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Armida

ARMIDA

Dramma per musica.

Versione sintetica a cura di www.librettidopera.it.

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Libretto di Jacopo DURANDI.
Musica di Pasquale ANFOSSI.

Prima esecuzione: 27 gennaio 1770, Torino.


Personaggi:

ARMIDA principessa di Damasco amante di

soprano

RINALDO principe italiano

soprano

UBALDO uno de' capitani dell'armata di Goffredo

tenore

IDRENO re di Damasco, e zio di Armida

soprano

ZELMIRA figlia del Sultano d'Egitto destinata sposa ad Idreno

soprano

CLOTARCO principe di Dania, compagno di Ubaldo, amante di Zelmira

soprano


Comparse di Donzelle persiane e damascene con Armida; Cortigiani, e Famigli con Rinaldo; Donzelle, ed Eunuchi neri con Zelmira; Satrapi, Guardie, e Maghi con Idreno; Soldati europei con Ubaldo.

La scena si finge in Damasco, e nelle sue vicinanze. Il tempo è il giorno dell'arrivo di Ubaldo. L'azione è l'abbandonamento di Armida per la fuga di Rinaldo.

Argomento

Armida principessa di Damasco, a fine d'indebolire l'esercito de' cristiani, i quali assediavano Gerusalemme, infra altri guerrieri sedusse, e imprigionò Rinaldo. Egli languendo nell'amore più non curavasi della conquista di terrasanta, quando inaspettatamente vi giunse Ubaldo con un'armata di europei sotto di Damasco, per costringerne il re a rimettere in libertà i cristiani guerrieri, e vendicarne i sofferti danni. Ma tentò pria di trattare amichevolmente col re medesimo, il quale dissimulando i nuovi suoi meditati tradimenti, s'infinse di voler adempire le giuste pretese dell'europeo capitano. Intanto questi ebbe agio di parlare a Rinaldo, rimproverargli il vergognoso suo ozio, e persuaderlo a partire. Così nell'animo del valoroso giovine gli stimoli di gloria vinsero le più accorte tenerezze dell'amore.

Però la favola d'Armida, che forma uno de' migliori episodi della Gerusalemme Liberata, si è nel presente dramma variata così in alcuni caratteri, come nelle sue situazioni, e circostanze, per formarne un'azione sola, regolare, e più verosimile, e ridurla ad unità di luogo, e di tempo; laonde dell'antica favola si trasportò quel solo, che si giudicò più convenevole a dare una qualche novità allo spettacolo, a cagion della quale unicamente s'ideò questo dramma, il di cui intreccio s'intende dal medesimo.

Ballo primo: Amore custode del giardino di Armida

Sopra un cespo di fiori Amore se ne sta dormendo presso la porta del giardino di Armida, e tiene a' suoi piedi il turcasso, l'arco, la face, e la sua benda.

Le Grazie scherzando vi arrivano, vogliose di entrare nel giardino: osservano Amore, che dorme, e restando meravigliate, e sorprese, e tra di loro consultano, se lo debbano svegliare. Una di esse accenna alle altre le armi di Amore giacenti per terra, e tutte corrono con impazienza a prenderle, e con gioia fra di loro se le dividono.

Intanto Amore si risveglia, vuol ripigliare le sue armi, e si affanna non ritrovandole più: poscia veggendole in mano alle Grazie, corre per loro levargliele, ed esse ridono dello sdegno di Amore, e sono risolute di non rendergli le sue armi.

Egli mostrando loro un mazzetto di fiori, si fa intendere di volerlo donare alla più bella, s'esse gli consegneranno le armi involate: ciascuna ambiziosa di questo vanto, lusingandosi di poterlo meritare, gli consegna ciò, che gli tolse. Amore raccoglie le sue armi, e poi se ne fugge nel giardino.

Le Grazie non avendo potuto arrestar Amore dimostrano il loro rammarico, intrecciando una breve danza: vi giungono i Piaceri portanti ghirlande di fiori, ch'essi regalano alle Grazie, s'uniscono al loro ballo, che termina graziosamente.

Sopraggiungono finalmente le Ninfe insieme ai Piaceri, ch'esse tengono legati co' loro nastri, e ghirlande, e formano un ballo: Amore si presenta alla porta del giardino in atto di scoccare i suoi strali: le Grazie, e le Ninfe in veggendolo, accorrono per impedirlo: egli domanda loro perdono, ed esse gli formano un trono di fiori, che che si dà fine al ballo.

Ballo secondo: accampamento, ossia la lotteria militare

Giunge per riposarsi nel campo l'equipaggio de' turchi difeso dalla retroguardia con vari muli carichi di bagaglio.

Un corpo d'infanteria d'Europa viene ad attaccare il campo: al primo incontro l'armata turca fa piegare quei nemici, i quali fuggono, e sono inseguiti dai vincitori. Intanto un corpo di truppe leggere viene a sostenere i fuggitivi, li riunisce, e col fuoco dell'artiglieria si rinnova il combattimento, nel quale i turchi sono perdenti, e depongono le armi.

I vincitori si rendono padroni del campo: il generale ordina a un corpo di truppe di condurgli innanzi i prigionieri: mentre l'armata depone le armi, e il generale va a riposarsi nella sua tenda.

Quindi arrivano al campo parecchi vivandieri, i quali portano viveri all'armata: i soldati lo ricevono con segni di allegrezza: altri banchettano, altri fumano tabacco, altri invitano i vivandieri a ballare, e sono poi interrotti dall'arrivo della sposa del generale a cavallo seguita da' lacchè, palafrenieri, e da un piccol distaccamento di truppe, il resto prende le armi, ed il generale va all'incontro della sua sposa, la quale scende da cavallo vicino alla tenda del generale, ed il resto della truppa si riposa sulle armi, e molti d'essa ritornano verso le vivandiere.

Si eccita poscia una contesa tra i soldati, e si battono: i vivandieri tentano pacificarli, e in questo mentre il generale esce della sua tenda, per intendere il motivo della zuffa: allora tutti depongono le armi, e vanno a ragguagliarne il generale, il quale accenna doversi decidere colla sorte la contesa, e tutti dimostrano di acquietarsene.

Si apportano gli strumenti della sorte: ciascuno prende posto, e se ne sta impaziente ad aspettare il suo destino. Coloro, i quali vincono la sorte, presentano un mazzetto di fiori a colei, che loro fu destinata, e ne dimostrano contentezza. Il generale ordina poscia, che vi si chiami chi registri il contratto.

Compare la persona richiesta, che distende il contratto, il quale vien poi sottoscritto dagli sposi, che circondano il medesimo, e danno dimostrazione del lor piacer coll'intreccio di un ballo, che termina ringraziando con molti inchini la persona suddetta, ed altresì tutta l'armata dimostra agli sposi il suo contento con un concerto generale seguitato da molte danze, e da una contraddanza militare.

Ballo terzo: di furie

Armida veggendosi finalmente abbandonata da Rinaldo, si dà in preda al furore, e domanda in suo soccorso le Furie, commette alle medesime la sua vendetta.

La forza delle sue invocazioni attrae i demoni ministri del suo volere: essa impone loro di distruggere il suo palazzo, e di ridurlo in cenere, e quelli subito rompono le loro catene e corrono ad ubbidirla.

In questo mentre si apre la terra, vi esala una fiamma, in mezzo alla quale appaiono l'Odio, la Vendetta, e la Disperazione armate di faci, che distribuiscono agli altri demoni, i quali corrono a rovinare il Palazzo. Armida ascende sul carro, attraversa il teatro, e le Furie eseguiscono il ballo, che termina l'opera.

Atto primo
Scena prima

Gran sala nella reggia di Damasco ornata di trofei militari, destinata per le adunanze del real consiglio, illuminata in tempo di notte; trono da un lato con gradinata ricoperta di ricchi tappeti, cuscini all'intorno per li Satrapi.
Armida, e Rinaldo.

RINALDO

Ah taci, o principessa: i tuoi sospetti

mi trafiggono il cor! Son poche prove

della mia fé quell'adorar costante

l'impero de' tuoi rai,

soffrir miei lacci, e non lagnarmi mai,

divider teco i miei pensieri, e poi

sin ridurmi a pensar co' pensier tuoi?

Non più trionfi, ed armi

son le cure mie: per te d'amore

solo imparo a languir, né mai dal dolce

piacevol sonno, in cui sepolto io sono,

delle vittorie altrui mi desta il suono.

Dunque temer non déi...

ARMIDA

Non pentirti, idol mio, d'esser qual sei.

So, che tu m'ami: ho mille

prove dell'amor tuo: non dubitai

della tua fé giammai: però mi piace

sentir replicar, che Armida sola

è il caro ben, cui d'ottener tu brami,

da te sentirmi a replicar, che m'ami.

Assai n'ho d'uopo adesso

della tua fedeltà. No, non a caso

in questa notte è tutta

in tumulto la reggia. O qualche inganno

si medita a mio danno, o son sconfitte

le sirie squadre, e dome.

Se m'abbandoni...

RINALDO

Abbandonarti? Ah come?

Io, che per te sol vivo! Io, ch'odierei,

come sorte per me troppo nemica,

il racquistar la libertade antica!

ARMIDA

Protetta io sono, il vedo,

dal tuo amore abbastanza. Io sfido altera

l'inquiete sventure a' danni miei:

non so temer, quando fedel mi sei.

Scena seconda

Idreno con séguito di Satrapi, e di Guardie, e detti.

IDRENO

Non v'è più pace, amici. Alfin la guerra,

che finor contumace

al rapido Giordano

di sangue musulmano intrise l'onde,

si propaga improvvisa a queste sponde.

ARMIDA

Ah, che dici, o signor! Così sorpresi!

Assaliti così! Rovine incontro,

ovunque già col mio pensier mi reco!

RINALDO

Che paventi, idol mio? Rinaldo è teco!

IDRENO

Pronto riparo esige

l'imminente periglio.

Si maturi tra noi qualche consiglio.

(va sul trono, appiè del quale siedono Armida, e Rinaldo, e quindi tutti i Satrapi)

Europa tutta a' nostri danni intesa

sull'Asia combattuta

di versarsi non cessa.

A costo ancor di spopolar sé stessa.

Di sì fieri nemici

la ferocia, il valor, l'audacia, e l'arti

ricordar più non giova:

purtroppo noi li conosciam per prova!

Ah quanto puote in que' lor petti alteri

brama di stragi, e avidità d'imperi!

RINALDO

Signor, vengon sull'Asia

queste schiere nemiche

le loro a vendicar ingiurie antiche.

Altra cagion più giusta

le trasse ancor...

ARMIDA

Ma rammentarla adesso

d'uopo non è.

(piano a Rinaldo)

Deh taci, o traditore.

