I DUE FOSCARI
Tragedia lirica.
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Libretto di Francesco Maria PIAVE.
Musica di Giuseppe VERDI.
Prima esecuzione: 3 novembre 1844, Roma.
Personaggi:
Francesco Foscari, DOGE di Venezia, ottuagenario |
baritono |
JACOPO Foscari, suo figlio |
tenore |
LUCREZIA Contarini, di lui moglie |
soprano |
Jacopo LOREDANO membro del Consiglio de' dieci |
basso |
BARBARIGO senatore, membro della giunta |
tenore |
PISANA amica e confidente di Lucrezia |
soprano |
FANTE del Consiglio de' dieci |
tenore |
SERVO del Doge |
basso |
Cori
Membri del Consiglio dei dieci e Giunta, Ancelle di Lucrezia, Dame veneziane, Popolo e Maschere d'ambo i sessi.
Comparse
Il Messer grande, due Figlioletti di Jacopo Foscari, Comandadori, Carcerieri, Gondolieri, Marinai, Popolo, Maschere, Paggi del Doge.
La scena è in Venezia, l'epoca il 1457.
A chi leggerà
Il 15 aprile del 1423 Francesco Foscari fu elevato al trono ducale di Venezia, in concorrenza di Pietro Loredano. Cotesto Pietro non lasciò di avversarlo ne' consigli per modo che una volta, impazientatosi il Foscari, disse apertamente in senato: non poter credere sé veramente Doge finché Pietro Loredano vivesse. Per una fatale coincidenza alcuni mesi dopo, esso Pietro e Marco di lui fratello improvvisamente morirono, e, come ne corse voce, avvelenati. Jacopo Loredano, figlio di Pietro, lo pensava, lo credeva, lo scolpiva sulle loro tombe, e ne' registri del suo commercio notava i Foscari debitori di due vite, freddamente aspettando il momento di farsi pagare.
Il Doge aveva quattro figliuoli; tre ne morirono, e Jacopo, il quarto sposato a Lucrezia Contarini, per accusa di aver ricevuto donativi da principi stranieri, a seconda delle venete leggi, era stato mandato a confine, prima a Napoli di Romania, poscia a Treviso. Accadde frattanto, che Ernoldo Donato, capo del Consiglio dei dieci, il quale condannato avea Jacopo, trucidato fosse la notte del 5 novembre 1450, mentre tornava da una seduta del consiglio al suo palazzo. Siccome Oliviero, servo di Jacopo, s'era il dì innanzi veduto a Venezia, e la mattina seguente il delitto ne aveva pubblicamente parlato ne' battelli di Mestre, così i sospetti caddero sopra i Foscari. Padrone e servo furono esiliati a vita in Candia. Cinque anni dopo Jacopo, sollecitato avendo inutilmente la sua grazia, né potendo più vivere senza rivedere l'amata patria, scrisse al duca di Milano, Francesco Sforza, pregandolo a farsegli intercessore presso la Signoria. Il foglio cadde in mano dei Dieci; Jacopo ricondotto a Venezia e nuovamente torturato, confessò di avere scritta la lettera, ma pe 'l solo desiderio di rivedere la patria, a costo ancora di ritornarvi prigione. Si condannò a tornare in vita a Candia, a scontarvi però prima un anno di stretto carcere, e se gli intimò pena di morte se più scritto avesse di simili lettere. Il misero Doge ottuagenario, che con romana fermezza assistito aveva ai giudizi ed alle torture del figlio, poté privatamente vederlo pria che partisse, e consigliarlo alla obbedienza e rassegnazione ai voleri della repubblica. Accadde in seguito, che Nicolò Erizzo, nobile veneziano, venuto a morte, si palesò uccisore di Donato, e volle si pubblicasse tal nuova a discolpa dell'innocente Jacopo Foscari. Alcuni autorevoli senatori erano già disposti a chiederne la grazia, ma l'infelice era frattanto di cordoglio spirato nel suo carcere di Candia.
