AMBLETO
Dramma per musica.
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Libretto di Apostolo ZENO, Pietro PARIATI.
Musica di Francesco GASPARINI.
Prima esecuzione: 16 gennaio 1706, Venezia.
Attori:
AMBLETO erede legittimo del regno, amante di Veremonda |
soprano |
VEREMONDA principessa di Allanda, amante di Ambleto |
soprano |
FENGONE tiranno di Danimarca |
tenore |
GERILDA moglie di Fengone, e madre di Ambleto |
soprano |
ILDEGARDE principessa danese |
soprano |
VALDEMARO generale del regno |
contralto |
SIFFRIDO confidente di Fengone, e capitano delle guardie reali |
contralto |
Eccellenza
Sono così abbondanti le grazie, con le quali vostra eccellenza si degna di qualificare il nostro rispetto, che ormai diventa nostro rimorso ciò che finora ci servì di vantaggio, e non potendo noi retribuirle cosa che sia ad esse proporzionata, abbiamo quasi più volte desiderato che fosse ella men generosa nell'impartircele, perché noi fossimo meno confusi nell'impotenza di corrispondere alle medesime. Ma perché né dobbiamo mortificarci di ciò che ridonda in fregio del magnanimo di lei cuore, né sofferire che la benignissima sua protezione rimanga più lungamente senza qualche pubblica testimonianza della nostra umilissima gratitudine, mossi da pari ragioni, siamo concorsi nel conforme sentimento di consacrare al nome autorevole dell'e. v. il dramma presente, e di supplicarla ad aggradirne l'offerta, debole sì, ma sincera. In quest'atto non creda ella che noi pensiamo a diffalcare alcuna minima porzione de' nostri comuni doveri; anzi è nostro voto di accrescerli con ottenere il singolar beneficio di un clementissimo patrocinio alle nostre fatiche. Egli è assai noto al mondo che il chiarissimo sangue, la famiglia gloriosa, e la persona istessa di v. e. è superiore a qualsivoglia applauso: onde riesce anche manifesto che nel chiamarla ad invigorire con la sua assistenza la nostra fiacchezza, non vi ha parte né la illustre sua nascita, né 'l singolare suo merito; ma tutto ben sì l'interesse è del nostro credito che ricorre per appoggio alla di lei autorità riverita. Piaccia così all'e. v. di perdonare all'ardimento di tale speranza; ed accogliendo in questo ufficio un mero tributo della nostra ossequiosa riconoscenza, ci permetta che in esso comparisca l'obbligo ed il titolo col quale ci protestiamo
di v. e.
umiliss.mi divotiss.mi ed obblig.mi ser.ri
N.N.
Argomento
Orvendillo, re di Danimarca, da Fengone che men di ogni altro il dovea, a tradimento fu ucciso. Il traditore occupò la corona, e mancando di fede ad Ildegarde, principessa danese, con cui per l'addietro passava amori, sposò a forza la regina Gerilda moglie di Orvendillo, e madre di Ambleto, il quale non sapendo come fuggire la morte che gli preparava il tiranno, si finse pazzo. Sospettò questi del vero, e tentò vari mezzi per assicurare i suoi dubbi. Fra le molte prove che egli ne fece, eccone le tre principali.
La prima fu di scegliere una bellezza delle più singolari che fossero nella sua corte, dando ordine che questa fosse condotta nel più folto di un bosco, dove Ambleto era solito a ritirarsi, con animo che alla veduta di questa fosse egli per dar qualche segno di sua finzione: del che dovevano esservi testimoni in quella selva nascosti. Fingesi che l'ordine ne fosse dato a Veremonda, principessa di Allanda, amata dal principe durante la vita del padre, e promessagli in isposa, la quale dopo la morte del re Orvendillo ritiratasi ne' suoi stati aveva mossa guerra al tiranno; ma vinta e presa da Valdemaro generale di Danimarca, era stata da lui che n'era divenuto amante, condotta come in trionfo alla corte.
Svanito il primo disegno, poiché Ambleto cautamente avvertito, che vi era chi lo ascoltava, continuò ne' suoi finti deliri, si venne al secondo esperimento, che fu con la regina sua madre. Simulò Fengone di voler imprendere un viaggio lontano; e lasciata la reggenza dello stato a Gerilda, fece nelle stanze di questa nascondere un suo fidato, perché notasse i ragionamenti del figliolo con la madre, che probabilmente ve lo avrebbe fatto condurre per desiderio di vederlo e di abbracciarlo, il che per altro non le veniva permesso. Anche questo artificio andò a vuoto. Il principe avvisato di ogni cosa (fingesi da Siffrido consigliere in apparenza fidatissimo di Fengone, ma internamente suo capitale nemico) entrò nella camera della madre, e mostrando in prima di non conoscerla, qua e là raggirandosi per rinvenire il nemico nascosto, e finalmente scopertolo, con più ferite l'uccise. Indi conoscendo che poteva parlare con sicurezza, rivoltosi alla regina, le manifestò senz'altra finzione il suo animo, e rinfacciandole la sua sofferenza, la trasse agevolmente ne' suoi sentimenti.
L'ultima prova fu nelle allegrezze di un convito. Il tiranno che meditava di ubriacare il principe per iscoprirne l'interno col vino, restò da lui medesimo con una bevanda alloppiato, e per ordine di Ambleto fu poco dopo in pena de' suoi tradimenti fatto morire.
Tanto riferisce Saffone Gramatico, antico scrittore danese, e dopo lui ne raccontano il fatto il Pontano, e 'l Meursio nelle loro Storie di Danimarca. La scena si rappresenta in Letra, antica residenza de' monarchi danesi, della quale oggidì non ci è rimasto vestigio.
Non paia strano ad alcuno che vi si nomini qualche deità de' greci col vocabolo greco. I danesi, durante il loro gentilesimo, le avevano pure in venerazione, benché con diverso nome. Poiché Giove presso di loro chiamavasi Toro. Marte appellavasi Odino, ecc. Del che si possono consultare Tommaso Bartolini il giovane, Olao Vormio, ed altri scrittori settentrionali. Qui si è stimato bene servirsi del nome più conosciuto per più chiarezza, e per isfuggire la confusione di vocaboli così strani.
Portici interni della reggia.
Fengone assalito da Sicari, e Gerilda da un altro lato con Guardie.
FENGONE
Ah traditori! Olà, custodi, aita.
GERILDA
Al vostro re? Felloni,
vi costerà la vita.
FENGONE
Inseguitegli, o fidi, e nel lor capo
recatemi un trofeo del valor vostro.
Per te vivo, o consorte.
GERILDA
(Iniquo mostro.)
FENGONE
Tanto deggio al tuo amor.
GERILDA
Di' al mio dovere:
che in me trovi la moglie, e non l'amante.
FENGONE
Sposa di un anno ancor nemica?
GERILDA
Ancora
l'ombra vien di Orvendillo, il morto sposo
a turbar nel tuo letto i miei riposi.
Quel che stringi, ei mi dice,
è 'l carnefice mio. Queste ferite
opre son del suo braccio,
e se no 'l vieta il cielo,
quel braccio istesso alza già il ferro, e in seno
già lo vibra di Ambleto, il caro figlio.
E tu, barbara madre, empia consorte,
e lo soffri? E lo abbracci? O dio! Dagli occhi
si dilegua frattanto
l'ombra col sonno, e sol vi resta il pianto.
FENGONE
Ah! Gerilda, Gerilda,
e quai sonni trar posso
se non di amor, di sicurezza almeno
a te nemica in seno?
GERILDA
Odi, Fengon. Son tua nemica, è vero.
Bramo il tuo sangue: bramo
la mia vendetta. Esser vorrei tuo inferno
per dare a me più furie, a te più doglie;
ma con tutto quest'odio io ti son moglie.
Nel tuo sen, crudel, vorrei
vendicare il mio dolor,
ma si oppone a' sdegni miei
questa fede che ti diede
la virtù, non mai l'amor.
Nel tuo sen, crudel, vorrei
vendicare il mio dolor.
Fengone, e Siffrido.
SIFFRIDO
Grazie agli dèi. T'inchino
fuor di periglio, o re. (Perfida sorte!)
FENGONE
Di Gerilda l'amor mi tolse a morte.
SIFFRIDO
Ma qual duolo ancor serbi?
FENGONE
Goder poss'io con mille insidie al fianco?
SIFFRIDO
Del felice tuo impero
meglio intendi il destin. Vinta è l'Allanda.
FENGONE
Trofeo di Valdemaro, il duce invitto.
SIFFRIDO
Veremonda è tua schiava.
FENGONE
(Anch'io sua preda.)
SIFFRIDO
Ambleto è in tuo poter.
FENGONE
Pur ne pavento.
SIFFRIDO
Che puoi temer d'un forsennato? Han tolto
tante sciagure il senno all'infelice.
FENGONE
Fors'egli finge.
SIFFRIDO
È gelosia di regno.
FENGONE
Siffrido, un gran timore ha un grande ingegno.
Cada egli pur.
SIFFRIDO
Ch'ei cada?
Qual frutto avrai? D'odio, e d'infamia.
FENGONE
E ognora
dovrò temerne?
SIFFRIDO
I tuoi sospetti accerta.
FENGONE
Ma per qual via?
SIFFRIDO
Di Veremonda un tempo
non arse il prence?
FENGONE
(Anch'io ne avvampo.) È vero.
SIFFRIDO
Non gli è madre Gerilda?
FENGONE
De' suoi primi sponsali unico frutto.
SIFFRIDO
Può a fronte di beltade, o di natura
l'arte coprirsi? E se pur anche Ambleto
sforza gli affetti, e fa tacere il sangue,
fanne a mensa real l'ultima prova;
che fra le tazze il simular non giova.
FENGONE
Saggio consigli, e non si tardi l'opra.
Tosto la real caccia
vanne, amico, a dispor. Me chiama intanto
di Valdemaro il merto alla sua gloria.
SIFFRIDO
Già ferve al tuo destin sorte e vittoria.
FENGONE
Smanie di re geloso,
datevi un dì riposo,
stanche di più penar.
Schiavo di rio sospetto
son condannato, e affretto
me stesso a paventar.
Smanie di re geloso,
datevi un dì riposo,
stanche di più penar.
Siffrido, e poi Veremonda.
SIFFRIDO
Vanne, o crudel. Non sempre
la morte fuggirai ch'io ti preparo.
Al caro padre, ed al german diletto,
dall'odio tuo svenati,
questa vittima io deggio, e 'l fatal colpo...
Qui Veremonda? (Il suo dolor m'accora.)
VEREMONDA
Empia sorte, a me togliesti
e comando, e libertà,
ma non nasce il mio dolore
da miseria, o da catene.
Quel che piango, è un maggior bene,
già delizia dell'amore,
ora oggetto alla pietà.
Empia sorte, a me togliesti
e comando, e libertà.
SIFFRIDO
Principessa, al tuo pianto
fa ragione il mio duol.
VEREMONDA
La mia sciagura
comincio a meritar, se tu la piangi.
La pietà di un fellon giusta la rende.
SIFFRIDO
Ciò che par fellonia, sovente è fede.
VEREMONDA
Arte è d'anima rea finger virtude.
SIFFRIDO
Mal si giudica il cor sol dall'esterno.