RINALDO

Errai: perdona. (Oh tirannia d'amore!)

IDRENO

Siamo stretti d'assedio, e al rovinoso

improvviso torrente

qual argine opponiam? Le squadre, i duci

entro Solima ancor fanno dimora,

e il soccorso d'Egitto è lunge ancora.

Appena io reggo al peso

dell'armi, e della guerra. A noi sol resta

o cedere, o morir. Se v'è chi ardito

arte, o forza adoprando, i rei nemici

o debelli, o respinga, abbiasi (il giuro)

non scarso premio al faticoso impegno

Armida in sposa, ed in retaggio il regno.

RINALDO

Or nel timore, ed or nel premio, o sire,

sempre eccedi ugualmente.

IDRENO

Al rischio mio

(si alza con impeto)

chi provegga dov'è?

RINALDO

Sì, vi son io.

Sospiro, è ver, fra i dolci lacci altrui,

ma chi son mi rammento, e quel, che fui.

Lasciami il caro bene,

tu sai, ch'è mio quel core:

rammenta quante pene

ha già costato a me.

Poi de' nemici tuoi

opprimerò 'l furore,

e acquisterò, se vuoi,

novelli regni a te.

(parte)

Scena terza

Idreno, e Armida.

IDRENO

Molto promette il tuo guerrier, ma invano

mi lusinga la speme.

ARMIDA

E che paventi,

se Rinaldo è per noi? Qual mai valore

resiste al suo valor? Segue indivisa

la vittoria i suoi passi. Al suo coraggio

stimoli aggiungerò. Quell'alma grande

tu non conosci ancor. Se amante il vuoi,

egli è tenero, e grato, e se lo brami

guerriero, egli è...

IDRENO

Non mi negar, che l'ami.

Vinca Rinaldo, e debitore io sono.

A te di sua vittoria. Ah da' tuoi lumi,

donde fu l'alme altrui regnava solo,

or più docile almeno

si mosse amore, e ti passò nel seno.

Dolce han le belle il core,

né son per genio austere:

ad arte son severe,

e il finto lor rigore

da noi bramar le fa.

Senza quest'arte amore

ci languirebbe in seno,

o piacerebbe meno

sin la maggior beltà.

(parte col séguito)

Scena quarta

Armida sola.

Io dianzi, è ver cercai

d'essere amata, e i miei amanti odiai:

ma vendicossi amore, e applaudo il colpo.

La fiamma, che m'accende,

in fronte all'idol mio troppo risplende.

So, che a torto amor condanna

chi tiranno, e cieco il chiama:

infelice è chi non ama,

chi non sente il caro ardor.

È un innato istinto in noi,

necessario amico affetto,

che ci unisce, e con diletto

violenta il nostro cor.

(parte)

Scena quinta

Luogo nelle vicinanze di Damasco, in cui sorge un alto monte ricoperto di ghiaccio e di neve, con dirupi sul davanti. Lungo la sua difficile e disastrosa salita vi sono sparse diverse, e robuste piante tutte biancheggianti di neve. Il tempo è nell'aurora.
All'aprirsi della scena si veggono Ubaldo, e Clotarco a cavallo, con numeroso séguito di Soldati parte a cavallo e parte a piedi avanzarsi in ordine di battaglia.

UBALDO

Valorosi compagni,

nuovi perigli a superar vi guido.

Voi sempre in ogni lido

la vittoria precorre, e al vostro nome

d'ogni sua parte estrema

Asia omai doma impallidisce, e trema.

Sciorre i lacci al guerrier dobbiam, cui solo

l'acquisto il ciel destina

della città ch'è di Giudea reina.

Ah ch'ei su queste rive

in dolce servitù langue, e non vive!

L'insidiose d'Idreno arti ribelli

non ci sgomentan più. Desti noi siamo,

che già vani rendemmo i greci inganni,

e siamo avvezzi a debellar tiranni.

CLOTARCO

Signor, sull'erto monte

il primo io salirò: gli occulti agguati

dell'empio re disgombrerò dintorno,

prima che il sol ci riconduca il giorno.

Questi per me sono

insoliti cimenti.

Tornerò vincitor.

(s'incammina per salire sul monte, e s'intende subito un'orrida armonia, ch'imita il fremito di vento racchiuso. A mano a mano ch'egli ascende, gli si affacciano diversi terribili mostri, quali sbucando dagli imminenti dirupi, quali spiccandosi dagli alberi. Clotarco va difendendosi co' la spada)

UBALDO

Ferma: che tenti?

L'impeto affrena: a disgombrar dal monte

quest'orride sembianze, altr'armi giova

opportune adoprar.

(Clotarco discende, e i mostri s'arrestano ad occupar la strada)

CLOTARCO

Come! Non vedi

gli strani mostri a ogn'altro cielo ignoti,

che attraversan la via? Fremere osserva

quel velloso leon, ch'orrido in faccia

le bramose sue canne apre, e minaccia.

Mille intorno fischiar serpi non odi?

Con replicati nodi

tortuosi guizzar non li rimiri,

e trar l'ultimo seno i tardi giri?

Il timor non s'arresta:

voglio aprirmi la via col ferro in mano.

(in atto di risalire)

UBALDO

Ferma: tu stringi il nudo acciaro invano.

Son que' mostri insolenti

vane forme apparenti.

La cieca illusion così gli adombra,

ed una opposta illusion gli sgombra.

A me s'aspetta il dileguarli. Omai

della città nemica

guida i soldati a circondar le mura.

Io libera, e sicura

questa via renderò, donde si varca

alla reggia d'Armida. Alfin sull'orme

quindi impresse da me poscia t'invia

sicuro a replicar l'istessa via.

Clotarco conduce per altra parte i Soldati, e intanto Ubaldo ascende il monte. Ripiglia l'orrida armonia, e gli si avventano i divisati mostri, i quali poi fuggono, al vedere la magica verga, che Ubaldo loro presenta; intanto scende precipitosamente un drappello de' Custodi del palazzo di Armida, per respingere Ubaldo, e l'investono: egli retrogradando, si difende, finché disceso nel piano, attacca particolare zuffa col Duce del detto drappello, e lo vince, mentre pure i Soldati di suo séguito combattono, e debellano i Nemici. Risale finalmente il monte, e giunto, ch'egli è sulla vetta, spunta luminoso il sole, e rende più ameno il monte.

Dopo pochi momenti la detta orrida armonia, cambiando improvvisamente e di tempo, e di tuono, forma l'allegro ritornello della cavata di Zelmira.

Scena sesta

Zelmira, che scende dal monte con séguito di Donzelle, indi Clotarco.

ZELMIRA

M'alletta, m'affanna

la speme, l'amore:

confuso il mio core

più pace non ha.

Mie dilette compagne,

mentre il timor di prossime rovine

occupa già la reggia, all'ombre amiche

qui riposiam tranquille. In queste spiagge

timor non giunge: eppure

dagl'insulti d'amor non son sicure!

CLOTARCO

(avanzandosi)

(È donna, o dèa quella, ch'io miro? E quelle

sì leggiadre donzelle,

che la seguono ognor...)

ZELMIRA

(Che veggo! E donde

venne questo guerrier?)

CLOTARCO

Dimmi, se quanto

bella, ed amabil sei, tu sei cortese,

siete voi forse ora dal ciel discese?

Su quest'orride sponde

crudo albergo de' mostri, ammirar tante

beltà sì rare...

ZELMIRA

Orrore il monte imprime,

cui neve copre, e duro ghiaccio il piede:

ma poi sulle sue cime

ridente, e vaga amenità risiede.

Ivi il piacer perpetuo regna, e senza

l'amarezza, che 'l segue: ivi non sanno

infra l'erbette, e i fiori

inquiete abitar cure, e timori:

deh seguimi, e vedrai...

CLOTARCO

No, che non lice

a me nemico il seguitarti.

ZELMIRA

E come

tu nemico ci sei? Qual torto mai

da noi tu soffri? Ah non confondi ancora

coll'ire tue private

l'altrui certa innocenza. Io non t'offesi piange

né offenderti poss'io, se non con dolci

ingegnose querele,

con languide repulse,

con tenere contese,

che s'estinguono ognora appena accese.

CLOTARCO

Oh qual gentil dolore! A que' tuoi detti

mi si destò nell'alma!

Non inteso tumulto, una tal face,

che m'agita, e m'alletta, affanna, e piace.

Tuo nemico non sono, anzi tua guida,

e tua scorta sarò. Calmati, e poi

verrò, ti seguirò, dove tu vuoi.

Scena settima

Ubaldo con Guardie, e detti.

UBALDO

Già dell'arti d'Idreno,

che del nevoso alpestro monte intorno

chiudean la strada, io vincitor ritorno.

Dell'armi nostre è la città già stretta,

e la nostra vendetta

le sovrasta imminente... Ah tu gli sguardi

sol raccogli in colei,

mediti, e non ascolti i detti miei!

CLOTARCO

Signor, son pronto anch'io... vedrai... ma queste

innocenti donzelle

son degne di pietà.

ZELMIRA

(s'inginocchia appiè di Ubaldo, e le sue compagne fanno lo stesso)

Fra' tuoi nemici...

non racconta, o signor, queste infelici!

UBALDO

Olà sorgete, e libere, e sicure

ite a vostro piacer. Pensa, o Clotarco,

che d'un bel ciglio al varco

sovente in dolce agguato amor si asconde.

Tu sai, che son feconde

le insidie allettatrici in questa terra.

Armati di rigore,

vieni all'empio tiranno a recar guerra.

Ha da tremar l'altero

a tante squadre in faccia:

gl'involerò l'impero,

se contrastar vorrà.

Ho la vittoria appresso,

ch'ode la mia minaccia,

e la vittoria adesso

al fianco mio sarà.

(parte)

Scena ottava

Clotarco, e Zelmira.

CLOTARCO

(Il seguirlo è dover... Ma lasciar sole

queste erranti bellezze... Ah no, che troppo

indiscreto sarei.)

ZELMIRA

Signor, deh soffri,

ch'io parta: il ciel dilegui i rischi miei.

CLOTARCO

Vorrei seguirti, e insieme io non vorrei.

ZELMIRA

Già mi è pena il lasciarti: eppur...

CLOTARCO

Che dici?

ZELMIRA

Del tuo bel core in mente

la dolce idea mi tornerà sovente.

CLOTARCO

Ah tu non sai... se mi vedessi il core...

io voglio...

ZELMIRA

Addio. Nel dì di tua vendetta

abbi pietà d'un'innocente.

CLOTARCO

Aspetta.

ZELMIRA

Perché?

CLOTARCO

Ti seguirò.

ZELMIRA

Ma non degg'io

restarmi più.

CLOTARCO

Ti seguirò, ben mio.