Afflitto il misero padre per tante amarezze, vivea solitario, e poco frequentava i consigli. Jacopo Loredano frattanto, che nel 1457 era stato elevato alla dignità di decemviro, credette allora giunta l'ora di sua vendetta, e tanto occultamente adoprò, che il Doge fu astretto a deporsi. Altre due volte, nel corso del suo dogado, il Foscari desiderato aveva abdicare, ma non si era accondisceso alle sue brame non solo, ché anzi lo si era costretto a giurare che morto sarebbe nel pieno esercizio del suo potere.
Malgrado tal giuramento, fu astretto a lasciare il palazzo dei dogi, e tornarsene semplice privato alle sue case, rifiutato avendo ricca pensione ch'eragli stata offerta dal pubblico tesoro.
Il 31 ottobre 1457 udendo suonar le campane, annuncianti la elezione del suo successore Pasquale Malipiero, provò sì forte emozione, che all'indomani morì. Ebbe splendidi funerali, come se morto fosse regnando, a' quali intervenne il Malipiero in semplice costume di senatore. Si è detto che Jacopo Loredano scrivesse allor ne' suoi libri, di contro alla partita che abbiam sopra citato, queste parole: I Foscari mi hanno pagato.
È questo il brano di storia sul quale è basata la mia tragedia. Per l'effetto e per le esigenze inseparabili a questo genere di componimenti ho dovuto dar passo ad alcune licenze che scorgervi facilmente si possono, e per le quali spero indulgenza dal culto lettore.
F. M. Piave
[N. 1 - Preludio]
Una sala nel palazzo Ducale di Venezia. Di fronte veroni gotici, da' quali scorge parte della città e delle lagune a chiaro di luna. A destra dello spettatore due porte, una che mette negli appartamenti del Doge, l'altra all'ingresso comune; a sinistra altre due porte che guidano all'aula del Consiglio de' dieci, ed alle carceri di stato. Tutta la scena è rischiarata da due torce di cera, sostenute da bracci di legno sporgenti dalle pareti.
Il Consiglio dei dieci e Giunta che vanno raccogliendosi.
[N. 2 - Coro d'introduzione]
CORO
Iº
Silenzio,
IIº
mistero, ~
Iº
qui regnino intorno.
IIº
Qui veglia costante ~ la notte ed il giorno
sul veneto fato ~ di Marco il leon.
TUTTI
Silenzio, mistero ~ Venezia fanciulla
nel sen di quest'onde ~ protessero in culla,
e il fremer del vento ~ fu prima canzon.
Silenzio, mistero ~ la crebber possente
de' mari signora ~ temuta, prudente
per forza e consiglio, ~ per gloria e valor.
Silenzio, mistero ~ la serbino eterna,
sien l'anima prima ~ di chi la governa,
ispirin per essa ~ timore ed amor.
Detti, Barbarigo e Loredano, che entrano dalla comune.
BARBARIGO
Siam tutti raccolti?
CORO
Il numero è pieno.
LOREDANO
E il Doge?
CORO
Fra i primi ~ qui venne sereno,
de' Dieci nell'aula ~ poi tacito entrò.
TUTTI
Or vadasi adunque, ~ giustizia ne intende,
giustizia che eguali ~ qui tutti ne rende,
giustizia che splendido ~ qui seggio posò.
(entrano nell'aula del Consiglio)
Loredano e Barbarigo.
[N. 3 - Scena e cavatina]
LOREDANO
(a Barbarigo trattenendolo)
Anco una volta scoltami;
la promessa rammenta:
unir ti devi a me perché dannato
venga nel capo od a perpetuo esilio
del vecchio Doge il figlio...
Al padre poscia un altro colpo io serbo.
BARBARIGO
Ma l'odio tuo quando avrà fine?
LOREDANO
Quando
vendicato sarò.
BARBARIGO
Perdé tre figli...
LOREDANO
Il quarto vive ancora;
io vo' che parta o mora...