VEREMONDA
Ma l'opre sono il testimon del core.
SIFFRIDO
Non muove il mio, che zelo, fede, e onore.
VEREMONDA
Del tuo ucciso monarca
rispettar l'uccisor: servir l'iniquo
distruttor della patria:
mirar dall'empio, e sofferirlo, e amarlo,
il regno desolato, e sin ridotto
alla miseria, o dio! degna ch'io sempre
l'accompagni col pianto, il regio erede.
Questo è onor? Questo è zelo? E questa è fé.
SIFFRIDO
È ver.
VEREMONDA
Parti. Usar teco
più lunga sofferenza.
O diventa mia colpa, o mio tormento.
SIFFRIDO
Credimi reo: mi assolverà l'evento.
Credimi, sì, qual vuoi,
perfido, e traditor: non ho discolpa.
Ma in mezzo agli odi tuoi
più sento il tuo dolor, che la mia colpa.
Veremonda, e poi Ambleto con Ildegarde.
VEREMONDA
Il so. Non ha discolpa il tradimento.
Ed è lusinga... Ah! Che vegg'io?
ILDEGARDE
(ad Ambleto)
Che pensi?
AMBLETO
Vorrei saper...
ILDEGARDE
Che mai?
AMBLETO
Perché non piange
l'aurora in cielo, or ch'è prigione il sole.
ILDEGARDE
(Vezzose frenesie!)
VEREMONDA
(Pietoso oggetto!)
AMBLETO
Io vi conosco sì.
(ad Ildegarde)
Tu Clizia sei, che segui,
ma senza speme, intendi ben, di Apollo,
che non ti ascolta, i passi.
(a Veremonda)
Tu Citerea. Ravviso
in quel ciglio, in quel labbro Amore assiso.
ILDEGARDE
(Vaneggia, e m'innamora.)
VEREMONDA
(L'idea de' primi affetti ei serba ancora.)
Ambleto, ormai da pace...
AMBLETO
A chi favelli?
Quest'Ambleto dov'è? Dov'è?
ILDEGARDE
Tu 'l sei.
AMBLETO
Io Ambleto? E dov'è il padre?
Dove i vassalli? Veremonda? Il trono?
Ambleto è morto. Io l'ombra sol ne sono.
VEREMONDA
(Misero prence!)
ILDEGARDE
Dove te n' vai? Che cerchi?
AMBLETO
Cerco il cor che perdei.
ILDEGARDE
(Core di sì bel seno almen foss'io.)
VEREMONDA
(Tu non sei senza cor se tieni il mio.)
Ma quando lo smarristi?
AMBLETO
Allor che la mia pace a me fu tolta.
VEREMONDA
Chi te l' rapì?
ILDEGARDE
Chi la possiede?
AMBLETO
Ascolta.
A questi occhi giunse un dì
la bellezza con amor,
e per gli occhi in sen mi entrò.
Quando poi da me partì,
se ne uscì con essa il cor,
e l'amore vi restò!
ILDEGARDE
Dunque ancor sei amante?
AMBLETO
Ma dove, dov'è Ambleto?
Dov'è 'l mio cor?
(a Veremonda)
Forse in quel sen racchiuso?
No no: ch'egli è di neve,
e 'l mio povero core è tutto foco.
VEREMONDA
Mi struggo di pietade.
ILDEGARDE
(Ardo di amore.)
Veremonda, che tardi? A Valdemaro
nel suo nobil trionfo
la tua dimora il più bel fregio invola.
(Così col bel che adoro io resto sola.)
VEREMONDA
Si ubbidisca la sorte.
Le sventure di Ambleto
veder senza morir più non poss'io,
perché il duol ch'ei non sente, è dolor mio.
Nel furor de' suoi deliri
trovo ancor la sua beltà.
E l'affetto
dice a me che i miei sospiri
son di amor, non di pietà.
Ildegarde, ed Ambleto.
ILDEGARDE
(Or si tenti il destin.) Prence.
AMBLETO
Non vedi?
Partito è 'l sol: tutto si oscura il giorno.
Deh! Nasconditi, fuggi.
ILDEGARDE
Almen...
AMBLETO
Vanne al destino, e di' che ormai
faccia spuntar quel giorno in cui si stia
col diadema real...
ILDEGARDE
Chi?
AMBLETO
La pazzia.
ILDEGARDE
Sentimi.
AMBLETO
Hai tu 'l mio scettro?
Hai tu 'l mio regno?
ILDEGARDE
In questo sen l'avrai.
AMBLETO
Incauta farfalletta,
l'ali perder potrai
se del tuo foco ai rai qui più ti aggiri.
ILDEGARDE
Sembran furie, e son grazie i suoi deliri.
Non so qual sia
maggior follia
o 'l danno della mente, o 'l mal d'amore;
so ben che uguali
son questi mali,
il viver senza senno, e senza core.
Ambleto.
Questa sola mi resta, iniqui fati,
per le miserie mie strada infelice?
Ciò che sperar dovea
dalla madre, da' sudditi, dal sangue,
dal pudico amor mio, dal mio valore,
m'imponete ch'io deggia ad un inganno?
Pur se giova, si finga, e i giusti sdegni
copra follia, purché si viva e regni.
Stelle, voi che in ciel reggete
proteggete la mia speme.
Se placate
un dì mirate.
L'innocenza de' miei pianti,
già respira, e più non teme.
Piazza per gli spettacoli.
Valdemaro con Séguito, e poi Veremonda.
VALDEMARO
Tromba in campo, e spada in guerra
più non armi i suoi terrori.
Abbiam pace, abbiam vittoria.
Volto il ferro in miglior uso
sol le glebe apra alla terra,
e coltivi eterni allori,
Dania invitta, alla tua gloria.
VEREMONDA
Eccomi Valdemaro. A' tuoi trionfi
servano pur di Veremonda i ceppi.
Tuo pregio è ch'io li tragga, ed è mio vanto
trargli in trofeo senza viltà di pianto.
VALDEMARO
S'io per tuo scorno, o per mio fallo agli occhi
della Dania ti esponga, a te lo dica
quel rispettoso amor...
VEREMONDA
Di amor non parli
all'infelice beltà chi tal la rese.
VALDEMARO
Del nemico le offese
risarcirà l'amante.
VEREMONDA
Tardo è 'l riparo, e la cagion n'è vile.
VALDEMARO
Non condannar di tua beltà i trofei.
VEREMONDA
Se piacciono a un nemico,
son ribelli al mio cor sin gli occhi miei.
Fengone con Guardie, e li suddetti.
FENGONE
Fra queste braccia, ed all'onor di questi
spettacoli di gioia
vieni, illustre campione, invitto duce.
Vincesti: eguale al merto
premio si dée. Tua sia la Falstria. È degno
che stringa scettro il difensor d'un regno.
VALDEMARO
Si è vinto, o gran monarca,
con l'armi tue, con la tua gloria. Pure
se qualche prezzo all'opra
vuoi conceder, signore, ecco i miei voti.
Suddita alle tue leggi
Falstria rimanga. In dono, od in mercede
sol si dia Veremonda alla mia fede.
FENGONE
Duce...
VEREMONDA
No. A Veremonda,
benché vinta, e cattiva,
si lasci in libertà ch'ella risponda.
La ragion che ti diero armi e fortuna
sulla mia vita, è tuo trofeo. Di questa,
Valdemaro, disponi. Io son tua spoglia,
ma che ingiusto tu voglia
stendere ancor sovra gli affetti miei
l'autorità della vittoria e 'l frutto,
soffri ch'io 'l dica, è tropp'orgoglio, o duce.
Libera ho l'alma, e in lei
le tue conquiste alcun poter non hanno.
Tu se' mio vincitor, se vuoi mia vita,
ma se pensi al mio cor, se' mio tiranno.
E tu, signor, che in fortunato impero
reggi la Dania, ed hai propizio il fato,
non ti abusar del suo favor. Sostieni
contro un superbo amor la mia costanza;
né soffrir che trionfi
sulle perdite mie l'altrui baldanza.
FENGONE
In me, vergine eccelsa,
non troverai, qual pensi, un re nemico.
Rasserena il bel volto, e tutto attendi
da un re che ti assicura. (E che ti adora.)
VALDEMARO
(Delusi affetti, e non morite ancora?)
FENGONE
Se alle tue brame, o duce,
Veremonda si oppone, il re ne assolvi:
pur non andrai senza mercé. Qui tosto
venga Ildegarde.
(a Veremonda)
Intanto
meco ti affidi.
VEREMONDA
O ciel! Deh! Col mio duolo
del trionfo il piacer non si funesti.
FENGONE
Tutto a te si conceda.
VEREMONDA
Nella mia
sfortunata prigionia
sospirando ti dimando
questa sola libertà.
Quando un'alma non è in calma,
piange solo
le ragioni del suo duolo,
e piangendo amar non sa.
Nella mia
sfortunata prigionia
sospirando ti dimando
questa sola libertà.
Fengone, Valdemaro, e poi Gerilda.
FENGONE
Vieni, o duce, agli onori.
VALDEMARO
(Meco piangete, o sfortunati amori.)
GERILDA
Fermati, o re.
FENGONE
Consorte.
GERILDA
A un sol passo che inoltri, avrai la morte.
FENGONE
Come?
VALDEMARO
Che?
GERILDA
Già ruina
la fatal pompa.
VALDEMARO
O precipizi orrendi!
GERILDA
E si apron tombe ove i trionfi attendi.
FENGONE
Ed è ver ch'io ti deggia...
GERILDA
La vita, sì, per mia sciagura, iniquo.
FENGONE
Ma chi l'inganno ordì? Come, o Gerilda
a te ne giunse il grido?
VALDEMARO
Parla, scuopri l'infido.
GERILDA
Si svelò il tradimento:
si taccia il traditor. Dir quel dovea
la moglie di Fengon. Tacer dée questo
la moglie di Orvendillo.
FENGONE
Chi mi lascia in timor, mi vuole in rischio.
GERILDA
Piacemi che principi
sin dalla mia pietà la mia vendetta.
FENGONE
Deh! Consorte diletta...
GERILDA
Addio. Rimanti
salvo per me, per me di vita incerto.
Prega gli dèi, che tutti
mi giungano all'orecchio i tuoi perigli:
che di me non avrai miglior difesa.
Ma ti vegliano ancora
tanti nemici, e tante insidie intorno,
che possibil non è la tua salvezza.
Stanno l'odio, e la morte alle tue soglie:
temi ciascun: sol non temer chi è moglie.
Fengone, Valdemaro, Ildegarde.
FENGONE
Duce, vedesti mai
più severo favor? Pietà più cruda?
VALDEMARO
Stupido resto, e temo.
ILDEGARDE
Qui per tuo cenno...
FENGONE
Bella.
ILDEGARDE
Tal parvi agli occhi tuoi,
quando...
FENGONE
Frena l'accuse. In Valdemaro
avrai chi risarcisca
l'infedeltà d'un re. Tu sei sua sposa.
Ti sorprende la gioia? In Ildegarde
duce avrai la mercé del tuo valore.
Ti confonde il piacer?
VALDEMARO
(Di sdegno avvampo.)
ILDEGARDE
A Valdemaro io sposa?
FENGONE
Sì: l'arte io so d'una beltà ritrosa.