ZELMIRA

Vorresti cedere

a un dolce affetto,

ma l'alma timida

ti ondeggia in petto;

teme di perdere

la libertà.

Vieni, a te caro

sia 'l giogo tenero,

ch'io ti preparo:

mercé, che merita

la tua pietà.

(parte ascendendo il monte seguita da Clotarco)

Scena nona

Atrio a mosaico corrispondente al giardino di Armida: in prospetto la gran porta del medesimo costrutta d'argento, effigiata a bassi rilievi con cardini, e cornici dorate: da una parte fonte composto di gruppi di fiumane, che dalle loro urne scaturiscono limpide acque.
Idreno, e Armida.

IDRENO

Dunque s'ascolti il messagger, che pace

a proporci ne viene.

(a due comparse, le quali ricevuto l'ordine partono)

IDRENO

Utile a noi

più che ai nemici esser potrà. Siam troppo

noi di forze inuguali.

ARMIDA

Ah, sire, asconde

dubbi, e perigli assai questa di pace

simulata richiesta. Eppur sì poco

in Rinaldo confidi? Il suo valore

forse ignorar tu puoi?

IDRENO

So, ch'è nemico

per sé, per genio a noi: so, che d'amore

langue, e vaneggia, e ne' deliri suoi

amico ci si vanta. Ah s'ei si desta

dal suo letargo un dì! Giammai ne' dolci

impeti dell'affetto

le facili promesse

apprezzar non si denno

di un amator, che ha già perduto il senno.

(parte)

Scena decima

Armida, indi Zelmira.

ARMIDA

Che intesi mai! Ma dopo i tanti pegni

di un amor così puro,

Rinaldo un dì spergiuro

potria scordarsi... Ah no, che rea sarei,

fomentando nel core i dubbi miei.

ZELMIRA

Principessa, a' tuoi lacci

invitati da queste

delizie seduttrici

s'offrono volontari i tuoi nemici.

ARMIDA

Zelmira, alfin comincio

i miei trionfi a paventar. La calma

de' nemici è funesta.

Molto a temer, poco a sperar mi resta.

(parte)

Scena undicesima

Zelmira, indi Clotarco.

ZELMIRA

Me stessa io non intendo. Invidio, e soffro,

la felice rivale: amo Rinaldo,

e a lui celo il mio amor: m'affanna, è vero,

di perderlo il pensiero, eppur talora

vorrei, ch'ei s'involasse; e sebben tosto

questa idea mi tormenta,

purché Armida non goda, io son contenta.

CLOTARCO

Quella donna gentil, ch'or da te parte,

è Armida?

ZELMIRA

È dessa.

CLOTARCO

Oh quanto de' suoi doni

in lei raccolse il ciel! Degno di scusa

è Rinaldo, che l'ama.

ZELMIRA

Altri scusando

tua difesa prepari.

CLOTARCO

In que' tuoi rai

la mia difesa è già sicura assai.

Chi la mia fiamma accusa,

ti guardi un solo istante,

e già nel tuo sembiante

ritroverà la scusa

della mia fiamma allor.

L'altrui beltade ammiro,

ma sol per te sospiro,

sola m'accendi il cor.

(parte con Zelmira)

Scena dodicesima

Rinaldo, e Armida, che lo seguita piangente, e rattristata.

RINALDO

Non paventa, idol mio. Vuoi, ch'io non vegga

gli oratori europei, ch'ogni memoria

d'Europa oblii? Non li vedrò. Tu vuoi,

che de' nemici tuoi

nemico io sia? M'affretto

ad assalire, a debellar gli audaci.

Sarò qual piaccio a te.

ARMIDA

Così mi piaci.

Serbati ognor così. Fa' che s'inganni

chi dubita di te, chi fé non presta

al verace amor tuo. Tu rassicura

l'agitato mio cor. Rinaldo, io tutta

già così vivo in te, che giorni interi

per me gl'istanti sono, ove non sei,

e son, quando ritorni,

brevi istanti per me gl'interi giorni.

Se mai dovessi abbandonarmi... Ah troppo

il sol pensier già mi funesta. Oh dio!

morirei di dolor, nel dirti addio.

(piange)

RINALDO

Deh non piangi, o mio ben. Sempre al tuo fianco

io sarò, sarò tuo. Tu fosti il primo

mio dolce amore, il sai,

e l'ultimo amor mio tu pur sarai.

(le prende la mano e gliela bacia)

Scena tredicesima

Ubaldo, che s'arresta osservando, e detti.

UBALDO

(Ecco il guerrier, di cui vo in traccia. Oh come

amor lo trasformò! Com'egli il campo

cangiando in questa reggia,

fra i vezzi del piacer torpe, e vaneggia!)

Prence, alfin ti ritrovo. Io non credei,

che immemore così...

ARMIDA

Che vuoi?

RINALDO

Chi sei?

(Ubaldo! O mio rossor!)

UBALDO

Noto sì poco,

signor, io sono a te?

ARMIDA

Se il re tu cerchi,

questa non è la via.

RINALDO

(Come scusar la debolezza mia!)

ARMIDA

Tu seguimi, o Rinaldo.

UBALDO

Amico, ascolta.

ARMIDA

Vieni, non indugiar.

UBALDO

Soffri un momento...

RINALDO

(ad Ubaldo)

Vorrei... Vedi?

(ad Armida)

Non so... (Crudel cimento!)

ARMIDA

Come! E dubiti ancora? O resta, o parti,

più non curo...

RINALDO

Verrò, ma non sdegnarti.

ARMIDA

A non sdegnarmi, ingrato,

vuoi consigliarmi adesso?

Mi lasci in questo stato!

Resti al nemico appresso!

È questo, o traditore,

l'amore ~ ch'hai per me?

Dov'è l'antica fede,

la tua pietà dov'è?

Ah sì crudel mercede

non meritai da te!

(parte seguita da Rinaldo)

Scena quattordicesima

Ubaldo, e poi di nuovo Rinaldo.

UBALDO

Confuso, irresoluto

ei da me parte. In lui non è ancor spento

lo stimolo d'onor. Tace, arrossisce,

dunque ei vede il suo fallo. Ad emendarlo

vicina è già quell'anima sospesa,

che non mendica scuse a sua difesa.

Se questa via non giova,

altra ne sceglierò...

Rinaldo?

E fin a quando in languido riposo

rimaner tu vorrai contro tua fede,

con rovina de' tuoi, con tuo rossore

così vilmente a vaneggiar d'amore?

Asia minaccia ancor: gli empi nemici

mostrano ancor l'orgogliosa fronte.

Dal Giordano all'Oronte

vi son di guerra i fieri segni impressi:

indurano sé stessi

i nostri duci alle fatiche: ognuno

combatte, e vince, e ad onorato vanto

aspira ognun. Che fa Rinaldo intanto?

Dai piacer avvilito, a tutti ascoso,

in ozio vergognoso,

giuoco servil d'una fanciulla infida,

langue insano, e codardo,

e trema a un cenno, e impallidisce a un guardo!

RINALDO

Errai, purtroppo è ver! Voglio... Vedrai...

(guardando intorno, vede Armida, che sta osservandolo)

Ma fu dolce l'error! Lasciami, amico,

lasciami respirar.

UBALDO

Come?

RINALDO

Deh parti,

non tormentarmi più!

UBALDO

Ma pur dovresti

conoscerti, arrossir...

RINALDO

Del rossor mio

soffrirti spettator più non poss'io.

UBALDO

Quel rossor, che appar sul volto,

è un'immagine del core,

e palesa alfin l'errore,

che sepolto ~ aveva in sé.

Tu lo senti, che t'accusa,

che t'infiamma e ti circonda:

i suoi moti almen seconda,

rendi omai te stesso a te.

(parte)

Scena quindicesima

Rinaldo solo.

Che risolvo, infelice! E qual consiglio

abbracciar deggio, o ricusar? Non veggo,

ch'aspri contrasti intorno a me: non sento,

che tumulti nel cor. Su queste arene

amore mi trattiene,

mi respinge il dover. Uno infedele,

l'altro vile mi chiama. Incerta pende

mia fede, il mio decoro,

e ancor non so, chi vincerà di loro!

Vincerà forse amor, che in seno impera,

e i miei pensieri a voglia sua riprova?

Quasi in me più non trova

pensier, che si ribelli ai cenni sui,

ma timidi son tutti innanzi a lui.

Ah se d'amor v'accende

dolce soave affetto,

ah moderate in petto

il contumace ardor!

Ardor, che piace, e affanna,

che la ragione offende,

che lusingando inganna

de' folli amanti il cor.

Atto secondo
Scena prima

Ricchissimo gabinetto nel palazzo reale, ornato di porcellane, d'oro, e argento, di rubini, smeraldi, e di altre gemme.
Idreno, e Zelmira.

IDRENO

Chi creduto l'avria? Confuso, oppresso

del giorno all'apparir io mi ritrovo

mille perigli intorno,

e sarò lieto al declinar del giorno.

Longe non son l'arabe squadre: a tergo

d'improvviso il nemico

assalito sarà. La sua rovina

pria vedrà, che 'l suo rischio. Io vuò l'orgoglio

soffrir degli europei, fingermi amico,

secondarne ogni voto,

e trargli intanto al precipizio ignoto.

ZELMIRA

Ma Rinaldo?...

IDRENO

Cadrà: de' miei nemici

il più crudo, il più forte in lui se n' mora.

ZELMIRA

E Armida, che l'adora?...

IDRENO

In lei già troppo

si dilatò l'amor. Util fu pria,

ora nuocermi puote. Essa l'erede,

non sarà più del regno. Un figlio io voglio

procurarmi, e un successore al soglio.

ZELMIRA

Che intendo mai!

IDRENO

Tu non venisti sposa

già d'Armida al german? Quei cadde, innanzi

che il sacro rito a te 'l giungesse. Invano

io qui non ti ritenni. Alfin, Zelmira,

del sultan è voler, che a me l'unisca

indissolubil nodo. In me tu vedi

il tuo sposo, il tuo re. T'amo, e mi voglio

riamato da te: ma non ti aspetta,

ch'io m'avvilisca ai prieghi, alle insensate

languidezze mendaci, ad esser mai

tenero servilmente, o di te stessa

mi formi un nume, e ch'io lusinghi attento

il fluttuoso femminil talento.

Studi sì bassi, e rei, questa indolente

stupidità troppo comune a tanti

lascio allo stuol dei scioperanti amanti.

ZELMIRA

Ma senza il voto mio

di me dispone il padre? Egli è tiranno

della mia libertà.

IDRENO

Folle! Qual uso

di questa tua vantata

libertà ne faresti? Amami, ascondi

ciò, ch'intendesti, e al tuo dover t'appresta.