Questo mi gridan dal lor freddo avello
l'ombre inulte del padre e del fratello...
Vita per vita... e me ne debbon due...
Nelle mie carte è scritto;
col sangue han da pagare il lor delitto.
CORO
(dall'interno)
Qui venga tratto il reo.
(il Fante del Consiglio, e due comandadori escono dalla sala, ed entrano nella porta che mette al carcere)
BARBARIGO
Entriam, entriam: t'affretta.
LOREDANO
(Sei giunto alfine, o giorno di vendetta!)
All'opra ne sian guida ed al pensiero
freddo silenzio...
(a Barbarigo)
e veneto mistero.
(entrano in consiglio)
Jacopo Foscari che viene dal carcere preceduto dal Fante, fra i due Comandadori.
FANTE
Qui ti rimani alquanto
finché il Consiglio te di nuovo appelli.
JACOPO
Ah sì, ch'io senta ancora, ch'io respiri
aura non mista a gemiti e sospiri.
(il Fante entra in Consiglio)
Jacopo e i due Comandadori di guardia.
JACOPO
Brezza del mar natio
il volto a baciar voli all'innocente!...
(appressandosi al verone)
Ecco la mia Venezia!... ecco il suo mare!...
O regina dell'onde, io ti saluto!...
Sebben meco crudele,
io ti son pur de' figli il più fedele.
Dal più remoto esilio,
sull'ali del desio,
a te sovente rapido
volava il pensier mio;
come adorata vergine
te vagheggiando il core,
l'esilio ed il dolore
quasi sparian per me.
Detti ed il Fante che viene dal Consiglio.
FANTE
Del Consiglio alla presenza
vieni tosto, il ver disvela.
JACOPO
(Al mio sguardo almen vi cela,
ciel pietoso, il genitor!)
FANTE
Sperar puoi pietà, clemenza...
JACOPO
Chiudi il labbro, o mentitor.
Odio solo, ed odio atroce
in quell'anime si serra:
sanguinosa, orrenda guerra
da costor mi si farà.
Ma dei Foscari, una voce
vien tuonandomi nel core:
forza contro il lor rigore
l'innocenza ti darà.
(tutti entrano nella sala del Consiglio)
Atrio superiore nel palazzo Foscari. Vi sono varie porte all'intorno con sopra ritratti dei procuratori, senatori, ecc., della famiglia Foscari. Il fondo è tutto forato da gotici archi, a traverso i quali si scorge il Canalazzo, ed in lontano l'antico ponte di Rialto. La sala è illuminata da grande fanale pendente nel mezzo.
Lucrezia esce precipitosa da una stanza, seguita dalle Ancelle che cercano trattenerla.
[N. 4 - Scena, coro e cavatina]
LUCREZIA
No... mi lasciate... andar io voglio a lui...
prima che Doge, egli era padre... Il core
cangiar non puote un soglio...
Figlia di dogi, al Doge nuora io sono:
giustizia chieder voglio, e non perdono.
CORO
Resta... quel pianto accrescere
può gioia a' tuoi nemici;
al cor qui non favellano
le lagrime infelici...
Tu puoi sperare e chiedere
dal ciel giustizia solo...
Cedi, raffrena il duolo;
pietade il ciel ne avrà.
LUCREZIA
Ah sì, conforto ai miseri
del cielo è la pietà!
Tu al cui sguardo onnipossente
tutto esulta, o tutto geme,
tu che solo sei mia speme,
tu conforta il mio dolor.
Per difesa all'innocente
presta a me del tuon la voce,
e ogni core il più feroce
farà mite il suo rigor.
CORO
Sperar puoi dal ciel clemente
un conforto al tuo dolor.
Dette e Pisana che giunge piangendo.
LUCREZIA
Che mi rechi?... favella... Di morte
pronunciata fu l'empia sentenza?
PISANA
Nuovo esilio al tuo nobil consorte
del Consiglio accordò la clemenza.
LUCREZIA
La clemenza?... s'aggiunge lo scherno!...
