Ah tiranno! All'amor mio
questa tu rendi, oh dio, crudel mercede?
Povera Armida, a chi darai più fede!
Fermati, ingrato: aspetta...
abbi pietà... Ma no.
Tradita, oh dio, così!
Pera chi mi tradì: voglio vendetta.
Nere furie inquiete,
ministre del mio sdegno, olà, che poi
di vendicarmi io lascio il peso a voi.
Escono prontamente diverse Furie incatenate.
ARMIDA
Arda, cada la reggia. Ite, scorrete,
svenate il reo, per cui m'affanno, e moro...
Le Furie rompono le loro catene, e s'affrettano ad eseguire gli ordini d'Armida. Apresi in questo mentre la terra, e vi esce un fuoco, in mezzo a cui compariscono l'Odio, la Vendetta, e la Disperazione armate di faci; ne distribuiscono alle altre Furie, e corrono ad incendiare il palazzo, che subito rovina, e vi resta invece una deserta campagna.
ARMIDA
No, risparmiate un traditor, che adoro.
Ah come! E avrò pietà... no; mora. Io stessa,
io 'l giungerò: vuò, che tremante ei miri
per suo orror, per sua pena
la man, ch'egli deluse, e che lo svena.
Comparisce un carro tirato da due draghi, sopra cui ascende Armida, e si dilegua; e quindi le divisate Furie intrecciano il ballo, che dà fine allo spettacolo.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
(W)