ZELMIRA

Deh, signor, io non so... (Che angustia è questa!)

(parte)

Scena seconda

Idreno, Armida, indi Ubaldo.

ARMIDA

S'avanza impaziente

il nemico orator. Pensoso, e fiero

medita inganni, e stragi. Ah ti ritrovi

inflessibile ognora!

Che déi temer? Non siamo vinti ancora.

UBALDO

Di quanto oprasti a nostro danno, io sono

a chiederti ragion, ma non ricuso

pace, ch'util ci sia. Comparsi appena

della Siria ai confini

i guerrieri latini,

tu fosti il primo ad insultarci. All'empio

di Solima tiranno,

contro di cui non qui venimmo armati,

tu somministri ancora armi, e soldati.

IDRENO

Difendere gli amici

da un oppressor ferocemente invitto

in Europa, o tra voi forse è delitto?

ARMIDA

Qual mai ragion vi porta a queste sponde,

mancano a voi regni, e nemici altronde?

UBALDO

Ricordati l'offesa,

e ricercar non déi

la cagion, che ci muove a tanta impresa.

Non sol coll'armi tue, ma con ignoti

empi artifici a insidiarci inteso

tu fosti ognor. Che fan que' miei guerrieri

con vili modi industri

da te rapiti alle fatiche illustri?

Qual mai nova è cotesta

indegna arte di guerra? Avvilir tanta

altera gioventù, ridurla a segno

d'obliar la sua gloria,

e vaneggiar più folle

d'amor nell'ozio, effeminata, e molle!

ARMIDA

E qual confin preferivi

de' nemici alle offese? Osserva intorno

qual aspetto crudel di sé presenta

la Siria oppressa. Ancor pendon cadenti

le rovine frequenti

delle nostre città. Fuman di sangue

pur le campagne, e delle messi invece

serban tra i solchi accolte

le biancheggianti ancora ossa insepolte.

Piange il deluso agricoltor: costretti

sono popoli interi i prischi alberghi

mendici abbandonar: vanno un asilo

fuggitivi a cercar negli antri cupi,

nell'ime valli, o su dirotte rupi.

Regna per opra vostra alfin sicura

la crudeltà colla licenza audace,

morte, il furor, l'avidità rapace.

UBALDO

Delle sciagure altrui

qual parte a voi toccò?

ARMIDA

Ma dobbiam forse

nella strage vicina

aspettar indolenti egual rovina?

In chi fidar ne giova? In voi, che sempre

furiosi cadete in mille eccessi,

sino ad incrudelir contro voi stessi?

No, ignote non ci son le oppresse genti

e di patria, e di fé congiunte a voi,

depredate di già da voi, da tanti

vostri compagni masnadieri erranti.

IDRENO

Non più: gli odi, l'offese

tacciansi alfin. Non vi ricuso amici,

desio la pace, e a richiamar son pronto

da Solima le schiere. Intanto io rendo

liberi a te tutti i guerrieri tuoi,

che ignobile dimora

fanno in ozio servil.

ARMIDA

Rinaldo ancora?

IDRENO

Sì, quell'eroe non deve

maggiormente languir.

ARMIDA

Ma non comprendi

che mediti, che dici,

e qual nemico aggiungi a' tuoi nemici?

IDRENO

Che più temer, se l'amistà già scende

i discordi ad unir animi avversi?

Pace prometto, e prendine tu stesso

un pegno in questo amplesso.

(abbraccia Ubaldo)

Saranno a pro di voi

i miei tesori aperti, e meglio un giorno,

più che da questo dono,

il tuo gran duce apprenderà chi sono.

Torni la pace amica,

splendan sereni i giorni,

ed il piacer ritorni

ad inspirarci amor.

Torni sicura, e lieta

la pastorella al prato,

e al campo abbandonato

torni l'agricoltor.

(parte)

Scena terza

Ubaldo, Armida, indi Rinaldo.

UBALDO

Tanta dolcezza al mio nemico in seno

ritrovar non sperai. Sensi di pace

da lui impara, o principessa.

ARMIDA

Ancora

non ti vantar del tuo trionfo. Ah vieni,

Rinaldo, in mio soccorso. Il re... costui...

(con affanno e tenerezza)

Il ciel... la sorte... Ognun congiura a gara

contro di me!

RINALDO

Di chi paventi? Io sono

vindice tuo: non temi, e ti consola.

ARMIDA

Io ti perdo, idol mio: costui t'invola.

(piange)

RINALDO

Involarmi? Ah che dici!

Chi sarà mai l'audace?

E temi... Oh quanto il tuo timor mi piace!

UBALDO

Principe, alfin da questo

vergognoso tuo sonno

risorgi, e te rendi a te stesso omai:

già t'avvilisti, e delirasti assai.

Non obbligarmi intanto

violenza ad usarti...

RINALDO

Ah come! Io sono con impeto

forse tuo schiavo? E pensi a mio dispetto...

trema: io mi sento ancor Rinaldo in petto.

UBALDO

Veramente tu mostri

gran prova di valor! Vado i tuoi fasti

nel campo a celebrar.

(in atto di partire)

RINALDO

Fermati. Ah troppo

indiscreto tu sei! No, non conosci

di un affetto il poter...

UBALDO

So, che son tutti

necessari gli affetti, e so, che sono

destinati a servir: che se non stanno

al lor dover soggetti,

la colpa è sol di noi, non degli affetti.

All'agitata prora

sono d'inciampo i venti,

ma senza venti ancora,

non può solcar il mar.

Come il nocchiero accorto

modera i loro eccessi,

va con que' venti istessi

in porto ~ o a naufragar.

(parte)

Scena quarta

Armida, Rinaldo, indi Clotarco.

ARMIDA

Dimmi, Rinaldo, adesso

ch'io mi tormento invan, che troppo ingiusti

sono i sospetti miei, che moriresti

prima d'essermi infido,

e prima di partir da questo lido!

RINALDO

Ma che temi, idol mio? Forse non t'amo,

forse io parto da te? L'altrui minacce

mi sgomentano forse?

CLOTARCO

Al re s'affretta

torbido, e fiero Ubaldo, e vuol, che Idreno

or t'obblighi a partir. Onde l'indugio

non riproduca inciampo,

vuol trarti a forza, e ricondurti al campo.

RINALDO

Come? A forza rapirmi! E quale è questa

col re nemico intelligenza?

ARMIDA

Idreno

con questi erranti usurpatori alfine

o sincera, o mendace

sulla rovina mia fermò sua pace.

Ne sei, Rinaldo, il caro prezzo: io sono

la vittima infelice!

(piange)

RINALDO

Armida amata!

Al re mi affretto: il barbaro vedrai

impallidire in faccia a me: la reggia

di sangue inonderò. Ma nel mio affanno

il tormento maggiore,

principessa adorata, è il tuo dolore!

Se la pace alfin bramate,

non piangete, amati rai:

voi sapete, che mi fate

tutta l'anima gelar.

Luci belle, ognor vi amai,

e se liete, o meste siete,

voi mi date, o mi togliete

quel valor, ch'io debbo usar.

(parte)

Scena quinta

Armida, Clotarco, indi Zelmira.

ARMIDA

Prence, pietà di me: fa', che il tuo duce

al nuovo giorno almeno

differisca a partir. Giacché prepara

colpo sì atroce alla sventura mia,

così subito il colpo almen non sia.

(parte)

CLOTARCO

Amor come governi

i tuoi seguaci! Il peso anch'io comincio

de' tuoi lacci a sentir.

ZELMIRA

Fuggi, o Clotarco:

va crescendo il periglio.

CLOTARCO

Ah come!

ZELMIRA

Idreno

agli Europei morte minaccia: amico

per tradirvi s'infinse. Ancor mi resta

una via di salvarti.

CLOTARCO

Ed il mio duce...

e Rinaldo... Ah che dici! Io vuò con essi

o vincere, o morir.

ZELMIRA

L'istesso scampo

anche loro aprirò. Vieni, fuggiamo

da un tiranno crudel.

CLOTARCO

Dunque confonde

te ancor nel suo furore?

ZELMIRA

Egli sua sposa

mi vuole al nuovo dì: più della morte

io l'aborro, il detesto,

ma tutto ho da temer, s'io qui m'arresto.

CLOTARCO

Ah, principessa, e dove

vorrai meco fuggir? Fra schiere armate,

tra i rischi della guerra?...

ZELMIRA

Io vuò, che guida,

che tu scorta mi sii, finché in Egitto

ricondotta sicura,

tu giudichi in faccia al genitore

l'innocente mia fuga, il mio timore.

Se in te non trovo aita, a cui poss'io

ricorrer più? Deh non lasciarmi esposta

alle brame di un empio! A me tu rendi

la pietà, ch'ho di te.

CLOTARCO

Zelmira amata,

mi fai tremar! Tu sei... Sappi, mio bene,

ch'ogni periglio tuo già mio diviene.

Nel dubbio cimento

non temo la sorte:

mi rende più forte

l'istesso timor.

L'ingiusto tiranno

non è, ch'io pavento,

ma il barbaro affanno,

che soffre il tuo cor.

(parte con Zelmira)

Scena sesta

Amenissimo giardino con viali, e cespugli di fiori, diversi alberi fruttiferi, fontane, statue di alabastro, e di bronzo, e sedili di verdura all'intorno. Grande scala in prospetto, e in maggior lontananza scopresi tra l'intreccio de' suddetti viali il magnifico real palazzo.
Idreno con séguito di Soldati.

IDRENO

Soldati, ove declive in verso il fiume

la città degradando apre l'uscita,

solleciti correte. Infra le opache

dalle selve imminenti ingombre sponde

della via sinuosa

cauti alfin vi celate. Ivi a momenti

Rinaldo, il latin duce, e i suoi rapaci

insolenti seguaci

sicuri passeran. Voi d'improvviso

gli assalite, opprimete. Essi non hanno

difesa, o scampo: è loro il fiume a fronte,

a tergo la città, daccanto il monte.

De' nemici così più duri, e forti

se il numero scemate,

Asia fia vincitrice. Udiste? Andate.

(partono i soldati)

Scena settima

Ubaldo, e detto.

UBALDO

Sire, al meriggio inclina il giorno: io devo

senza indugio partir. Viviamo amici,

adempi le promesse, e il contumace

Rinaldo a me tu rendi.

IDRENO

Il prence invitto

persuaso è di già. Sa, che s'estinse

ogni sdegno tra noi, né più contrasta

indocile a seguirti. I tuoi disegni

secondi il ciel: suddita l'Asia, e 'l mondo

torni a soffrire amico

del gran genio latino il freno antico.

(parte)

Scena ottava

Rinaldo, e Ubaldo.