D'ingiustizia era poco il delitto?
Si condanna e s'insulta l'afflitto
di clemenza parlando e pietà?
O patrizi... tremate... l'eterno
l'opre vostre dal cielo misura...
D'onta eterna, d'immensa sciagura
egli giusto pagarvi saprà.
(parte)
PISANA E CORO
Ti confida; protegger l'eterno
l'innocenza dal cielo vorrà.
Sala come alla prima scena.
Membri del Consiglio de' dieci e Giunta che vengono dall'aula.
[N. 5 - Coro]
CORO
Iº
Tacque il reo!
IIº
Ma lo condanna
allo Sforza il foglio scritto.
(s'allontanano)
Iº
Giusta pena al suo delitto
nell'esilio troverà.
IIº
Rieda a Creta.
Iº
Solo rieda.
IIº
Non si celi la partenza...
TUTTI
Imparziale tal sentenza
il Consiglio mostrerà.
Al mondo sia noto, ~ che qui contro i rei,
presenti o lontani, ~ patrizi o plebei,
veglianti son leggi ~ d'eguale poter.
Qui forte il leone ~ col brando, con l'ale
raggiunge, percuote ~ qualunque mortale
che ardito levasse ~ un detto, un pensier.
Gabinetto privato del Doge. Avvi una gran tavola coperta di damasco, sopra una lumiera d'argento; una scrivania e varie carte; di fianco un gran seggiolone.
Il Doge, appena entrato, si abbandona sul seggiolone.
[N. 6 - Scena e romanza]
DOGE
Detto ed un Servo, poi Lucrezia Contarini.
[N. 7 - Scena e duetto, finale I]
SERVO
L'illustre dama Foscari.
DOGE
(il Servo parte)
LUCREZIA
Che far mi resta, se mi mancan folgori
a incenerir queste canute tigri
che de' dieci s'appellano Consiglio?...
DOGE
LUCREZIA
Il so.
DOGE
LUCREZIA
Son leggi ai dieci or sol odio e vendetta.
Tu pur lo sai, che giudice
in mezzo a lor sedesti,
che l'innocente vittima
a' piedi tuoi vedesti;
e con asciutto ciglio
hai condannato un figlio...
L'amato sposo rendimi,
barbaro genitor.
DOGE
LUCREZIA
Di sua innocenza dubiti?
Non la conosci ancora!
DOGE
LUCREZIA
Sol per veder Venezia
vergò il fatale scritto.
DOGE
LUCREZIA
E aver ne déi pietà.
DOGE
LUCREZIA
Ascoltami:
senti il paterno amore...
DOGE
LUCREZIA
Deponi quel rigore...
DOGE
LUCREZIA
Perdona, a me t'arrendi...
DOGE
LUCREZIA
Se tu dunque potere non hai,
meco vieni pe 'l figlio a pregare.
Il mio pianto, il tuo crine, vedrai,
potran forse ottenere pietà.
Questa almeno, quest'ultima prova,
non lasciamo, signor, di tentare;
l'amor solo di padre ti mova,
che del Doge più forse potrà.
DOGE
LUCREZIA
Tu piangi?... la tua lagrima
sperar mi lascia ancor!
Le prigioni di stato. Poca luce entra da uno spiraglio praticato nell'alto del muro.
Jacopo Foscari seduto sopra un masso di marmo.
[N. 8 - Preludio, scena e preghiera]
JACOPO
Notte!... perpetua notte che qui regni!
Siccome agli occhi il giorno,
potessi almen celare al pensier mio
il fine disperato che m'aspetta!...
Tormi potessi alla costor vendetta!...
Ma oh ciel!... che mai vegg'io!...
Sorgon di terra mille e mille spettri!...
A sé mi chiaman essi!...
Uno s'avanza!... ha gigantesche forme!...
Il reciso suo teschio
ferocemente colla manca porta!...
A me lo addita... e colla destra mano
mi getta in volto il sangue che ne cola!...