ILDEGARDE
Del tradito amor mio
così compensi il danno?
FENGONE
Eh! Che i grandi in amor legge non hanno.
Or prepara Amor due dardi,
e se n' viene al vostro cor
e per darvi eguale ardor,
nel balen de' vostri sguardi
due facelle accende Amor.
Or prepara Amor due dardi.
Ildegarde, e Valdemaro.
ILDEGARDE
Vanne, o perfido, va'. Sentimi, o duce,
non è disprezzo no, non è rifiuto
il negarti la destra; è una ragione
del cor ch'è già perduto in altri lacci.
VALDEMARO
Con l'esempio del mio lodo il tuo core.
Ma dimmi: ami Fengone?
ILDEGARDE
Adoro Ambleto.
VALDEMARO
Segui ad amarlo. (Essa un rival mi toglie.)
Io Veremonda.
ILDEGARDE
Segui.
Segui, e spera mercé. Le sue catene
la renderan men fiera.
VALDEMARO
Ella troppo è crudele.
ILDEGARDE
Eh! Segui, e spera.
(parte)
VALDEMARO
La speme del nocchiero è in una stella;
e nella speme ha la sua stella Amore.
Se l'uno è abbandonato, ahi! Che procella!
Se l'altro è disperato, ahi! Che dolore!
Parco reale.
Gerilda, e Siffrido.
SIFFRIDO
Due volte il fato estremo
pendé sul capo al regnator tiranno.
GERILDA
E due volte per me non cadde l'empio.
SIFFRIDO
Ma, regina, perché? Tu stessa al colpo
sproni la fede, e poi la man disarmi?
GERILDA
Chi sa oprar e tacer, può vendicarmi.
SIFFRIDO
Solo a Gerilda io confidai l'arcano.
GERILDA
Far che 'l sappia Gerilda, egli è un tradirlo.
SIFFRIDO
E una moglie regina
tacer potrà ciò ch'io tentai?
GERILDA
Ti affida.
Se la trama perì, l'autore n'è salvo.
SIFFRIDO
Ma non hai salvo il figlio,
cui dal trono sovrasta odio e periglio.
GERILDA
O dèi!
SIFFRIDO
Qui 'l re. Cela il tuo duol.
Fengone con Séguito, e li suddetti.
FENGONE
Siffrido,
persiste ancor nel suo tacer Gerilda?
SIFFRIDO
Seco perduta è l'arte.
GERILDA
Piace, perché tua pena, a me me l'arcano.
SIFFRIDO
Comanda un re.
FENGONE
Prega un marito.
GERILDA
È vano.
FENGONE
Furor ti regge, tu ragion lo credi.
Ma poiché la salute
d'un fellone ti è a cuor, più che la mia,
ceda l'amor. L'esempio tuo si segua.
L'odio, il furor non si risparmi omai.
GERILDA
Ah! T'intendo, o tiranno.
FENGONE
Tu mi chiami tiranno, e tu mi fai.
GERILDA
Dove pensi ferirmi, il cor mi dice.
Moglie non temo, e temo genitrice.
Pur senti, io non impetro
lagrimosa al tuo piè che viva il figlio.
Ambleto, e se non basta,
pera anche il regno, anche Gerilda mora;
ma il carnefice tuo sia vivo ancora.
Minacciami, lusingami
con l'odio, o con l'amor. Saprò tacer.
Se vieni sposo amante,
dirò: non vo' goder
se barbaro regnante,
dirò: non so temer.
Minacciami, lusingami
con l'odio, o con l'amor. Saprò tacer.
Fengone, e Siffrido.
FENGONE
Qui, Siffrido, saprò, se Ambleto sia
o politico, o stolto.
Qui verrà Veremonda.
Tu parti. Un cauto amore
quand'ha chi osservi, ha i suoi riguardi, e tace.
SIFFRIDO
E beltà, quando è sola, è ancor più audace.
Fengone, e poi Veremonda.
FENGONE
Viene la bella. O quale
mi si accende nel sen voglia amorosa!
Ma sinché rode il petto
tarlo di gelosia, taccia l'affetto.
VEREMONDA
Eccomi a' cenni tuoi.
FENGONE
Mia principessa,
(che a te non toglie il grado
chi ti tolse l'impero) a me chiedesti
di frenare il desio di Valdemaro.
Il feci, o bella.
VEREMONDA
E fu cortese il dono.
FENGONE
Per me non fosti al suo trionfo esposta
spettacolo infelice.
VEREMONDA
E fu dono gradito il mio contento.
FENGONE
Or di mia cortesia, de' doni miei
ti chieggo una mercé.
VEREMONDA
Giusta? L'avrai.
FENGONE
Ambleto già ti amò: tu pur l'amasti.
Vo' saper, s'ei sia folle, o s'ei s'infinga.
Già m'intendi. Con esso
rimanti in libertà. Lascia che sfoghi
senza contrasto il genio antico, o parli
in sua balia, qual parla altrui, da stolto.
VEREMONDA
Cieli!
FENGONE
Ei vien. Qui mi celo, e qui l'ascolto.
(si ritira)
Ambleto da cacciatore, e Veremonda.
AMBLETO
Quante belve han queste selve,
tante furie ha questo petto.
VEREMONDA
Ch'io cospiri a tradir l'idolo mio?
AMBLETO
Tormentato, lacerato
sente il mal... Che vegg'io? Qui Veremonda?
VEREMONDA
(In sen palpita l'alma.)
AMBLETO
(Dopo tante tempeste ecco una calma.)
VEREMONDA
(Sfortunato cimento.)
AMBLETO
(Son pur solo, o speranze.)
VEREMONDA
(Ahi! Che far deggio?)
AMBLETO
Or le dirò che sol d'amor vaneggio.
O del mio cor fiamma innocente, e chiara
quest'è pur... ma che fia? Nemmeno un guardo?
VEREMONDA
(Mi fa ingegnosa il rischio suo.)
(scrive col dardo in terra)
AMBLETO
(Pur solo
mi veggio. A che tacer?)
VEREMONDA
(Leggesse almeno.)
AMBLETO
Eccoti al piè misero sì, ma sempre...
(E tuttavia mi sdegna?)
(guarda per la scena)
VEREMONDA
(Incauto ei cancellò le fide note:
ma le rinnovi il dardo. Amor mi aita.)
(torna a scrivere in terra col dardo)
AMBLETO
(Son perduto. Ma infida, e sorda, e ingrata
sappia quant'io l'adoro, e s'ella poi
pietà mi nega, e fede
qui se le mora al piede.)
Volgetevi pietose, o luci amate,
almeno a rimirar le mie ferite.
VEREMONDA
Io ti ho ferito? Mira
il ferro del mio dardo. Ei del tuo sangue
tinto non è.
AMBLETO
Che leggo? «Il re ti ascolta.»
(Intendo.) Lascia, sì, lascia, mia dèa,
ch'io baci un sì bel dardo.
VEREMONDA
(Amor mi arrise.)
AMBLETO
(Ma nel baciarlo ei mi addolcì le labbra.)
Dimmi: l'hai tu di nettare, o di miele
sparso, Cinzia gentil, Cinzia, mio nume.
VEREMONDA
Che favelli? Non vedi?
Son Veremonda, che Orvendillo un giorno...
AMBLETO
Che parli di Orvendillo?
Si cancelli un sì bel nome.
E dai faggi, e dalle rupi.
VEREMONDA
Perché?
AMBLETO
Perché? Me 'l divoraro i lupi.
VEREMONDA
(O cauto, o forsennato ei dice il vero.)
AMBLETO
Senti, Diana. Ha queste selve un mostro
fiero, e crudel, degno de' nostri dardi.
Tu mi reggi la destra, e a te divoto
ne recherò l'orrido teschio in voto.
VEREMONDA
Deliri, o prence.
AMBLETO
Taci. Ecco la fera
tra quelle frondi. O che bel colpo!
VEREMONDA
Ferma.
Fengone, e li suddetti.
FENGONE
Cotanto audace?
AMBLETO
E chi se' tu? Rispondi.
VEREMONDA
Il re. Che? No 'l conosci?
AMBLETO
Il re? Ah ah ah. Un satiro tu sei,
(guardati, bella dèa) crudo, e lascivo
nemico delle leggi, e degli dèi.
FENGONE
(Si avvalora il sospetto.)
AMBLETO
(L'ira qui può tradir la mia vendetta.)
VEREMONDA
Ambleto, ove te n' vai?
AMBLETO
Giove mi aspetta.
Quando io torni, voi vedrete
che il baleno, il lampo, il folgore
meco in terra io porterò.
Le tempeste, le comete
il terror, la strage, il fulmine,
e la morte in pugno avrò.
Quando io torni, voi vedrete
che il baleno, il lampo, il folgore
meco in terra io porterò.
Fengone, e Veremonda.
FENGONE
(Sono anche incerto.) Il prence
forse delira, e 'l suo maggior delirio
fu 'l partir da voi, luci adorate.
VEREMONDA
A chi parli?
FENGONE
A' tuoi lumi, ed al tuo core.
VEREMONDA
Tiranno. O del mio nome
troppo debole virtù, se non spaventi
sì temerario ardire! Ardir tropp'empio,
se della mia virtude oltraggi il lume?
FENGONE
Empio no, no 'l chiamar. Chiamalo cieco,
perch'è un ardir d'amore.
VEREMONDA
E parli meco?
Tu re marito a Veremonda amori?
FENGONE
Non sono eterne al cor d'un re, mio bene,
d'Imeneo le catene.
Meglio intendi un dolce affetto,
e saprai che non ti offende.
Non è oltraggio, ma rispettoso
quel desio che in me si accende.
Meglio intendi un dolce affetto,
e saprai che non ti offende.
Veremonda.
A tante mie sciagure
si aggiungerà l'indegno amor d'un empio?
Ma si aggiunga. Del fato
vinsi tutto il furor. Vincasi ancora
tutto il poter di così rea baldanza,
ed abbia più trofei la mia costanza.
Quanto più gode
tra voi contenta,
o selve amene,
la pastorella.
Qui forza o frode
non la spaventa;
e col suo bene
d'amor favella.
Quanto più gode
tra voi contenta,
o selve amene,
la pastorella.
Cortile segreto.
Fengone, e Siffrido.
FENGONE
Tanto seguì. L'arti deluse e i vezzi
di beltà lusinghiera.
SIFFRIDO
Pazzia già certa un fier rival ti toglie.
FENGONE
Eppur vive, Siffrido, il mio timore.
SIFFRIDO
Se ragion no 'l sostiene, è un timor lieve.
FENGONE
Basta che sia di re, perché sia grande.
SIFFRIDO
Deh! Lascia...
FENGONE
No: la madre
all'amante succeda.
Fingerò con Gerilda,
che ribelli al mio scettro abbiano i Cimbri
scosso il lor giogo. Io duce
uscirò al campo, e me lontano, ad essa
qui 'l supremo comando
concesso sia.
SIFFRIDO
Qual n'è il tuo fin.
FENGONE
La madre
vaga di dare al figlio i dolci amplessi,
farà condurlo alle sue stanze. Iroldo
della reggia custode, e a me fedele
starà ivi occulto ad osservarne i detti.
SIFFRIDO
E 'l vero intenderà de' tuoi sospetti.
FENGONE
Tu taci, e scorta il prence,
quando fia d'uopo, alla regina.