RINALDO

Ah dunque è ver, che tu per sempre, o duce,

dal mio ben mi dividi?

UBALDO

Anzi la gloria

di superar te stesso

tutta da tua virtù s'attende adesso.

RINALDO

A questo colpo Armida

preparata non è!

UBALDO

Scordati alfine

quell'affetto, quel nome

quel fatal volto...

RINALDO

Il vorrei far, ma come?

UBALDO

Vieni, seguimi, fuggi,

da lei t'invola accorto.

RINALDO

Ma impressa in mente, e nel mio cor la porto.

UBALDO

E a questo segno una tiranna adori,

che già tanti tradì, ch'ama vedersi

languir gli amanti intorno, ed ella invece

solo degli occhi sui

il trionfo crudel ama in altrui?

Te così pure inganna: in te lusinga

un nemico, che teme, e in suo pensiero

t'odia, ordisce tua morte...

RINALDO

Ah non è vero!

Io conosco quel cor.

UBALDO

A un cieco affetto

dunque opporsi non sa la tua ragione?

RINALDO

Sì, la ragion si oppone,

ma incerta, e lenta, o s'agita sospinta

ch'ella forse ha piacer di restar vinta.

UBALDO

No, non credo, che sia

sì debole Rinaldo. Alma sì grande

non è nata al languir. La patria, il mondo

molto aspetta da te. Tu sei d'Europa

il sostegno, e l'onor: d'Asia nemica

il terrore tu sei: la sua rovina

essa può prolungar, sol quanto inerme

tu qui resti racchiuso. Ah, prence, omai

vendica l'onor tuo: quel braccio forte

ad emendar t'affretti

l'ozio di questa reggia! Io già rimiro

crollar Solima a terra, e a' piedi tuoi

supplici i re dell'Asia o chieder pace,

o del loro fasto in pena

stender la mano alla servil catena.

Vieni, ai trofei ti guido: ogni momento

si usurpa alla vittoria.

RINALDO

Ah sì, ti seguo,

guidami dove vuoi. Ma... Armida... Oh dio!

L'eviterò. Verso la via del fiume

tu mi precedi.

UBALDO

(abbracciandolo)

Invitto prence! Estinto

qui sia l'ardor.

RINALDO

Non dubitarne.

UBALDO

(Ho vinto.)

(parte)

Scena nona

Rinaldo, indi Armida.

RINALDO

Amiche sponde, addio, dove d'amore

appresi a sospirar. Ad ogni passo

nel pensier mi destate

tenere idee, dolci memorie, e voti,

e mille nel mio cor soavi moti.

Addio dunque per sempre. Assai mi costa

il dovervi lasciar! Non la seconda

amenità, che in questa parte, e in quella

riproduce sé stessa ognor più bella,

ma l'amabil aspetto

dell'idol mio, che spesso in voi soggiorna,

così belle vi fa, così v'adorna.

Oh quante volte ancora

più care ognor mi tornerete in mente!

Quanto il mio ben v'invidierò sovente!

(in atto di partire s'incontra con Armida)

(Armida! Oh ciel!)

ARMIDA

Mio caro prence, ah quanto

io debbo alla tua fé! So, che costante

tu ricusi partir, che sempre fisse

hai le tue brame in me.

RINALDO

Ma chi te 'l disse?

ARMIDA

Io stessa a Idreno in faccia

ti vidi minacciar. Meco vivrai

più lieto altrove: io voglio...

RINALDO

Ah tu non sai,

che il mio dover, la fé...

ARMIDA

(turbandosi)

Come?

RINALDO

Sì lieti

non ci vuole il destino: al suo rigore,

Armida, invan ti opponi,

ma vuol (dicasi alfin) ch'io t'abbandoni.

ARMIDA

Abbandonarmi! E sin ad ora, ingrato,

mi tradisti così? Con tal costanza

dirlo tu puoi? Né pensi al m io tormento...

Crudel!... Misera me! Morir mi sento.

(si pone a sedere)

RINALDO

Oh dio! Tu non sai, come

tremo, agghiaccio in parlarti. Ah non son io,

che ingrato a te, ben mio,

lasciarti or voglia mai. Troppo mi piaci,

troppo cara mi sei,

troppo meriti i puri affetti miei.

Ma la legge, il dover, la patria, e cento

obblighi sacri, ahi lasso!

mi costringono, o cara, a sì gran passo.

ARMIDA

Rinaldo abbandonarmi! E vuoi, ch'io 'l creda?

E Rinaldo il potrà dopo le tante

replicate promesse

d'un reciproco amor, le prove, i pegni

della mia fé, dopo che a me non piace

che il suo piacer, che più non so, non posso

voler, che a voglia sua, che a me la morte

saria minor tormento,

che di lui restar priva un sol momento?

Ah no 'l credo, idol mio! Troppo conosco

il tuo bel cor: di crudeltà sì nera

no, capace non sei. Tu vuoi con questi

indiscreti pretesti

tormentarmi così. Ma infin l'affanno,

adorato mio bene,

mi è caro ognor, quando da te mi viene!

RINALDO

Non lusingarti, Armida. Io son purtroppo

a lasciarti costretto, involontario

esserti traditore,

a divenire ingrato a tanto amore!

ARMIDA

Barbaro, e ti compiaci

di vedermi morir? Deh quando mai

io da te meritai

compenso sì crudel! La sola idea

di perderti m'uccide, eppur tu vuoi,

spaventando il mio affetto,

che perfido io ti creda a mio dispetto?

Se mi vedessi il cor! Più grave affanno

del mio, no, che non dessi!

No, che non sono al par di te, tiranno,

insensibili tanto i tronchi... i sassi.

Sviene, e intanto si spiccano dai loro piedistalli le Statue del giardino. Escono pure delle Ninfe dai cespugli, ed insieme intrecciano intorno a Rinaldo un piccol ballo, esprimendo con acconci movimenti il lor dolore per l'affanno di Armida, e tentando di ricondurre a lei Rinaldo, il quale attonito, e confuso sta irresoluto tra il partire, e il restarsene, e finalmente si accosta ad Armida.

RINALDO

Che m'avvenne, infelice! Io non comprendo,

se son desto, o deliro,

e s'è finto, od è ver ciò, che rimiro!

Ah che finto non è 'l dolor, che opprime

i sensi a lei, che langue. E potrò mai

lasciarla in questo stato!

Ella tanto fedele, io tanto ingrato!

Deh consolati, Armida, amata speme

di questo cor! Non partirò, non voglio

che il tuo voler. Ti offesi, il so: ne sono

pentito alfin: bell'idol mio, perdono.

E Rinaldo, che priega... Eppur s'io resto,

Ubaldo che dirà? S'io parto... Ah quale

barbara angustia è questa!

Armida che dirà, quando fia desta?

Dunque... misero me!

Scena decima

Ubaldo: al suo comparire si dileguano i Ballerini, e le Ninfe.

UBALDO

Prence, t'affretta.

Idreno ci tradisce: ogni dimora

senza scampo ci perde.

RINALDO

(accennandogli Armida)

Ah, duce, osserva,

s'io posso abbandonar...

UBALDO

(lo prende per la mano)

Vieni, rammenta

il comun rischio, il tuo dover.

RINALDO

Potessi

vederla almen riscotersi dal duolo!

UBALDO

O meco parti adesso, o parto solo.

(lo lascia con sdegno, e in atto di partire)

RINALDO

(si lacera di dosso, e getta le ghirlande di fiori, che l'adornavano)

Che crudeltà! Ferma: ti seguo. A terra

voi del mio amor misere insegne. Addio,

principessa infelice. Il ciel ti serbi

a un amante di me più fortunato,

né più 'l costringa a divenirti ingrato.

(s'incammina, e poi di nuovo si ferma)

UBALDO

E ancor t'arresti?

RINALDO

Oh dio!

UBALDO

Perché pensoso...

RINALDO

Confuso... dubbioso...

Non vado... non resto...

Che stato funesto!

Che passo crudel!

(parte con Ubaldo, e si rivolge sovente con tenerezza a riguardare Armida)

Scena undicesima

Armida, indi Zelmira.

ARMIDA

Barbaro! E ardisci ancor... vedi, se t'amo:

vieni, e placata io sono:

ma non dirmi più mai...

(si avvede, che manca Rinaldo, e si alza con stupore)

Con chi ragiono?

Infelice! Ei partì. Rinaldo, oh dio!

(va d'intorno ricercandone con affanno)

Perché fuggi da me? Parla, rispondi.

Rinaldo, anima mia, dove t'ascondi?

Che crudeltà, qui sola,

e oppressa dal dolor, ch'ei mi cagiona,

quel barbaro mi vede, e m'abbandona!

No, sì crudel non è: m'ama, conosco

tutto il suo cor... Ah del suo amore i fregi

(osservando le ghirlande di fiori deposte da Rinaldo)

qui sparse, e lacerò!

(con impeto)

Qual altra io cerco

prova dell'odio suo? M'aborre, e fugge,

ed io mi lusingai... Dunque sì presto

disperarne dovrò? Chi sa? Potrebbe

quindi non lunge... eccolo: parmi... io miro

è desso: eppur... misera me, deliro!

Spergiuro! A lui chi per pietà mi guida?

Sì, vuò svenarlo io stessa, e voglio...

ZELMIRA

Armida,

tutta d'armati, e d'armi

empie il re la città: freme, e fa quindi

ogn'angolo osservarne, ed ogni lido.

ARMIDA

E Rinaldo?

ZELMIRA

Partì.

ARMIDA

Partì l'infido!

ZELMIRA

Forse co' suoi compagni

egli a perir s'invia. Le insidie altrui

loro scopersi invan.

ARMIDA

Come?

ZELMIRA

Dispose

Idreno, che sian tutti

nell'uscir dalle mura

trafitti gli europei.

ARMIDA

Mancava ancora

alle sventure mie questa sventura!

E Rinaldo in periglio!... Ah sì l'ingrato

cada, e miri, in cader, l'empio omicida,

e chiami invano in suo soccorso Armida.

È un traditor... Ma non potrebbe un giorno

del suo rigor pentito... Ah si difenda

una vita sì cara! O almen con lui

voglio morire anch'io.

È un ingrato, lo so, ma è l'idol mio.

Dopo un soave affetto,

che ci avvampò nel seno,

ditemi, amanti, almeno,

se disarmar si può!

Vorrei scacciar dal petto

l'autor del mio tormento,

e in petto ognor lo sento,

ma discacciar no 'l so.

(parte)

Scena dodicesima

Zelmira, indi Clotarco.

ZELMIRA

Oh come amore ora l'affanna, or l'ira!

CLOTARCO

Siam perduti, o Zelmira.