Ah lo ravviso!... è desso... è Carmagnola!
Non maledirmi, o prode,
se son al Doge figlio;
de' dieci fu il Consiglio
che a morte ti dannò!
Me pure sol per frode
vedi quaggiù dannato,
e il padre sventurato
difendermi non può...
Cessa... la vista orribile!...
Più sostener non so.
(cade boccone per terra)
Detto e Lucrezia Contarini.
[N. 9 - Scena e duetto]
LUCREZIA
Ah sposo mio!... che vedo?
Me l'hanno forse ucciso i scellerati,
e per maggiore scherno
m'hanno qui tratta a contemplar la salma?
Ah sposo mio!... ancor vive!...
Quale freddo sudore!
Vieni, amico, ti posa sul mio core...
JACOPO
(sempre delirando)
Verrò...
LUCREZIA
Che di'?...
JACOPO
M'attendi,
orrendo spettro...
LUCREZIA
Io son...
JACOPO
Che vuoi?... Vendetta?
LUCREZIA
Non riconosci or tu la sposa tua?
JACOPO
Non è vero!
(Lucrezia disperatamente lo abbraccia)
Ah sei tu?
Fia ver!... fra le tue braccia ancor?... respiro!
Fu dunque un sogno... orrendo sogno il mio!
Il carnefice attende?... estremo addio
vieni ora a darmi?...
LUCREZIA
No.
JACOPO
E i figli miei, mio padre?...
Saran dischiuse loro queste porte,
pria che il panno mi copra della morte?
LUCREZIA
No, non morrai; ché i perfidi
peggiore d'ogni morte,
a noi, clementi, serbano
più orribile una sorte.
Tu viver déi morendo
nel prisco esilio orrendo...
Noi desolati in lagrime
dovremo qui languir.
JACOPO
Oh ben dicesti!... All'esule
più crudo ancor di morte
da' suoi lontano è il vivere!...
O figli, o mia consorte!...
Ascondimi quel pianto...
Su questo core affranto
mi piomban le tue lagrime
a crescerne il soffrir.
(s'ode una lontana musica di voci e suoni)
VOCI
Tutta è calma la laguna:
voga, voga, o gondolier,
atti l'onda e la fortuna
ti secondi ed il piacer.
JACOPO
Quale suono?...
LUCREZIA
È il gondoliero
che sul liquido sentiero
provar debbe il suo valor.
JACOPO
Là si ride, qua si muor!
Pera l'empio, che mi toglie
a' miei cari, al suol natio;
sien vendetta al dolor mio
l'abominio, e il disonor...
Speranza dolce ancora
non m'abbandona il core:
un giorno il mio dolore
con te dividerò.
Vicino a chi s'adora
men crude son le pene;
perduto ogn'altro bene,
dell'amor tuo vivrò.
LUCREZIA
Speranza dolce ancora
non m'abbandona il core,
l'esilio ed il dolore
con te dividerò.
Vicino a chi s'adora
men crude son le pene:
perduto ogn'altro bene,
dell'amor tuo vivrò.
Il Doge avvolto in ampio e nero mantello entra nel carcere, preceduto da un Servo con fiaccola, che depone e parte.
[N. 10 - Scena, terzetto e quartetto]
LUCREZIA E JACOPO
(correndogli incontro)
Ah, padre!...
DOGE
JACOPO
Sei tu?
LUCREZIA
Sei tu?
DOGE
LUCREZIA, JACOPO E DOGE
Provo una gioia ancor!
DOGE
JACOPO
Tu m'ami?
DOGE
JACOPO
Oh contento!...
Ripeti il caro accento...
DOGE
JACOPO
Come è soave all'anima
della tua voce il suono!
DOGE
JACOPO E LUCREZIA
Così furtiva palpita
la gioia nel dolor!
JACOPO
Nel tuo paterno amplesso
muto si fa il dolore...
Mi benedici adesso,
da' forza a questo core,
e il pane dell'esilio
men duro fia per me...
Questo innocente figlio
trovi un conforto in te.