SIFFRIDO
Intesi.
(Ma delle trame avvertirò chi deggio.)
Fengone, ed Ildegarde.
FENGONE
Venga Gerilda.
ILDEGARDE
In tale indugio, o sire,
la gloria d'inchinarti abbia Ildegarde.
FENGONE
Grata del nobil dono a me te n' vieni.
È Valdemaro il primo
duce dell'armi nostre.
ILDEGARDE
Il più forte guerrier, che stringa acciaro.
FENGONE
Ornamento del regno, amor del soglio.
ILDEGARDE
Sì: ma perdona, o sire...
FENGONE
Che?
ILDEGARDE
Con tutti i suoi fregi io non lo voglio.
FENGONE
Ildegarde, rifletti
che non son più tuo amante. Il tuo re sono.
ILDEGARDE
E ad un re che fu amante, io rendo il dono.
FENGONE
Se nuovo amor non ti avvampasse in seno,
non saresti sì audace.
ILDEGARDE
I tuoi spergiuri in libertà mi han posta.
FENGONE
Scuopri l'oggetto, e l'imeneo ne approvo.
ILDEGARDE
A chi già mi schernì, poss'io dar fede?
FENGONE
Scettro ancor non stringea chi a te la diede.
ILDEGARDE
Il crederti or mi giova. Adoro Ambleto.
FENGONE
Stravagante desio!
ILDEGARDE
Consola l'amor mio,
e lo lascia regnar sovra il mio core.
FENGONE
Compiacerti non posso, incauta amante.
ILDEGARDE
E la real tua fede?
FENGONE
Un re l'oblia, s'ella gli torna in danno.
ILDEGARDE
Dovea farmi più accorta il primo inganno.
Prestar fede a chi non l'ha,
alma mia,
tu lo vedi, è frenesia,
tu lo provi, è vanità.
Quando crede a un falso core,
è l'amore una follia,
è la speme una viltà.
Prestar fede a chi non l'ha,
alma mia,
tu lo vedi, è frenesia,
tu lo provi, è vanità.
Gerilda, e Fengone.
FENGONE
(Si lusinghi costei.) Teco, o Gerilda,
cospirano a' miei danni anche i vassalli.
Già la Cimbria rubella
m'obbliga all'armi. Io partirò. Tu sola
serba l'arcano. Oh folle
al par di quegl'infidi
mia facile conquista anche il tuo core!
GERILDA
Troppo fosti crudel per non averlo.
FENGONE
Regina, odiami pur: le insidie occulta,
né più strugga la man del core i voti.
Pur luci amorose,
benché disdegnose,
sì godo in mirarvi,
che ad onta di vostr'ire io voglio amarvi.
GERILDA
(Non s'irriti un amor che salva il figlio.)
Signor, meno di affetto io ti richiedo.
Lasciami l'odio mio con più innocenza.
FENGONE
Io parto. A te frattanto
tutto resti in balia l'alto comando.
Addio, diletta. È questo
l'ultimo forse. Io se cadrò fra l'armi,
tu sarai sola il mio pensiero estremo.
Felice me, se mi perdoni estinto,
e se di qualche fior questa, ch'io bacio,
candida mano, il freddo sasso adorna.
GERILDA
Va', pugna, vinci, e vincitor ritorna.
FENGONE
Sulla fronte giù cingo gli allori,
e felici ne prendo gli auspici,
luci care, dal vostro piacer.
Quegli sguardi che armate di amori,
per ferire dan l'armi, e l'ardire,
e per vincer l'esempio, e 'l poter.
Sulla fronte giù cingo gli allori,
e felici ne prendo gli auspici,
luci care, dal vostro piacer.
Veremonda, e Gerilda.
VEREMONDA
Son comuni i miei torti anche a Gerilda.
Arde di me il tuo sposo.
GERILDA
Arde di te?
VEREMONDA
Nel vicin bosco ei stesso
scoprì l'ardor. Con quale orror, tu 'l pensa.
GERILDA
Tanto egli osò? Tu orror ne avesti?
VEREMONDA
Come
favellar può di amore un re marito
a vergine real senza oltraggiarla?
GERILDA
E tu la grave offesa a me confidi?
VEREMONDA
A te che sei consorte: a te che in lui
non ritrovi, lo so, che il tuo tiranno.
GERILDA
Non mi affligge il suo amor; piango il tuo inganno.
VEREMONDA
L'inganno mio?
GERILDA
Gerilda
non mai gli fu più cara.
VEREMONDA
E appunto un core
quando cerca tradir, finge più amore.
GERILDA
Eh! Veremonda, è l'uso,
sia senso, o bizzarria, d'alma regnante
questa mostrar sovranità d'affetto,
col parere incostante:
cercar più d'un diletto:
voler piacere a molte:
molte ancor lusingarne,
e poi sol una amarne.
VEREMONDA
Credi meno ad un empio, io ti consiglio.
GERILDA
Tu meno al tuo bel ciglio.
Hai bel vezzo, hai bel sembiante;
ma non sempre a labbro amante
déi dar fede, e lusingarti.
Facil cede alma che crede;
e più vinci in men fidarti
di chi giura di adorarti.
Hai bel vezzo, hai bel sembiante;
ma non sempre a labbro amante
déi dar fede, e lusingarti.
Veremonda, e Valdemaro.
VEREMONDA
Troppo, troppo semplice Gerilda!
VALDEMARO
Veremonda, permetti
che teco l'amor mio...
VEREMONDA
Non mi offende il tuo amor: che non vi è donna,
credilo, sì, donna non vi è che irata
oda giammai d'onesto amante i voti,
ma 'l tuo col mio destino
vogliono ch'io sia crudele, e tu infelice.
Amo Ambleto. Sì, l'amo. Hai per rivale
un che nacque tuo re. Tu nel mio core
onora il di lui grado. Ha la tua fede,
ed ha la tua virtù questo dovere.
VALDEMARO
Ambleto?
VEREMONDA
Sì. Né basta
che tu sveni al suo nome i tuoi desiri;
convien che tu 'l difenda
in questo sen. Qui lo minaccia, o ardire!
E qui l'insidia il re con empia brama.
VALDEMARO
Il re?
VEREMONDA
Dillo tiranno, e tale ei mi ama.
Ambleto, e li suddetti.
AMBLETO
(Che ascolto?)
VEREMONDA
Sì: l'iniquo mi ama, e questo
degli acerbi miei mali è 'l più funesto.
AMBLETO
(a Veremonda)
Flora, dimmi, sai tu l'aspra sventura
di quel bel giglio?
VEREMONDA
(O ciel, quanto è vezzoso!)
AMBLETO
(a Valdemaro)
E tu sai l'ardimento
di quella serpe?
VALDEMARO
O sfortunato prence!
AMBLETO
A me poc'anzi, a me
ne raccontò Zeffiro amico il caso.
Cinto di amiche rose un dì crescea,
bianco figlio dell'alba, un giglio ameno:
ed un'ape innocente in esso avea
riposo al volo, ed alimento al seno.
Quando una serpe, insidiosa, e rea
se gli accostò col suo crudel veleno,
e allor si udì fra 'l danno, e fra 'l periglio
pianger quell'ape, e sospirar quel giglio.
VEREMONDA
(Par che per me favelli.)
AMBLETO
Deh! Accorrete in difesa a fior sì vago.
VALDEMARO
(Seguir conviene i suoi deliri.) Taci,
che già fuggì l'infida serpe altrove.
AMBLETO
Ma torneravvi.
(a Veremonda)
Tu di acute spine
arma quel fiore, e 'l custodisci illeso.
VEREMONDA
Non temer.
AMBLETO
(a Valdemaro)
E se torna
il suo nemico, e tu col piè lo premi.
(M'intendesser così.)
VEREMONDA
(Quanto il compiango!)
VALDEMARO
Accheta il duol. Me in tua difesa avrai.
Ma concedi...
AMBLETO
(a Valdemaro)
Rimira,
qual s'erge al ciel denso vapor che oscura
di Febo i rai... (La gelosia mi uccide.)
VEREMONDA
(Tormentosi deliri!) Valdemaro,
alla tua gloria affido
l'onor mio, la mia pace, e mentre in essa
la mia salvezza bramo,
la tua virtude in mio soccorso io chiamo.
Non è sì fido al nido
dell'usignuolo il volo,
com'io son fida a te: ma non m'intendi.
Non è sì chiara, e bella
d'amore in ciel la stella,
com'è la fé, ch'è in me: ma no 'l comprendi.
Non è sì fido al nido
dell'usignuolo il volo,
com'io son fida a te: ma non m'intendi.
Ambleto, e Valdemaro.
VALDEMARO
In me che speri, amore?
AMBLETO
Amor nel petto
chiuso trattieni? Io vo' che spieghi i vanni
prima a' bei rai della mia diva, e poscia
meco venga a posar.
VALDEMARO
Dove?
AMBLETO
Sul trono.
VALDEMARO
Come?
AMBLETO
Non sai che il re de' cori io sono?
VALDEMARO
(Mi fa dolor benché rivale.) Io parto.
AMBLETO
Ferma. Dov'è il valore
della tua man? Vediamlo.
Di': non sei tu di questo ciel l'Atlante?
Così lo reggi? Di'. Così 'l difendi?
Ma questo che sospendi al nobil fianco
illustre arnese a te che serve?
VALDEMARO
È 'l brando,
strumento a' miei trionfi.
AMBLETO
Sì: lo veggio,
e di pianto, e di sangue
che sparse l'innocenza ancor fumante.
Vanne: e ad uso miglior da te s'impieghi.
Segui l'esempio mio.
Venga la clava, e si apparecchi intanto
de' mostri il sangue, e de' tiranni il pianto.
Vieni, e mira, come gira
dalla cima sino al fondo
sconcertato tutto il mondo.
Non lo voglio più così.
Di' a quel monte che si abbassi,
perché i passi m'impedì.
Non lo voglio più così.
Valdemaro.
Valdemaro, che pensi?
Sei reo con Veremonda, allor che l'ami;
e più sei reo, se brami
da un risoluto ardir la sua difesa,
ma il lasciarla in periglio
non è della tua gloria,
non è dell'amor tuo saggio consiglio.
Sì, ti sente l'alma mia,
amorosa gelosia,
sì, t'ascolta questo cor.
E l'affetto,
che nel petto ancor si asconde,
ti risponde
con le voci dell'onor.
Sì, t'ascolta questo cor.
Sala negli appartamenti di Gerilda.
Gerilda, e poi Ambleto da guerriero.
GERILDA
Caro, adorato figlio,
non giungi ancor? Dacché mi trasse all'are
vittima più che sposa il fier regnante,
svelto dal sen mi fosti; e più non vidi
quel volto, o dio! sol mia delizia e gioia.
Vieni, diletto figlio...
AMBLETO
Su: qui tutto si accampi
l'esercito fatal dell'ire mie,
e giustizia, e ragion ne sieno i duci.
GERILDA
Viscere mie, mio sangue.
AMBLETO
E sangue io voglio.
(entra in una stanza)
GERILDA
Deh! Ferma, Ambleto. E non distrugge amore
que' fantasmi, quell'ombre
che gli offuscan la mente?
AMBLETO
Ov'è il nemico? Parla.