Occupa il re la via, che al nostro scampo

tu pietose insegnasti. Ubaldo invano

l'uscita ne tentò. Sospetta Idreno

del tradimento tuo: me pur minaccia

tuo complice, ed amico. A noi non resta

più difesa a sperar.

ZELMIRA

Seguimi: ancora

una via troverò...

CLOTARCO

Dove? Se tutta

ingombrano i custodi

l'inimica città!

ZELMIRA

Dunque vorrai

aspettar morte? Avventurar conviene

tutto a nostra difesa.

Ha gran parte la sorte in ogni impresa.

Prema tranquillo il lido,

freni l'avara speme,

chi teme ~ ognora infido,

e senza calma il mar.

L'immensità profonda

miri da lunge, e altero

rimiri errar per l'onda

il provvido nocchiero,

e lieto ritornar.

(parte con Clotarco)

Scena tredicesima

Accampamento degli europei in vicinanza di Damasco, dove i Fanti sono schierati, e attendati sul colle, e la cavalleria nel piano. Veduta di una parte della città.
Rinaldo, e Ubaldo.

RINALDO

Lascia, ch'io la raggiunga. Essa affannosa

verso di noi correa,

ma l'inimica, e rea

turba la circondò! Non merta amore

tanta pietà? Senza di lei noi forse

non eravam perduti? Oh troppo fida,

adorabile Armida! Io fiero, ingrato

ti abbandono, t'uccido, e tu pietosa

a salvarmi ti affretti,

con provvido consiglio

tu vieni a parte ancor del mio periglio!

UBALDO

Rinaldo, alla sua cura

son grato anch'io. Dal traditore Idreno

distinguerla saprò, ma se t'inoltri

ora sull'orme sue, ti perdi, o almeno

il rischio tuo rinnovi. Eccoti alfine

tra quei compagni a soggiogare eletti

l'oriente infedel. Ciascun t'aspetta

la nostra a vendicar comune offesa,

ed a finir la ben comincia impresa.

Leggi, al veder te sciolto,

leggi a ciascuno il suo piacer in volto.

Vieni.

RINALDO

Ma pria del mio furore il peso

ne senta Idreno. Egli ad Armida, a noi

nemico è già. Comincerò da questa

le mie vittorie. Andiam.

(in atto di partire)

Scena quattordicesima

Armida frettolosa con séguito di Guardie, e detti.

ARMIDA

Prence, t'arresta.

Da te Armida tradita, e che pur giunse

con suo rischio a salvarti,

ascolta ancor per un momento, e parti.

No, Rinaldo, io non vengo

la tua perfidia a rinfacciarti, i nostri

affetti a rammentar, o le funeste

tue mendaci proteste.

Merito l'odio tuo: son rea, lo vedo,

perché troppo t'amai, perché non posso

di te scordarmi, e ti difendo ognora:

mi tradisci, m'opprimi, e t'amo ancora.

Pietà cerco da te, pietà, ch'è degna

del tuo cor generoso...

RINALDO

Ah principessa,

più non farmi arrossir. Barbaro, ingrato

so, che teco son io, ma con mia pena,

ma costretto lo sono. All'amor mio

si oppone il mio dover: m'accusa il mondo,

la gloria mi richiama,

né vuol, che l'età mia consumi intera

a idolatrare una beltà straniera.

La tua costanza ammiro: io so, che m'ami,

questa vita è tuo dono: io mi rammento

le promesse, gli affetti... Ah per tua pace

un infelice oblia,

che sol per suo dover fu traditore,

ma che d'esserlo geme, e n'ha rossore.

ARMIDA

Sei tu, ch'ora mi opponi

questo ignoto dover? Ma quando ancora

non amarmi potevi, o allorché osasti

un'infelice lusingar, non era

questo dover sì necessario, o forse

egli era in quell'istante

invincibile meno, e men costante?

Crudel! Libero allora

e di amare, e d'odiare, dunque d'amarmi

scegliesti per mio duolo,

per oltraggiarmi, e per tradirmi solo!

(piange)

RINALDO

Duce, pietà, consiglio: a quel suo pianto

più resister non so.

UBALDO

Deh principessa,

s'ami Rinaldo, ama il suo onor: non tenta

d'indebolirlo più. Rendilo alfine

alla patria, e a sé stesso,

ed alla gloria sua.

ARMIDA

No non pretendo

d'insidiare il suo cor. Segua la via,

che a lui la gloria addita, io sol ricerco

un asilo fra voi. M'uccide Idreno,

se in Damasco rientro. Io sarò sempre,

Rinaldo (ah non più mio!) qual tu mi brami

tua preda, e schiava, e de' perigli tuoi,

se tu a parte mi vuoi, son lieta assai,

nemmen d'amor ti parlerò più mai.

Così tenue pietà pur si concede

a' nemici più rei,

che a me s'abbia a negar temer dovrei?

UBALDO

Armida a questo segno

non avvilirti. Avrai pronta difesa

ora dall'armi nostre. In questo campo

a noi lasciarti, e a te restar non lice.

ARMIDA

E Rinaldo che dice?

RINALDO

Udisti? Io sento

tanta pietà di te... Ma a voglia mia

più dispor non poss'io. Credimi, o cara,

non è sdegno, o disprezzo...

ARMIDA

Tu compensi il mio amor con questo prezzo?

Di compianger tu fingi

la mia sorte crudele, ed il mio scorno,

come d'amarmi, empio, fingesti un giorno.

M'odii? Estinta mi vuoi? Barbaro, io vado

ad appagarti alfine. Ah per chi mai

tanto amor, tanta fé, numi, io serbai!

Partirò, ma pensa, ingrato,

che tradita io son da te.

RINALDO

Idol mio, condanna il fato,

non accusa la mia fé.

UBALDO

(ad Armida)

Soffri in pace le tue pene.

(a Rinaldo)

Tu rammenta il tuo dover.

ARMIDA

Infedele!

RINALDO

Addio mio bene.

UBALDO

Ah se alfin partir conviene.

Insieme

RINALDO

Non si torni a sospirar!

ARMIDA

Non mi vegga a sospirar!

(Rinaldo, ed Ubaldo s'incamminano verso le tende, bensì Rinaldo si arresta a ciascun passo ad osservare Armida)

ARMIDA

Traditor... ma fugge... oh dèi!...

senti pria... non so... vorrei...

(agitata)

Si confonde il mio pensier!

RINALDO

Cara, io t'amo... e torno anch'io...

(con impeto si libera da Ubaldo, e si avvicina ad Armida)

UBALDO

(con sdegno)

Se sì debole tu sei

va', ritorna a delirar.

ARMIDA

Dimmi almen...

RINALDO

Mio bene, addio.

(confuso guardando Ubaldo, ed allontanandosi da Armida)

Tu non puoi vedermi il cor!

ARMIDA, RINALDO E UBALDO

Se produci un tanto affanno,

ah sei pur tiranno ~ amor!

Atto terzo
Scena prima

Sotterranea illuminata da lampade a diversi lumi con all'intorno tutti gli strumenti, e i simboli della magia, e dell'arte divinatoria. Ara di pietra nel mezzo dedicata agli dèi inferi.
All'aprirsi della scena al suono di funebre sinfonia si veggono comparire Zelmira, e Clotarco incatenati, incoronati di frondi di cipresso, e circondati di bende ornate di simboli, e di caratteri, preceduti dai Ministri del tempio, i quali portano gli strumenti del sacrificio, e sono seguiti da Guardie, indi Armida, e Idreno in abito di augure co' la tiara in capo, preceduto da diversi Maghi portanti in mano doppieri accesi, e seguito dai Custodi reali.

IDRENO

(ad Armida)

Di pietà non parlarmi. I prieghi tuoi

omai fervon piuttosto

d'alimento al mio sdegno. Io non respiro

che vendetta, e furor. Dolce mi sembra

coteste rimirare a morte in faccia

vittime inorridir, e allorché 'l ferro

sentonsi nelle vene,

tremar vederle, intridersi di sangue

languidamente i lumi erranti aprire,

impallidir, contorcersi, morire.

ZELMIRA

Barbaro!

CLOTARCO

Invendicati

non moriremo almen.

ARMIDA

S'avido sei

or di sangue così, quello si versi

di chi fomenta il tuo furor. Comprendi,

ch'ostie più grate ai barbari son tanto,

ch'amino a queste intorno are infedeli

sol le nere di morte ombre crudeli.

Gl'innocenti risparmia...

IDRENO

Ed innocente

chiami chi mi tradì? Non è Zelmira,

che abusò d'un arcano

da me fidato a lei, che aperse il varco

a' miei nemici, ed al mio amore ingrata,

quando sposa la scelgo, a uno straniero

si abbandona così? Non fur sorpresi

nella fuga ambedue? Dunque compagni

sian nella pena, e vendichi un sol colpo

l'offeso altrui riposo,

il re, la patria, il genitor, lo sposo.

ZELMIRA

Or mi è dolce il morir. Io sentirei,

vivendo teco, incrudelir mia sorte,

e a me moltiplicar l'istessa morte.

Tu mi difendi, Armida,

appresso il genitor. Digli, che abuso

fe' dell'arbitrio suo, che quando ei volle

destinarmi a uno sposo, il genio mio,

non l'util suo dovea

pria consultar, che troppo del suo sangue

prodigo fu: di lacci egli m'avvinse,

e di sua mano il ferro in sen mi spinse.

Esagera il suo error: co' la mia strage

tanti spaventa insani

genitori indolenti, ed inumani.

ARMIDA

(Mi fa pietà!)

IDRENO

Ministri, olà, prendete

le vittime infelici.

CLOTARCO

Empio tiranno,

se morir tu mi fai...

ZELMIRA

S'io cado esangue...

ZELMIRA E CLOTARCO

Contro te parlerà questo mio sangue.

I Ministri conducono le due Vittime all'ara, appiè della quale le fanno sedere, e le legano. Quindi uno de' Ministri presenta al Re la sacra scure sopra un bacile, ed egli nel porgerla al Gran sacerdote, canta i seguenti versi accompagnati da grave sinfonia, e in questo tempo sentonsi tratto tratto alcune scosse di terremoto, e fremiti di tuono.

IDRENO

Del Tartaro profondo austeri numi,

terribili ai viventi,

che la luce smarrir fate alle stelle,

di turbinosi venti,

di sonore procelle

il ciel n'empiete, e 'l mare, e ad un sol cenno

le pallide sventure escon dai vostri

caliginosi regni.

Sulla terra a versar rovine, e sdegni:

le vittime accogliete,

ch'or si svenano a voi: portino seco

il mio timor: soccorso a me prestate,

dell'arti vostre esecutor mi fate.