GERILDA
Nemico qui? Me non ravvisi, o figlio,
tua madre?
AMBLETO
A chi sei madre?
GERILDA
A te.
AMBLETO
Sei mia tiranna, e mia nemica.
(entra in un'altra stanza)
GERILDA
O deluse speranze!
O tradito conforto!
Empio destin!
AMBLETO
(di dentro)
Son morto.
GERILDA
Cieli! Che sarà mai?
(entra in una stanza)
AMBLETO
Fu verace Siffrido. Or vada, vada
quell'ombra scellerata
al tiranno crudel nunzia di morte.
GERILDA
Ahimè! Che fece? Iotemo...
l'ira del re. So che l'ucciso Iroldo
de' suoi fidi è 'l più caro.
AMBLETO
Seguasi la vendetta.
GERILDA
Mio caro figlio, in questo pianto almeno
non ravvisi il mio core?
La madre non ravvisi?
AMBLETO
Non ti ravviso no. Madre ad Ambleto,
consorte ad Orvendillo era Gerilda.
Era in lei fede, era onestà, e virtude.
Ma ti d'allor che al fianco
dell'empio usurpatore
macchiasti il regio letto, e di Orvendillo
la memoria tradisti, altro non sei
che adultera per lui, per me matrigna.
Smarrite or son le tue sembianze, e teco
sul trono ancor di regia morte intriso
regna il vizio, e l'orror. Non ti ravviso.
GERILDA
O me infelice! È vero,
è vero pur che non sia stolto il figlio?
AMBLETO
O dèi! Così lo fossi:
che mi torria questa sciagura almeno
al senso de' miei mali, e de' tuoi scorni.
GERILDA
Vieni, o viscere care, al sen materno...
AMBLETO
Addietro, o donna. Amplessi
comuni ad un fellone a me tu porgi?
A me stendi quel labbro
che già stancar di un parricida i baci?
Va', misera, e li serba a chi già infama
il tuo soglio, il tuo letto, e la tua fama.
GERILDA
M'avea il piacer finora
a' rimproveri tuoi chiuso l'udito.
Ma già 'l silenzio è stupidezza. Ascolta.
AMBLETO
Che dir porrai, che te più rea non mostri?
GERILDA
Dirò. Che quant'io debbi,
diedi al tuo genitor...
AMBLETO
L'urna reale
a' novelli imenei cangiando in ara?
GERILDA
Ah! che vi andai costretta. Io donna, e sola
che far potea col regnator lascivo?
AMBLETO
Pria che ceder, morir.
GERILDA
Ma con qual ferro?
AMBLETO
Può mancar mai la morte a un generoso?
GERILDA
Manca anche questa, o figlio,
in corte di un tiranno, allor ch'è dono.
AMBLETO
E chi potea sforzarti ad abbracciarlo?
GERILDA
Pria che sua moglie, esser dovea sua preda
e lui drudo soffrir pria che marito?
AMBLETO
Dovevi almen fra primi sonni immerso
nel talamo real lasciarlo esangue.
GERILDA
Ahimè! Gerilda allora era sua moglie.
AMBLETO
Anzi più che sua moglie era sua amante.
GERILDA
Giuro agli dèi...
AMBLETO
Spergiura,
siati pur caro il tuo novel consorte.
Soffri che ombra dolente, e invendicata
sulle sponde di Stige erri Orvendillo,
e che gema la patria
sotto il duro comando; e se non basta
che vittima di stato a piè ti cada
quel che chiami tuo figlio iniqua madre.
Dopo tutto anche soffri,
che regina ti esigli,
che moglie ti ripudi il re spietato.
Questo forse n'è 'l giorno, e 'l favor solo
che dal tiranno attendo,
del tuo ripudio è 'l disonore, e 'l duolo.
Della vendetta il fulmine
sovra di te cadrà.
Regina senza regno,
consorte senza sposo,
non so se a riso, o a sdegno
ognun ti additerà.
Siffrido, e li suddetti.
SIFFRIDO
Ah! Regina.
GERILDA
Che fia?
SIFFRIDO
Veremonda è rapita, e Valdemaro
audace la rapì.
AMBLETO
Cieli.
GERILDA
(Che sento?)
SIFFRIDO
Già son fuor della reggia,
ed ei la tragge al vicin campo.
AMBLETO
(Iniquo!)
SIFFRIDO
Non lasciar che impunito...
AMBLETO
Non più, non più. (L'orme ne seguo.) Udite.
(Ho nel cuor la gelosia.)
(a Siffrido)
Tu nel sen la fedeltà.
(a Gerilda)
Della vendetta il fulmine
sovra di te cadrà.
Gerilda, e Siffrido.
GERILDA
Siffrido, io son perduta. Ambleto uccise
poc'anzi Iroldo. Ei colà giace.
SIFFRIDO
Il vidi.
GERILDA
E nelle piaghe sue teme la madre.
SIFFRIDO
Al difetto del senno
il perdono real facile io spero.
Non paventar. Avrai per la sua vita
da' prieghi tuoi, dalla mia fede aita.
GERILDA
Farò, che sul ciglio
favelli il mio pianto,
sintanto che il figlio
si renda al mio cor.
E tenero oggetto
farò del rigor
di sposa l'affetto,
di madre l'amor.
Farò, che sul ciglio
favelli il mio pianto,
sintanto che il figlio
si renda al mio cor.
Siffrido.
M'intese il prence. Egli d'Iroldo in petto
del senno, e del valor scolpì le prove.
Per servir al mio sdegno a lui si serva.
Così quest'alma aspetta
dalla sua fedeltà la sua vendetta.
Allo scettro, al regno, al soglio
l'innocenza tornerà.
E cadrà
sotto il peso del suo orgoglio
atterrata l'impietà.
Allo scettro, al regno, al soglio
l'innocenza tornerà.
Sobborghi con tende in lontano.
Veremonda, e Valdemaro con Séguito.
VEREMONDA
Qual, duce, è 'l tuo pensier? Dove mi guidi?
Già comincio a temer qualche tua colpa.
VALDEMARO
Altra colpa non ho che l'amor mio.
VEREMONDA
Fuor delle mura, e cinta
da' tuoi soldati? Intendo. Valdemaro
il tuo credei soccorso, ed è rapina.
VALDEMARO
Anche questa rapina è tuo soccorso.
VEREMONDA
Ambo ci guida al disonore un ratto.
VALDEMARO
Questa è la via che sola
ti salva da un tiranno.
VEREMONDA
Espormi a un mal peggior quest'è salvarmi?
VALDEMARO
Con fronte più serena
riedi alla libertà, riedi al tuo soglio.
Quel che lasci è prigion. Quel dove vieni
è campo amico. Io duce
lo moverò, riparator dei mali,
le tue province a liberar dal giogo.
VEREMONDA
(Che resti Ambleto? E ch'io
segua altro amante? Esser non può, cor mio.)
Valdemaro, vo' farti
questa giustizia. In te stimar che un ratto
sia pietà, non amor: virtù, non senso.
Ma basta ad offuscar limpido onore
un sospetto d'error, non che un errore.
VALDEMARO
E quell'onor, se resti, è in più periglio.
VEREMONDA
Sii tu meco in difesa, e no 'l pavento.
VALDEMARO
Che far posso, se resto?
VEREMONDA
Hai forze, hai core
per ripormi sul trono, e non l'avrai
per cacciarne un fellon?
VALDEMARO
Nella sua reggia
troppo è forte il tiranno, e 'l popol vile
avvezzo a tollerar, l'odia, ma 'l teme.
Combatterlo da lungi è più sicuro.
VEREMONDA
Va' dunque. Anch'io da lungi
applaudirò de' tuoi trionfi al grido.
VALDEMARO
Nulla temer da un generoso amore.
VEREMONDA
Meno amor ti richiedo, e più virtute.
VALDEMARO
Perder qui tempo è un trascurar salute.
VEREMONDA
Ah! Vile. Anche la forza? È questo, è questo
il generoso amor, di cui ti vanti?
VALDEMARO
Resisti invan.
VEREMONDA
Crudele,
vuoi pianti e prieghi? Eccoti prieghi, e pianti.
Tu miri le mie lagrime,
e non le sente il cor? Crudel! Così?
In te dov'è la fé?
Che fa la tua pietà? Rispondi. Di'.
Tu ammiri le mie lagrime,
e non le sente il cor? Crudel! Così?
VALDEMARO
Quasi ah! Quasi mi vinse un sì bel pianto.
Ma lasciarmi sedur saria fierezza.
Vieni.
VEREMONDA
Verrò, spietato,
ma non speri 'l tuo amor che odio, e disprezzo.
VALDEMARO
Di salvarti or desio, non di piacerti.
VEREMONDA
Usa il poter. Mi giova
che ogni mio passo un tuo delitto sia.
VALDEMARO
Salute e amore, e ogni riguardo oblia.
VEREMONDA
Valor troppo indiscreto!
Stelle, destin, chi mi soccorre?
Ambleto, e li suddetti.
AMBLETO
Ambleto.
Fermati, Valdemaro.
Insultar Veremonda
senza oltraggiar me tuo signor non puoi.
VEREMONDA
O cieli! Ambleto, idolo mio, son questi
accenti di follia?
AMBLETO
Dove, o mia cara,
s'agita il viver mio, fingo i deliri;
dove il periglio tuo, perdo i riguardi.
VALDEMARO
(Credo appena all'udito appena ai guardi.)
AMBLETO
Duce, mi hai nella parte
miglior dell'alma offeso.
Te n' preferivo l'emenda, e a te con quanto
di autorità può darmi
l'esser principe tuo, parlo, e comando.
Ama la tua regina;
ma di un amor che sia di ossequio, e fede.
Essa campion ti chiede, e non amante:
io suddito ti voglio, e non rivale.
Né guardar ch'io sia solo:
difeso è un re dal suo destin. Costoro,
che ti stanno d'intorno,
pria che guerrieri tuoi, fur miei vassalli.
Rispetta il cenno, ed oggi
ch'io principio a regnar, mi è fausto e caro
che il primo ad ubbidir sia Valdemaro.
VALDEMARO
E Valdemaro il fia. Mio re già sei.
Cedo il mio amor. Perdona,
se il difficile assenso
non può darti il mio cor senza un sospiro.
AMBLETO
La tua virtù nel tuo dolor rimiro.
VEREMONDA
Compisci, o generoso,
la magnanima idea. Quell'armi istesse
che voleva l'amor, muova il tuo zelo.
VALDEMARO
Sì, né più qui si tardi: io vado al campo.
Là non dée tosto esporsi
la persona real. Prima il tuo nome
rispetto vi disponga, e amor vi desti.
Qui rimangan per poco
vostra difesa i miei guerrieri. Al piede
darà moto il periglio, al cor la fede.
Non dirò che ancora io v'ami,
e che il cor più non vi brami,
occhi bei, non vi dirò.
Fra ragion che fa il dovere,
e beltà che fa il potere,
dir l'amore non si deve,
e negarlo non si può.
Non dirò che ancora io v'ami,
e che il cor più non vi brami,
occhi bei, non vi dirò.
Ambleto, e Veremonda.
AMBLETO
Diletta Veremonda, egli è pur tempo
che a cor franco io ti parli, e ch'io ti abbracci.