Nell'atto di porgere la scure al Sacerdote, si ode un più forte fragore, ed esce improvvisamente da sottoterra fra diverse vampe di fuoco l'Ombra di Tabrimon antico re di Damasco, e d'altra parte l'Odio, la Vendetta, e l'Ira, che avvicinandosi all'ara, rovesciano i vasi adornanti la medesima, indi la detta Ombra si raggira fremendo, l'Odio getta ai piedi d'Armida un pugnale, la Vendetta uno strale, l'Ira una face, e tutti insieme spariscono.

IDRENO

Che orror! Perduto io sono. In quelle atroci

spaventose sembianze

lessi la mia rovina. Odiano i dèi

queste vittime forse. Il reo m'è ignoto,

che lor deggio immolar, che il soglio mio,

la mia vita insidiò.

ARMIDA

Quel reo son io.

Sì, t'ingannai: dal tuo furor difesi

i traditi Europei: per me son giunti

incolumi al loro campo, ed a tuo danno

essi ritorneranno: omai gli aspetta;

morte già ti circonda, e la vendetta.

IDRENO

Empia, ti punirò. Dove ti trasse

un disperato amore!

ARMIDA

Affretta il colpo,

che a me prepari, ed il mio trono usurpa,

ma goderlo non spera. Io più non posso

me stessa tollerar: fra opposti affetti

il cor mi si divide:

pietosa è quella man, ch'ora m'uccide.

IDRENO

Sarai paga a momenti. Olà, custodi,

in carcere distinto i rei serbate

al lor supplizio. Oh quali

minacciosi fantasmi io veggo intorno!

Perfidi, io voglio... Oh tradimento! Oh giorno!

Perfidi, sì, tremate,

ancor non sono oppresso,

e vendicar me stesso,

perfidi, ancor saprò.

Libero almen son io,

può ben cangiar mia sorte:

per voi fra le ritorte

no, che cangiar non può.

(parte col séguito dei maghi e sacerdoti)

Scena seconda

Armida, Zelmira, Clotarco, e Guardie.

ARMIDA

Prence, de' tuoi custodi

è duce Argante: a lui questo presenta

(porge una gemma a Clotarco)

noto monile, e un adito alla fuga

egli aprirti saprà. Libera ancora

teco resti Zelmira. Io sola, io devo

oggi morir. Al traditor Rinaldo

narra la strage mia. Digli, che Armida

sopravviver non seppe al suo rigore,

e pensando quai fummo, in sul mio fato

qualche lagrima ancor versi l'ingrato.

CLOTARCO

Povera principessa,

quanta pietà mi fai!

ZELMIRA

Come compensa

amore i suoi seguaci! E ognun ricerca

sollecito il suo giogo, e v'è chi loda

sì debol servitù, gli anni migliori

chi sol consacra a lui,

cieco così sulle rovine altrui?

Ah fuggite amor più lieti

voi, che siete in libertà:

ci fa deboli, inquieti,

delirar sempre ci fa.

Più che l'ira de' tiranni

sue lusinghe ognor temete:

i suoi vezzi sono inganni.

Infelici, se credete

a chi fé serbar non sa.

(parte con Clotarco fra i custodi)

Scena terza

Armida sola fra le Guardie.

Che fai, che pensi, Armida? Oppressa alfine,

tradita, abbandonata,

a morir già vicina,

e innocente morire, e invendicata!

Ma sulla mia rovina

trionferà Rinaldo? Ah no!... Sì viva,

sin ch'io 'l riduca almeno

tremante a' piedi miei. Sia la sua pena

d'esempio agl'incostanti:

spaventiamo così gl'infidi amanti.

Vadasi... E come, e dove? Egli protetto

dall'armi sue queste mie mura istesse

stringe, minaccia, e sfida:

io tradita così... povera Armida!

Senza difesa, esposta

al furor d'un tiranno avido ognora

di vedermi morir... Dunque si mora.

Quel perfido arrossisca: il ciel, la terra

faccian le mie vendette. Ombra seguace

l'agiterò, finché sé stesso odiando,

colla man, ch'era mia, di cui mi priva,

disperato s'uccida... Ah no ch'ei viva!

L'ingrato vive, e 'l barbaro suo core

è insensibile forse al mio dolore!

Perché se m'odia, oh dio!

Quell'anima incostante,

perché più non poss'io

odiar quell'alma ancor!

Perché quel suo sembiante

amor formò sì bello,

e perfido, e rubello

gli formò poscia il cor!

(parte fra le guardie)

Scena quarta

Cortile nel palazzo reale.
Idreno con séguito di Soldati, indi Ubaldo seguìto da' suoi.

IDRENO

Coraggio, o miei seguaci. È da' nemici

sorpresa la città, però non siamo

perduti ancor. Degli Arabi lo stuolo,

che a nostro pro s'invia, non è lontano.

Vidi nel vicin piano

sparse al vento ondeggiar le nostre insegne.

Qui intrepidi restate, onde il nemico

alla regia non passi. Intanto Armida,

prima cagion del rischio mio, s'uccida.

(parte, e restano in difesa del posto i suoi soldati)

UBALDO

Seguitemi, o compagni:

tutto a noi cede. Ad occupar la reggia

lieve inciampo saranno

que' timidi soldati. Al vostro aspetto

impallidiscon già: lor trema il ferro

nell'inabile destra. In ogni impresa

l'usato ardir vi chiedo:

assalite, uccidete: io vi precedo.

Va ad attaccare i Nemici, e dopo breve zuffa li disordina, li vince, e poi tutti si disperdono fra le scene.

Scena quinta

Clotarco, e Rinaldo, indi Zelmira.

CLOTARCO

Sì, per mio scampo offrì sé stessa Armida

a una pena non sua. Da te tradita,

essa aborre una vita,

che amava sol per te. Col suo favore

libero io sono.

RINALDO

Oh generosa! Oh troppo

principessa fedel! Cerchiamo, amico,

una via di salvarla...

ZELMIRA

Oh sventurata,

e a torto oppressa Armida! Or va', Rinaldo,

l'opra a mirar del tuo rigor.

RINALDO

Che dici?

CLOTARCO

Che avvenne mai?

ZELMIRA

Già l'infelice è tratta

crudelmente a morir. La vidi...

RINALDO

Ah come!

In suo soccorso andiam. Tutto si tenti

a sua difesa. Io morirò con lei,

s'altro far non potrò. L'onor l'esige,

gratitudine il chiede,

il dover, la pietà, l'amor, la fede.

(parte con Clotarco)

Scena sesta

Zelmira, indi Ubaldo, e Idreno fra le Guardie.

ZELMIRA

Fuggiam da queste sponde amene un giorno,

ora ingombre d'orror. Come la sorte

delizie alterna, e danni

ed in seno al piacer nascon gli affanni!

(parte)

UBALDO

Empio, cedi quel ferro, inutil peso

all'imbelle tuo fianco.

IDRENO

(getta la spada)

Oppresso io cedo

all'avverso destin, ma l'odio mio

ceder non sa.

UBALDO

Vedrai se può giovarti

l'impotente odio tuo. Dov'è Clotarco?

Traditor, me lo rendi.

IDRENO

O cadde, o forse

a trapassargli il seno alcun s'affretta.

Incomincia da lui la mia vendetta.

UBALDO

Ah, barbaro, se mai

l'uccidesti così, trema, ch'io serbo

fra i scempi, e le ritorte

in più pene divisa a te la morte.

IDRENO

Guardo il mio fato estremo,

non mi turbo, t'insulto, e non ti temo.

(partono)

Scena settima

Rinaldo, che tiene Armida per mano.

ARMIDA

Lasciami, traditor. Perché mi togli

a una morte, ch'è pena assai minore,

e dolce a paragon del tuo rigore?

Per chi vivrò, se mi tradì Rinaldo,

in cui raccolti, e fissi

tenni i miei voti, e per amarlo io vissi!

RINALDO

Ah, principessa, inorridisco ancora

pensando a te! Serba una vita almeno,

ch'or ricevi da me. S'è ver, che m'ami,

no, di te non mi priva...

ARMIDA

Perfido, m'abbandoni, e vuoi, ch'io viva?

So, che troppo conosci

la debolezza mia. Non ho valore

d'obliare un ingrato,

che m'involò la pace,

e un traditore odiar, che ancor mi piace.

Ah lasciami morir!

(in atto di partire)

RINALDO

Fermati. Oh dio!

Non sii crudel così...

ARMIDA

Crudel son io?

Misera, ch'io no 'l fui, quando ti vidi

solo, immerso nel sonno, entro il mio regno,

e un colpo sol potea

me vendicar d'ogni mio torto antico,

ed Asia liberar da un gran nemico!

Ma ti vidi, e t'amai. Se ancor tu 'l puoi,

richiama alla memoria

quel fatal giorno almen di tua vittoria,

o se spiace al tuo orgoglio,

con rammentar quel dì punirti io voglio.

Ah no, per un ingrato,

che amor non ha, che 'l finge, e l'avvelena,

troppo dolce saria cotesta pena!

RINALDO

Non trafiggermi più. Vivi, e ti serba

sull'Asia a dominar. Legge daranno

a imperi così vasti i tuoi pensieri.

ARMIDA

Il tuo cor io dimando, e non gl'imperi.

Ma che dissi, infelice! Omai ti scorda

l'amor, la fede altrui,

qual meco fosti un dì, qual teco io fui:

pensa, che siam nemici. Io mille volte

tentai svenarti: or vendica te stesso,

lacera un cor, dove tu vivi impresso.

Degno il colpo è di te: non invidiarmi

una morte sì cara.

(con tenerezza gli prende la mano, e gliela bacia)

A me fia dolce

morir per questa mano,

che adoro, e che fia mia, lo spero invano.

RINALDO

Oh dio! Vincesti, Armida.

Son tuo: basta così. Pace non trovo

fuori di te. Di fedeltà m'accusi

il mondo pur: forse avverrà, che poi

l'accusa sua rivochi,

o almen superbo andrò, perché tra noi

di colpa così bella i rei son pochi.

Scena ottava

Clotarco, e detti.

CLOTARCO

Signor, deh vieni a raffrenar l'insana

licenza militar. L'orror, la morte

erra indistinta, e scorre

della città nemica ogni sentiero.

RINALDO

E Ubaldo?

CLOTARCO

È lunge.

ARMIDA

E Idreno?

CLOTARCO

È prigioniero.

(parte)

ARMIDA

Ah si rispetti almeno

l'infelice mio re! Vado in difesa

di lui, che m'odia, e n'ha ragion. Rinaldo,

abbi pietà di noi. Torno a momenti:

rimanti, addio. Ma senti,

ch'ho da sperar da te?

RINALDO

Tutto, o mia vita.

Riposo avrai... sarò... (Dirlo non oso!)

ARMIDA

Sai, che sta nel tuo amore il mio riposo.