VEREMONDA
Ambleto, anima mia, son così avvezza
al funesto mio duol, ch'esser mi sembra
misera nel contento.
AMBLETO
Quando è immenso il piacer, meno si gode.
VEREMONDA
Ah! Che questa impotenza
è un presagio di mali.
AMBLETO
Temer nel bene è un diffidar del cielo.
VEREMONDA
Goder nel rischio è un lusingar le pene.
AMBLETO
Qual rischio a te figuri?
VEREMONDA
Il poter di un tiranno, e l'altrui frode.
AMBLETO
Virtù ci affidi. Abbiam per noi, mia vita,
quella di Valdemaro, e più la nostra.
VEREMONDA
Dunque al gioir, felice.
AMBLETO
E un momento felice
non occupi timor di male incerto.
VEREMONDA
Piacer tranquillo è guiderdon del merto.
AMBLETO
Godi, o cara, ma di un diletto
che misura sia dell'amor.
Quell'affetto, che ben non gode,
quand'è in braccio del dolce oggetto,
è un affetto di debol cor.
Godi, o cara, ma di un diletto
che misura sia dell'amor.
VEREMONDA
Godo, o caro, quanto so amarti,
e sin godo nel tuo goder.
L'alma amante che in me respira,
in te passa per abbracciarti,
e là s'empie del suo piacer.
Godo, o caro, quanto so amarti,
e sin godo nel tuo goder.
AMBLETO
Fugace godimento! Ecco il tiranno.
VEREMONDA
E Valdemaro è seco.
VEREMONDA E AMBLETO
Ah! Siam traditi.
Fengone con Séguito, Valdemaro, e li suddetti.
VALDEMARO
Funesto incontro!
FENGONE
Ambleto, Veremonda,
fuor della reggia? Tu prigion? Tu stolto?
VEREMONDA
Sinché la tua vittoria
la libertà mi tolse, e le grandezze,
chinai la fronte al mio destin: ma quando
nel vincitor conobbi
il mio crudel tiranno...
FENGONE
È tirannia che amore
ti renda il ben che ti rapì fortuna?
VEREMONDA
La gloria, e non l'amore a me lo renda.
VALDEMARO
(O magnanimo ardir!)
AMBLETO
Che strani mostri!
Pluton tu sei. Cerbero è quegli, e questa
Proserpina rapita.
FENGONE
Vano è 'l pensier. Chi seppe
involar Veremonda al mio potere,
non è stolto, ma 'l finge.
VEREMONDA
Eppur t'inganni.
Nel volto di costoro
leggi qual sia della mia fuga il reo.
AMBLETO
Son questi tante fier. Io sono Orfeo.
FENGONE
Son questi, Valdemaro, i tuoi custodi.
VALDEMARO
Signor, della mia fede
perdona all'amor mio le colpe. Offeso
il tuo sen non credei dalle mie brame;
e quando alla rapina io mi disposi,
pensai dentro al mio core
non di torla al mio re, ma al tuo rigore.
VEREMONDA
(Reo si finge con l'empio.)
AMBLETO
(O traditore!)
FENGONE
(È poderoso il duce,
perché l'armi ha in balìa. Seco si finga,
ma si riserbi il colpo.)
Al valor del tuo braccio
tutta de' falli tuoi dono la pena.
Vanne alla reggia, e svena al mio piacere
l'ardir del tuo volere.
AMBLETO
(O scellerate frodi!)
VEREMONDA
(Segno del tradimento
è un sì facil perdono.)
VALDEMARO
(Sapesse almen quant'innocente io sono.)
(parte)
Fengone, Ambleto, e Veremonda.
FENGONE
O sia stolto, o s'infinga,
del mio furor costui sia oggetto. A voi
la custodia ne affido. E tu prepara
quell'alma contumace, e quel bel volto
alle delizie mie.
VEREMONDA E AMBLETO
(Cieli! Che ascolto?)
FENGONE
Preparati ad amar
almen nel mio piacer
la tua felicità.
Perché il voler penar,
quando si può goder,
non è che crudeltà.
Preparati ad amar
almen nel mio piacer
la tua felicità.
Veremonda, e Ambleto fra Guardie.
AMBLETO
(Quel bel seno delizia ad un tiranno?)
VEREMONDA
(Ch'io deggia amar ne' suoi piaceri i miei?)
AMBLETO
(E 'l permettete.)
VEREMONDA
(E lo soffrite.)
VEREMONDA E AMBLETO
(O dèi?)
Insieme
VEREMONDA
Sempre in cielo avverso il fato
non sarà
per te, mio bene.
Dal mio duolo, un dì placato,
sì, che avrà
qualche pietà
delle tue pene.
AMBLETO
Sempre in cielo Giove irato
non sarà
per te, mio bene.
Dal mio pianto, un dì placato,
sì, che avrà
qualche pietà
delle tue pene.
Galleria d'idoli.
Gerilda, e Siffrido.
GERILDA
Perirà dunque Ambleto?
E sarà la sua morte un tuo consiglio?
SIFFRIDO
Sospenderla poss'io, se il re l'impone?
GERILDA
E se l'impone il re, puoi tu soffrirla?
SIFFRIDO
Soffrir convien ciò che impedir non puossi.
GERILDA
Se reo di più congiure, e reo, Siffrido,
sei ancor di più morti,
io, cui tutto affidasti,
tacqui finor? Ma senti, ingrato, a questi
presenti dèi io giuro,
della vita del figlio
conto mi renderai con la tua vita.
SIFFRIDO
Farò più che non vuoi per ubbidirti.
GERILDA
E sarà il mio tacer la tua mercede.
SIFFRIDO
Più che il timor, mi muoverà la fede.
GERILDA
Or vanne, e col regnante
tu impiega il zelo; io tenterò l'amore.
SIFFRIDO
L'amor?
GERILDA
Sì, che nel petto
per me gli avvampa.
SIFFRIDO
Odi, regina, e parto.
Quel cor che traditor fu al suo regnante,
può ancor alla beltà farsi infedele.
Non è l'empio vassallo un casto amante,
né mai tenero sposo è un re crudele.
Quel cor che traditor fu al suo regnante,
può ancor alla beltà farsi infedele.
Gerilda, e Fengone con Guardie.
FENGONE
Fuor della reggia appena
traggo il passo primier, che Iroldo è ucciso.
Veremonda è rapita, Ambleto fugge,
e colpevol ne sei tu sola, o donna.
GERILDA
Io?
FENGONE
Chi può, né 'l ripara il mal commette.
GERILDA
Sono in nostra balia l'opre del caso?
FENGONE
È dover di chi regge il prevenirlo.
GERILDA
Non è sempre poter ciò ch'è dovere.
FENGONE
Ma sia sempre tua pena il mio potere.
GERILDA
Signor, se ami la madre, il figlio serba.
FENGONE
Ama più di sua vita il mio riposo.
GERILDA
Deh! Mio re. Deh! Mio sposo...
FENGONE
Olà. Qui Veremonda.
GERILDA
Sì crudel con Gerilda?
Passò in odio l'amor? Troncar ti aggrada
i giorni miei nel caro figlio? Almeno
mi uccidi in me, pria che svenarmi in lui.
FENGONE
Piangi, o donna, i tuoi mali, e non gli altrui.
Veremonda, e li suddetti.
VEREMONDA
Eccomi al cenno.
FENGONE
Veremonda, è tempo
che presente Gerilda, esca e sfavilli
l'immenso ardor che in me que' lumi han desto.
VEREMONDA
(Ardor d'impura vampa.)
GERILDA
(Tanto sugli occhi miei?) Signor, se godi
finger per tormentarmi...
FENGONE
Io fingo? Dani,
in fronte di costei più non si onori,
il titolo di sposa, e di regina.
VEREMONDA
Un sì giusto decreto...
FENGONE
Or comanda lo sdegno,
e libero comandi. Quando amore
le sue leggi preferiva a Veremonda,
allora ella si opponga, ella risponda.
GERILDA
La non creduta mia sciagura è dunque
tanto vicina? Ingrato,
dopo la marital giurata fede,
oggi che più 'l tuo labbro
mi diè d'amor tenere prove, ed oggi
ch'io 'l meritai maggiore
nella vita due volte a te serbata,
oggi...
FENGONE
Sì, ti ripudio. Oggi mi piace
per farti più infelice esser più ingiusto.
VEREMONDA
(Empio.)
GERILDA
Sarò infelice,
ma sarà il mio disastro il tuo castigo.
Perderò letto e trono,
ma perderai tu ancor la tua difesa.
Moglie, è ver, ti aborria; ma l'odio allora
costretto all'impotenza era mia pena.
Grazie alla tua fierezza
che me ne assolve, e in libertà rimette
di vendetta e di sfogo i miei furori.
FENGONE
Parti, e di un re più non turbar gli amori.
GERILDA
Impero, vita, e amore,
crudel, ti turberò.
E tutta in tuo dolore
l'offesa cangerò.
Impero, vita, e amore,
crudel, ti turberò.
Veremonda, e Fengone.
FENGONE
Sciolto dal grave laccio
posso pur senza colpa
offerirti una man che ti alza al trono.
VEREMONDA
Da' mali altrui felicità non cerco.
FENGONE
Vieni, o cara...
VEREMONDA
Alla tomba?
FENGONE
All'are sacre...
VEREMONDA
Che or or contaminate ha un tuo ripudio?
FENGONE
Nasce da questo sol la tua grandezza.
VEREMONDA
Me la insegna a temer l'altrui caduta.
FENGONE
Provoca l'ire che 'l favor rifiuta.
VEREMONDA
Meno dell'amor tuo temo il tuo sdegno.
FENGONE
Ora il vedrem. Custodi,
qui se le guidi, e se le lasci Ambleto.
VEREMONDA
(Ahimè!)
FENGONE
Piega già stanco
Febo all'occaso. In vuote piume, o bella,
non vo' languido trar freddi riposi.
Tu vi verrai preda, o consorte. Ambleto
o deliri, o s'infinga,
le pene soffrirà di un tuo rifiuto.
Sì, Veremonda: la sentenza è questa:
pensaci: o la tua mano, o la sua testa.
Veremonda.
La tua mano? O la sua testa?
Stelle! Qual legge è questa?
Che farai, misero core?
Il crudel ti vuol sua preda:
in periglio è 'l caro amante.
Una ingiusta tirannia
vuol ch'io sia
o spietata, od incostante.
Che farai, misero core?
Ambleto, e Veremonda.
AMBLETO
Mi rinasce più bella, più lieta
del piacer nel sen la speranza;
e de' mali vicino alla meta
tutto il duolo diventa costanza.
Mi rinasce più bella, più lieta
del piacer nel sen la speranza.
VEREMONDA
Quale speranza! Ambleto,
o la tua testa, o la mia man vuol l'empio.
L'una o l'altra è più che morte.
AMBLETO
Alma mia, ti vo' più forte.
VEREMONDA
Qual scampo in sì grand'uopo?
AMBLETO
Quello che più opportuno è col tiranno:
la lusinga, l'inganno.
VEREMONDA
Ah! Caro alla tua vita, all'onor mio
in quest'ombre s'insulta.
AMBLETO
Ed in quest'ombre avrai soccorso. Fingi.
VEREMONDA
Meco in breve il lascivo
favellerà di amori.
AMBLETO
E tu pur amorosa a lui rispondi.