Ma tu mi guardi, e taci! Ah sei pentito

forse d'essermi grato?

RINALDO

Anzi mi spiace,

che teco io fui crudel.

ARMIDA

Dunque son io...

RINALDO

La mia vita, il mio ben.

ARMIDA

Tu sei...

RINALDO

D'Armida

l'amante, e 'l difensor.

ARMIDA

E speri...

RINALDO

I giorni

viver con te felici.

ARMIDA

E ti consola...

RINALDO

Sol questa mia speranza, e Armida sola.

Ancor da te diviso

presente a me tu sei:

tutti gli affetti miei

non san pensar che a te.

ARMIDA

Ognor sul tuo bel viso

s'arresta il core amante:

ognor per te costante

più non ritorna a me.

RINALDO

Ad una fé sincera...

ARMIDA

A così dolce affetto...

ARMIDA E RINALDO

Dov'è quell'alma austera,

che accendersi non sa?

RINALDO

Più non temer, ben mio.

ARMIDA

Più non tradirmi, o caro.

ARMIDA E RINALDO

Ma se fedel son io,

abbia di me pietà.

(partono da diverse parti)

Scena nona

Ubaldo, e Clotarco.

UBALDO

Dunque ad Armida appresso

vedi Rinaldo, e a lui più non ti opponi,

e con Armida ancor tu l'abbandoni?

Vanne, cerca, il raggiungi,

guidalo a me.

CLOTARCO

Donne, ugualmente è reo,

a idolatrarvi chi servil si avvezza,

e chi ruvido ognor vi fugge e sprezza.

(parte)

UBALDO

Troppo ei si lascia in preda

al suo piacer. I moderati affetti

utili sono in noi, com'esser suole

in fresca riva a verdi piante il sole;

ma come il sol fervido troppo uccide,

o inaridisce quelle,

che i suoi più dolci rai faceano belle,

troppo ardenti così gli affetti in noi

l'alma opprimono alfin, che inaridita

ogni virtù più rara,

a servir solo, ed a languire impara.

Chi a regnar sul vostro core,

donne belle, aspira altero,

di sé stesso ognor l'impero

ha da perdere così.

Per mercé del vostro amore

delirar dovrà con voi,

consacrarvi i voti suoi,

le sue cure, ed i suoi dì.

(parte)

Scena decima

Clotarco, e Rinaldo, indi Ubaldo.

CLOTARCO

Signor, a un gran cimento

seguendo Armida ora ti esponi.

RINALDO

Amico,

scusa i trasporti miei. So, che purtroppo

debole comparisco agli occhi altrui,

ch'io non son quel, che fui, che all'amor mio

sacrifico la gloria, e la mia pace,

ma la mia debolezza ancor mi piace!

UBALDO

Principe, al campo, all'armi

solleciti si corra. Un empio stuolo

d'arabi masnadieri usi all'insidie

d'improvviso c'investe: a nostro danno

Idreno gli affrettò. Ti offre la sorte

un incontro opportuno,

Rinaldo, a compensar quanto perdesti

fra i vezzi del piacer. Gli empi debella

fumanti ancor di nostro sangue, alteri

delle spoglie a noi tolte. Al nostro duce

con sì gran prova di guerriero ardire

presentarti potrai senza arrossire.

In faccia a te ritorni

Asia a tremar, che mentre amor ti occulta,

dell'imbelle ozio ride, e t'insulta.

RINALDO

Ma che sarà d'Armida?

È troppa crudeltà lasciarla esposta

sola in mezzo alle stragi... Ah tu non sai,

qual contrasto d'affetti in seno io provo!

UBALDO

Ritorni forse a vacillar di nuovo?

Se della tua tiranna

t'indebolì l'aspetto. Evita, o prence,

questo fatal soggiorno, in cui son tese

mille insidie al tuo cor. Fra queste mura

no, la tua libertà non è sicura.

Sei vinto già, se amor tu sfidi, e sei

vincitor, se lo fuggi. Allorché manca

l'occasion, s'estingue

il fomento, che 'l pasce. Alfin recidi

la sua radice infesta,

che un dì potria rigermogliar funesta.

Va', mi precedi al campo. Io tutto affido

te stesso a te. D'una pietà servile

frena i moti, che amor torna a destarti:

non t'affanna, non pensa: ardisci, e parti.

RINALDO

Quante volte esser deve

e vinto, e vincitor! Qui l'aria, i sassi,

il terreno, ogni oggetto

inspirano al mio cor l'antico affetto.

Fuggasi alfin: povera Armida! Almeno

tu la consola, amico:

dille... ah dille per me ciò, ch'io non dico!

Di', che fedel io sono,

e dille il mio dolor;

ch'è ver, ch'io l'abbandono,

ma che le lascio il cor.

Tergi le sue pupille,

calma il suo core oppresso,

dille, che viva, e dille

quanto mi costa adesso

il mio crudel rigor!

(partono da diverse parti)

Scena undicesima

Magnifico palazzo di Armida, che poi rovina, e si trasforma in una deserta campagna, nella quale si veggono parecchi mostri.
Zelmira, poi Idreno incatenato fra le Guardie, indi Armida.

ZELMIRA

(alle donzelle di suo séguito)

Come! Partì Clotarco? Ecco la fede

ed ecco la pietà, che quell'ingrato

mi giurò, mi promise! Ah mie compagne

a creder siam nui

facili troppo alle promesse altrui!

IDRENO

Tu vedi il tuo trionfo

nella sventura mia.

ARMIDA

Sire, s'avanza

degli arabi il soccorso. Omai saranno

le tue catene infrante.

IDRENO

Armida ancora

ad insultarmi viene?

Vanne: son men crudeli

della perfidia tua le mie catene.

Scena dodicesima

Ubaldo, e detti.

UBALDO

Olà, soldati, al campo. Il re superbo

traete, ove il suo reo destin lo mena.

Voi venite al trionfo, egli alla pena.

ARMIDA

(con affanno)

Signor, pietà. Sospendi...

dov'è, che fa Rinaldo? Ei mi promise...

ed or mi lascia oppressa...

UBALDO

Di lui t'oblia, pensa a salvar te stessa.

Farò di queste mura

un cumulo di sassi. I vostri inganni

su voi ricadranno.

A tremar, a morir vieni, o tiranno.

(parte)

ARMIDA

Mio re.

IDRENO

Perfida, addio. Vivi, e infelici

rendi almeno, vivendo, i miei nemici.

(parte fra le guardie)

Scena tredicesima

Armida, Zelmira, indi Clotarco, e poi di nuovo Zelmira.

ARMIDA

Zelmira, per pietà cerca, t'affretta,

guida Rinaldo a me.

ZELMIRA

Pietà mi chiedi?

Così confusa sono,

che incerta al mio destino io m'abbandono.

(parte)

ARMIDA

Mi lascerà Rinaldo

fra le rovine mie, così sepolta!

Ho da soffrirlo ingrato un'altra volta?

Fuggi, seguimi, Armida: il tuo periglio

indugio non ammette.

CLOTARCO

Fuggi, seguimi, Armida: il tuo periglio

indugio non ammette.

ARMIDA

Eppur non torna

Rinaldo ancor?

CLOTARCO

Di lui ti scorda. Astretto

sospirando partì. La fé, l'amore

ei serba a te, quanto il dover lo chiede.

ARMIDA

Empio! Questo è l'amor, questa è la fede?

Finge pietà per me, soccorso, e pace

mi promette di nuovo, e poi crudele

in periglio sì rio

da me s'invola, e non mi dice addio!

Misera, ch'io dovea svellergli 'l core,

quand'era in mio poter! Ah dove apprese

sì dura crudeltà! No, no 'l produsse

l'italo ciel: d'orrida fiera i primi

alimenti egli trasse: a lui diè vita

sul Caucaso gelato errante scita.

ZELMIRA

S'avanza, o principessa,

de' nemici il tumulto. In questa reggia

più sicure non siam.

ARMIDA

Deh mi lasciate

in preda al mio destin!

CLOTARCO

Serbati almen...

ZELMIRA

Vivi, estingua il furor l'amore antico.

ARMIDA

Chi mi parla di vita è mio nemico.

CLOTARCO

Dunque perir vorrai?

ARMIDA

Vanne.

ZELMIRA

Ti spiace

la pietà, ch'ho di te?

ARMIDA

Lasciami in pace.

ZELMIRA

Ma non vedi...

CLOTARCO

Non sai, che ti sovrasta...

ARMIDA

Lo so, lo vedo: alfin partite, e basta.

CLOTARCO

Zelmira, andiam, né questi

perdiamo utili istanti.

ZELMIRA

Oh amor tiranno! Oh sempre ciechi amanti!

(parte con Clotarco, e con esso loro tutto il seguito di Armida)

Scena quattordicesima

Armida sola.

Dunque per mio tormento

nacque Rinaldo! E ognor così mi strugge!

Mi giura amor, poi m'abbandona, e fugge!

Sì, l'empio, e gode del suo inganno.

Ah spergiuro! Ah tiranno! All'amor mio

questa tu rendi, oh dio, crudel mercede?

Povera Armida, a chi darai più fede!

Fermati, ingrato: aspetta...

abbi pietà... Ma no.

Tradita, oh dio, così!

Pera chi mi tradì: voglio vendetta.

Nere furie inquiete,

ministre del mio sdegno, olà, che poi

di vendicarmi io lascio il peso a voi.

Escono prontamente diverse Furie incatenate.

ARMIDA

Arda, cada la reggia. Ite, scorrete,

svenate il reo, per cui m'affanno, e moro...

Le Furie rompono le loro catene, e s'affrettano ad eseguire gli ordini d'Armida. Apresi in questo mentre la terra, e vi esce un fuoco, in mezzo a cui compariscono l'Odio, la Vendetta, e la Disperazione armate di faci; ne distribuiscono alle altre Furie, e corrono ad incendiare il palazzo, che subito rovina, e vi resta invece una deserta campagna.

ARMIDA

No, risparmiate un traditor, che adoro.

Ah come! E avrò pietà... no; mora. Io stessa,

io 'l giungerò: vuò, che tremante ei miri

per suo orror, per sua pena

la man, ch'egli deluse, e che lo svena.

Comparisce un carro tirato da due draghi, sopra cui ascende Armida, e si dilegua; e quindi le divisate Furie intrecciano il ballo, che dà fine allo spettacolo.

Fine del libretto.

Generazione pagina: 14/01/2016
Pagina: ridotto, rid
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Locandina Atto primo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Scena quindicesima Atto secondo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima Atto terzo Scena prima Scena seconda Scena terza Scena quarta Scena quinta Scena sesta Scena settima Scena ottava Scena nona Scena decima Scena undicesima Scena dodicesima Scena tredicesima Scena quattordicesima