VEREMONDA
Chiederà i dolci sguardi.
AMBLETO
E tu cortese
l'ire n'esiglia, e li componi al vezzo.
VEREMONDA
Stenderà l'empia ma...
AMBLETO
La tua l'incontri.
VEREMONDA
Guiderammi agli altari...
AMBLETO
(Ove si esiga dèi!)
La marital non osservabil fede.
VEREMONDA
Che più? Che più? Vuoi ch'ei mi tragga, o
al talamo aborrito, e ch'io ve 'l segua?
AMBLETO
Sì, principessa; e questo
questo il termine sia de' suoi contenti.
VEREMONDA
Ambleto, o tu vaneggi, o tu mi tenti.
AMBLETO
Io vaneggiar, quando son teco, e solo?
Il mio consiglio...
VEREMONDA
Intendo.
Te 'l detta una viltà. Perder la vita
temi più che il tuo amore,
e spergiura mi vuoi, perché sei vile.
AMBLETO
Io vil ti vo' spergiura? Amo me stesso
io più di Veremonda?
Io che se mille vite avessi in seno,
mille a te ne darei?
Ne temi ancora? I tuoi sospetti ingiusti
sul mio sangue cancelli. Addio. Già vado
tutto amor, tutto ardire al fier regnante.
Più non fingo deliri,
suo rival, suo nemico a lui mi svelo,
e una morte gli chiedo,
non so se disperato o generoso,
che sia insieme mia gloria, e tuo riposo.
VEREMONDA
Ferma, e perdona, o caro,
a gelosa onestà. Pronta già sveno
al tuo voler gli affetti.
AMBLETO
In tua difesa
m'avrai nel maggior uopo, e Valdemaro
gran parte avrà nell'opra.
VEREMONDA
Valdemaro, che infido...
AMBLETO
I dubbi accheta.
Per lui prese avria 'l campo
l'armi in nostro favor, ma 'l re che quindi
volgeva allor ver la cittade il passo,
per via il rattenne, e l'obbligò al ritorno.
Fummo sorpresi. Ei traditor ci parve,
ma la nostra sventura era sua pena.
Chiare prove ei poc'anzi
diemmi di fede. Io te n'accerto, e solo
manca l'opra a compir la tua lusinga.
VEREMONDA
Servasi al tuo destino, e amor si finga.
Teneri guardi,
vezzi bugiardi
già mi preparo a fingere,
anima mia, per te.
Ma in prova dell'affetto
quant'userò più frode,
il merito e la lode
tanto più avrò di fé.
Teneri guardi,
vezzi bugiardi
già mi preparo a fingere,
anima mia, per te.
Valdemaro, e Ambleto.
AMBLETO
Sulla tua fede, o duce,
fingerà Veremonda.
VALDEMARO
Son già i mezzi disposti. Io senza colpa
l'usurpator deludo, e ne' tuoi cenni
d'un legittimo re seguo la sorte.
AMBLETO
Si confidi l'arcano anche a Siffrido.
VALDEMARO
Il consiglier dell'empio?
AMBLETO
Il suo più fier nemico in lui si asconde.
Senza lui questo giorno...
VALDEMARO
Taci. Ildegarde.
AMBLETO
Alle follie ritorno.
Ildegarde, e li suddetti.
ILDEGARDE
Ambleto, idolo mio.
AMBLETO
Qual idolo ti sogni?
ILDEGARDE
In te che adoro...
AMBLETO
Taci;
che se di questi sassi alcun ti ascolta,
diratti...
ILDEGARDE
E che?
AMBLETO
Che più di me se' stolta.
ILDEGARDE
Tale mi rende amore.
AMBLETO
Amor conosci? Ove il vedesti mai?
ILDEGARDE
A' tuoi be' lumi appresso.
AMBLETO
T'inganni. Eccolo espresso.
Vedi che di Cupido
porta in fronte per te dardi, e facelle.
VALDEMARO
Il ciel vuol ch'io sia vostro, luci belle.
ILDEGARDE
(Misera mia speranza!)
AMBLETO
La speranza tu sei?
Dagli tosto il tuo core:
che mai non va senza speranza amore.
Su, porgimi la destra. E tu la prendi.
VALDEMARO
Ubbidisco.
ILDEGARDE
Ma...
AMBLETO
Che?
ILDEGARDE
Tu non m'intendi.
AMBLETO
T'intendo sì. Tu se' qua! rosa appunto,
che brama il sol vicino, e poi ritrosa
nelle foglie si chiude;
ma 'l modesto rossor vincasi; e intanto,
perché sono Imeneo,
del laccio marital gli applausi io canto.
Mille amplessi
preparate i più tenaci,
e i vezzi fra di voi sien mille, e mille.
Poi con essi
mille e mille sieno i baci
alle labbra, alle guance, alle pupille.
Mille amplessi
preparate i più tenaci,
e i vezzi fra di voi sien mille, e mille.
Poi con essi
mille e mille sieno i baci
alle labbra, alle guance, alle pupille.
Mille amplessi
preparate i più tenaci,
e i vezzi fra di voi sien mille, e mille.
Ildegarde, e Valdemaro.
VALDEMARO
Poiché il vuole il destin, ti chieggo, o bella,
con la tua destra il core.
ILDEGARDE
Che mi narri di destra?
Di cor che mi discorri? Un forsennato
serve a te di ragione, a me di legge?
Or via, perché non chiedi
anche gli amplessi, e con gli amplessi i baci?
VALDEMARO
Bramo solo che il seno...
ILDEGARDE
Quel sen che tutto ardea per Veremonda?
VALDEMARO
Ardea, ma poiché tutta
perdei la mia speranza, e che il dovere
vinse i desiri miei, per altro foco
che per quel de' tuoi lumi, egli non arde.
ILDEGARDE
E in difetto di altrui si ama Ildegarde.
Or aspetta ch'io pure
perda la mia speranza, e che il dovere
vinca i desiri miei, forse...
VALDEMARO
Di Ambleto
così rispetti i cenni?
ILDEGARDE
Quando Ambleto dal soglio,
o in sen di Veremonda
mi comandi ch'io t'ami, allora forse...
VALDEMARO
Segui.
ILDEGARDE
Allor ti amerò. Questa è la fede.
VALDEMARO
L'alma che altro non brama, altro non chiede.
Ildegarde.
Degno ch'io l'ami è 'l duce,
e in esso il grado, in esso il nome onoro;
ma indarno ei si consola.
Se Ambleto, perché folle, a lui mi dona,
Ambleto, perché vago, a lui m'invola.
È troppo amabile quel bel sembiante,
che lagrimar, che sospirar mi fa.
Ma 'l duol maggiore del core amante,
è ch'ei no 'l mira quando sospira,
ed il suo pianger egli non sa.
È troppo amabile quel bel sembiante,
che lagrimar, che sospirar mi fa.
Vigne consacrate a Bacco.
Valdemaro, e Siffrido.
VALDEMARO
La vendetta più cauta è la più certa.
SIFFRIDO
Ma talor la tradisce un troppo indugio.
VALDEMARO
Si affretti. Io nella reggia ho i miei guerrieri,
e per colpo sì illustre
eglino il cenno, ed io ne attendo il tempo,
SIFFRIDO
In sì lieto apparato
chi fa? Chi fa? Forse perir l'iniquo
farà pria del tuo ferro il mio veleno.
VALDEMARO
Comunque ei cada, il suo morir ci salva.
SIFFRIDO
S'egli per me non cade,
odio di questo cor, non fei ben lieto.
VALDEMARO
Che più? Mora Fengone.
VALDEMARO E SIFFRIDO
E regni Ambleto.
Gerilda, e li suddetti.
GERILDA
Io de' miei torti e testimonio e pompa?
VALDEMARO E SIFFRIDO
Regina.
GERILDA
O dio! Chi regna
vuol ch'io sia sol Gerilda.
VALDEMARO
Ma il valor di più destre
vuol che tu sia regina, e vendicata.
GERILDA
Come? Quando? Che fia?
VALDEMARO
In quest'ombre vedrai...
SIFFRIDO
Guardati, o duce,
di far noti a Gerilda i tesi inganni.
Al re più che a nemica ella è consorte,
e due volte, a me infida, il tolse a morte.
VALDEMARO
Che sento? Hai cor che possa
senza sdegno cader da un regio trono?
GERILDA
(Fingerò. Forse il merto
di svelar la congiura
mi renderà scettro, e marito.) Amici,
plaudo al vostr'odio, e 'l mio vi aggiungo. Dite.
Qual n'è 'l pensier? Chi n'è 'l ministro? E
Gerilda offesa, e ripudiata il chiede. (Quando?)
SIFFRIDO
Invan. Non le dar fede.
GERILDA
Perfidi, il tacer vostro
senza pena non sia. So i congiurati,
se non la trama. Andrò...
VALDEMARO
Vanne. Ma teco
venga il ripudio tuo, venga il tuo danno.
Va'. Racconta al tiranno
che Valdemaro è suo nemico. Digli
che le ruine sue tenta Siffrido.
E se l'autore chiede
di questo, che non sai, grande segreto,
eccone il nome. Odilo, e trema: Ambleto.
Va', se puoi: tradisci un figlio,
perché viva un reo consorte,
(ed il cieco tuo consiglio)
che finor fu il suo periglio,
sia pur anche la sua morte.
Va', se puoi: tradisci un figlio.
Gerilda, Siffrido, poi Fengone, e Veremonda.
GERILDA
O infedele, o spietata
mi vuole il mio destino. Ambo delitti
che col pianto l'orror chiaman sul ciglio.
SIFFRIDO
L'uno ti è traditor, l'altro ti è figlio.
E qui col traditore è 'l tradimento.
FENGONE
(a Veremonda)
Pur men fiera ti veggio.
VEREMONDA
(O che tormento!)
FENGONE
Parla. Il dono d'un regno
più cortese ti chiede.
SIFFRIDO
(a Gerilda)
Or vanta il tuo dovere, e la tua fede.
VEREMONDA
È dono sì; ma di Gerilda il duolo
fa' che ei sembri mia colpa, e mia rapina.
FENGONE
In te la sua regina
soffra in pace costei.
GERILDA
E l'onte aggiungi, o sconoscente, ai danni?
FENGONE
(a Veremonda)
Del mio gioir presente
per trionfo ti vo', non per accusa.
Ma, ben lucidi rai, meno severi
a mirar le mie fiamme io vi vorrei.
Così dicea l'ingrato un giorno a' miei.
VEREMONDA
Mi ricorda Gerilda,
che troppo è fral della tua destra il laccio.
FENGONE
No, no: la sua fierezza;
ma più la tua beltà da lei mi scioglie.
SIFFRIDO
(Udisti? Udisti? Ei non ti vol più moglie.)
FENGONE
(a Veremonda)
Or vieni, e qui ti affidi.
VEREMONDA
(Ambleto, a che mi astringi?)
FENGONE
Qui co' più dolci amori
si temprino gli ardori...
Ambleto da Bacco, e li suddetti.
AMBLETO
O che fiamme! O che foco! Un venticello
de' più freschi, e soavi
qui tosto venga. Io già lo prendo, e tutto
lo spargo a voi d'intorno.
VEREMONDA
(O mia cara speranza!)
AMBLETO
Sediam: ma dimmi: adesso è notte o giorno?
FENGONE
Non vedi arder le stelle?
AMBLETO
Ah sì: le veggio. O son più chiare e belle,
ma non son stelle no.
GERILDA
Che dunque sono?
AMBLETO
Infocati sospiri
che già son giunti ove hanno i numi il trono.
VEREMONDA
(Io ne intendo il mistero.)
AMBLETO
Orsù: questo è il momento
che anch'io trionferò. Bacco vedete
che renderà soggette al carro eccelso
le tigri più crudeli.
FENGONE
(Attento osservo.)
AMBLETO
Su: lodate col canto i miei trionfi:
e propizie, e sincere
risponderan con l'armonia le sfere.
CORO
Qui di Bacco nella reggia
si festeggia il dio d'Amore.
AMBLETO
No, no: questa non è
canzon degna di me. Udite, udite.
Qui d'Astrea vicino al soglio
sorgerà lieto l'onore:
e sarà temuto scoglio
per l'orgoglio il mio valore.
CORO
Qui di Bacco nella reggia
si festeggia il dio d'Amore.
AMBLETO
Festeggi dunque Amore. Io delle selve
nume, e custode un tempo, a voi ne trassi
alcun de' miei seguaci. Eccoli. Amico
alla danza alla danza.
Segue il ballo.
FENGONE
Col pregiato liquor bramo, Siffrido,
del genio mio felicitar la sorte.
SIFFRIDO
(E tu berrai la morte.)
(parte)
VEREMONDA
Sia pur felice il tuo primiero affetto.
FENGONE
Son giudice a costei, non più suo amante.
GERILDA
(Cangiamento tiranno!)
(a Siffrido che torna, e gli leva la coppa dalle mani)
AMBLETO
Chi credi più assetato
Tantalo, o Radamanto? Io berrò pria.
SIFFRIDO
(Sorte nemica!) Usurpi
al re sì temerario i primi sorsi?
AMBLETO
Hai ragione, hai ragione.
Alla salute mia beva Giunone.
(presenta la coppa a Gerilda)
FENGONE
Lascia, o Siffrido, in libertade il folle.
VEREMONDA
(Io temo, e spero.)
AMBLETO
(a Gerilda)
Bevi,
rallegrati il cor. Tosto ritorno.
(parte)
SIFFRIDO
(In periglio Gerilda? Ahi! Che far deggio?)
GERILDA
Non festeggia di un empio
Gerilda i tradimenti;
e sì vil non son io, benché negletta.
(getta la coppa)
SIFFRIDO
(Si perdé nel veleno la mia vendetta.)
(parte)
AMBLETO
(tornando con coppa in mano)
(Mi arrida il ciel.)
(a Veremonda)
Con tanto foco intorno
ha una gran sete il sol. Prendi: ristora
le tue labbra vezzose.
Sì, prendi. A lui lo porgi, e solo ei beva.
VEREMONDA
A te signor si dée...
(la porge a Fengone)
FENGONE
Sì, Veremonda,
sia lieto il viver nostro;
ed ai voti del cor risponda amore.
(beve)
VEREMONDA
(a Fengone)
(Più soffrir non poss'io.) Vedi, a tuoi giorni...
(Ma taci, incauto zelo. Ambleto è figlio.)
AMBLETO
Godeste i freschi fiati
de' zeffiretti amici. Or non più indugi:
gite al riposo, sì. Gite al riposo.
FENGONE
(Cor che non è geloso, al certo è stolto.)
Porgi, o bella, la destra.
VEREMONDA
La destra sì, che tardi?
Vorrai che vada solo amor ch'è cieco?
Tosto potria cader. Non più. Va' seco.
FENGONE
(Non vuole altro cimento una pazzia
che cede un sì gran ben.) Cor mio, che pensi?
Alle piume mi chiama il grave sonno.
VEREMONDA
(verso Ambleto)
Vicina ho la vergogna ed il periglio.
AMBLETO
Va'. Non temer. Mostra più lieto il ciglio.
FENGONE
Sì, sì: consolami,
né più tardar:
e affretta il giubilo
del mio piacer.
Sul trono amabile
vieni a regnar:
nel regio talamo
vieni a goder.
VEREMONDA
Verrò: già l'anima
desia d'amar:
e amor sollecita
il mio dover.
Parto; ma timida
non so sperar:
parto, ma nobile
non vo' temer.
Gerilda, e Ambleto.
GERILDA
Il vidi, il vidi pur. Passa con l'empio
Veremonda al m io letto. E 'l soffro? E 'l soffri?
Nella madre oltraggiato, e nell'amante?
AMBLETO
Vada pure ai piaceri il fier regnante.
GERILDA
Ah! Vile.
AMBLETO
Orsù: ti accheta.
Qui principiò la mia vendetta, o madre.
GERILDA
Come?
AMBLETO
Nel fatal vetro
il tiranno bevé...
GERILDA
La morte forse?
AMBLETO
No: che una morte al perfido si deve
che abbia tutto il dolore, e tutto il senso.
Bevé in succhi possenti
un invincibile sonno. Alto letargo
lo premerà, prima ch'ei goda; e dove
sognava amplessi, incontrerà ritorte:
che là di Valdemaro
stan gli armati in agguato.
GERILDA
Ma ti sovvenga poi, ch'io son consorte.
AMBLETO
Tal sii, ma di Orvendillo.
Ad un nome sì sacro
già Fengon rinunciò. Nel comun rischio
sii più madre che moglie. In trono assiso
piacciati il figlio. Piacciati punito
il fellon parricida; e 'l tuo si aggiunga
al pubblico desio.
GERILDA
Sì: vivi, e regna.
Giusto è il furore, e la vendetta è degna.
AMBLETO
Sul mio crine amore, e sdegno
mi preparo a coronar.
Negli amplessi del mio bene,
e col sangue dell'indegno
vo' goder, e vo' regnar.
Sul mio crine amore, e sdegno
mi preparo a coronar.
Gerilda.
O di pietà importuna,
o d'ingiusto dover miseri avanzi,
da me partite. Un infedel n'è indegno.
Sprezzo rendasi a sprezzo, e sdegno a sdegno.
Beltà così dée far:
l'ingrato cor non curar,
e un'anima infedel soffrir in pace.
Amando chi la offende
sol per parer fedel,
più vil sé stessa rende, e lui più audace.
Beltà così dée far.
Anfiteatro reale.
Fengone incatenato in atto di svegliarsi.
Orribili fantasmi,
spaventi dell'idea, furie dell'alma,
lasciatemi, fuggite,
e dov'è Veremonda, orror si sgombri.
Veremonda, ove sei? Sogno? Ad un sasso
siede Fengon? Ferrea catena il preme?
(si leva)
Ov'è lo scettro, ove il diadema? Il manto?
Chi me qui trasse? È questa,
questa è la reggia, alle mie gioia eletta?
Veremonda, Siffrido,
servi, custodi... o dèi! Non v'è chi franga
i duri ceppi, o 'l mio destin compianga?
Stelle, dèi, vassalli, amici,
terra, ciel... tutti ho nemici,
ho nemico anche il mio cor.
Cielo, terra,
fate pur, fatemi guerra;
voi non siete il mio terror.
Il mio cor sol mi spaventa,
e diventa mio dolor.
Valdemaro, poi Ildegarde, poi Gerilda, poi Veremonda, e Fengone.
FENGONE
Deh! Valdemaro, il tuo valor mi tolga
alle miserie mie.
VALDEMARO
Quel valor, cui negasti empio, e lascivo
Veremonda in mercede?
A chi non è mio re, nego la fede.
FENGONE
A te, bella Ildegarde,
chieggo soccorso. Il nostro amor te n' priega.
ILDEGARDE
Infedele. Or mi prieghi?
Resta: che del tuo amore
perché tu passegger, scordossi il core.
FENGONE
Gerilda, mia regina, amata sposa.
GERILDA
Nomi, che mi togliesti ingrato, e cieco.
A me in fronte, tu 'l sai, più non s'inchina
il titolo di sposa, e di regina.
FENGONE
Almen tu, Veremonda,
toglimi alle catene.
Te n' priego per la tua virtù pudica.
VEREMONDA
Tardi, o fellon, la mia virtù conosci.
Ingiusto l'offendesti: e invan presumi
reo di più colpe al fio sottrarti.
FENGONE
O numi!
Ambleto con Séguito, e poi Siffrido, e li suddetti.
AMBLETO
Non profanare il cielo.
Con le tue voci, o scellerato.
FENGONE
Ambleto...
AMBLETO
Aggiungi, e tuo monarca, e tuo tormento.
FENGONE
Pietà.
AMBLETO
Me la insegnasti?
FENGONE
È ver.
AMBLETO
Taci; che un empio
suol confessare i falli
disperato ben sì, ma non pentito.
Morrai; ma pria rimira
sulla mia fronte il tuo diadema. Leggi
in questo dolce amplesso
delle lascivie tue l'onta e l'orrore.
VEREMONDA
Così è l'infelice allor ch'è giusto amore?
FENGONE
Né mi uccide il dolor pria che l'acciaro?
GERILDA
Da te, crudel, la crudeltade imparo.
AMBLETO
Or traggasi, miei fidi,
l'iniquo all'ombre, ai ceppi, e la più lenta
senza morir la morte ei soffra, e senta.
SIFFRIDO
Signor, mi si conceda
ch'io 'l custodisca. Vieni.
Tu lacci, tu prigion soffrir non déi.
(parte)
FENGONE
Son anche a mia difesa amici, e dèi.
(parte)
VEREMONDA
Ed ancor spera l'empio?
GERILDA
E della sua speranza è reo Siffrido.
VALDEMARO
Seguasi tosto.
AMBLETO
Andiamo, e si divida
fra 'l traditore, e fra 'l crudel la morte.
SIFFRIDO
(torna con spada nuda)
Quest'acciaro, che forte
fe' la vostra vendetta, e più la mia,
a voi dirà, se traditore io sia.
AMBLETO
Come?
SIFFRIDO
Dovea cader l'iniquo mostro;
ma per me solo. Oggi 'l tentai; ma invano,
col ferro, con ruina, e con veleno.
Qui 'l tolsi a vostri colpi;
ma 'l tolsi, eccome il sangue,
per gloria del mio braccio.
AMBLETO
Traditor generoso, al sen ti abbraccio.
VEREMONDA
(Alma, non più spaventi.)
AMBLETO
Io, Veremonda,
sposo, e re godo teco: e Valdemaro
sposo pur goda ad Ildegarde in seno.
VALDEMARO
Ambleto è re. Di Veremonda è sposo.
ILDEGARDE
Intendo. Or sia 'l suo cenno il tuo riposo.
AMBLETO
Tu regnerai pur meco, o genitrice.
GERILDA
Nel tuo, nel comun bene io son felice.
VEREMONDA
Torna già quel seren
che quest'alma cercò.
AMBLETO
Gioirò nel piacer
che più pena non ha.
GERILDA
L'impietà del crudel
più temere non so.
SIFFRIDO
Pur godrò col pensier
della mia fedeltà.
VALDEMARO
La beltà stringo al sen
che già il sen m'infiammò.
ILDEGARDE
Io vivrò nel tuo cor
che mio core si fa.
Fine del libretto.
Generazione pagina: 23/12/2015
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
(W)