DOGE
LUCREZIA
(Di questo affanno orrendo
farai vendetta, o cielo,
quando nel dì tremendo
si squarcerà il gran velo,
e scoprirà ogni ciglio
il giusto, il reo qual è!)
Dopo il terreno esilio,
sposo, sarem con te.
(restano abbracciati piangendo; il Doge si scuote)
DOGE
LUCREZIA E JACOPO
Parti?
DOGE
JACOPO
Mi lasci in queste pene?
DOGE
JACOPO
Attendi...
LUCREZIA
Ascolta.
JACOPO
Ti rivedrò?
DOGE
LUCREZIA E JACOPO
E il padre?
DOGE
JACOPO
Ciel!... chi m'aita?
Detti e Loredano preceduto dal Fante del Consiglio e da quattro Custodi con fiaccole.
LOREDANO
(dalla porta)
Io.
LUCREZIA
Chi? Tu!
JACOPO
Oh ciel!
DOGE
LUCREZIA
Ne irridi, anco, inumano?
LOREDANO
(freddamente a Jacopo)
Raccolto è già il Consiglio;
vieni, di là il naviglio
che dée tradurti a Creta...
Andrai...
LUCREZIA
Io pur.
LOREDANO
Lo vieta
de' dieci la sentenza.
DOGE
LOREDANO
Se vecchio sei... sii saggio.
(ai custodi)
S'affretti la partenza.
LUCREZIA E JACOPO
Padre, un amplesso ancora.
DOGE
LOREDANO
Varcata è l'ora.
LUCREZIA E JACOPO
(disperati a Loredano)
Ah sì, il tempo che mai non s'arresta
rechi pure a te un'ora fatale,
e l'affanno che m'ange mortale,
più tremendo ricada su te.
Il rimorso in quell'ora funesta
ti tormenti, o crudele, per me.
DOGE
LOREDANO
(guardandoli con disprezzo)
(Empia schiatta al mio sangue funesta,
a difenderti un Doge non vale;
per te giunse alfin l'ora fatale
sospirata cotanto da me.)
(a Jacopo)
La giustizia qui mai non s'arresta,
obbedire a sue leggi si de'.
(Jacopo parte fra i custodi preceduto da Loredano, e seguìto lentamente dal Doge, che si appoggia a Lucrezia)
Sala del Consiglio dei dieci. I Consiglieri e la Giunta, tra i quali è Barbarigo, van raccogliendosi.
[N. 11 - Coro]
CORO
Iº
Che più si tarda?...
IIº
Affrettisi
dell'empio la partita.
Iº
Inulte l'ombre fremono,
chiedendone la vita.
IIº
Parta l'iniquo Foscari...
Ucciso egli ha un Donato.
Iº
Per istranieri principi
l'indegno ha parteggiato.
TUTTI
Non sia che di Venezia
ei sfugga alla vendetta...
Giustizia incorruttibile
non sia qui mai negletta;
baleni, e come folgore
colpisca il traditor:
mostri a' soggetti popoli
un vigile rigor.
Detti ed il Doge, che preceduto da Loredano, dal Fante del Consiglio e dai Comandadori, e seguito dai Paggi, va gravemente a sedere sul trono. Lui seduto, tutti fanno lo stesso.
[N. 12 - Scena e finale II]
DOGE
CORO
Ben dicesti... Il reo s'avanza...
DOGE
Detti e Jacopo, che entra fra quattro Custodi.
LOREDANO
Legga il reo la sua sentenza:
(dà una pergamena al Fante, che la consegna a Jacopo, il quale legge)
del Consiglio la clemenza
qui la vita ti serbò.
JACOPO
Nell'esilio morirò...
(restituisce la pergamena)
Non hai, padre, un solo detto
pe 'l tuo Jacopo reietto?
Se tu parli, se tu preghi
non sarà chi grazia neghi...
Pregar puoi; sono innocente;
questo labbro a te non mente.
CORO
Non s'inganna qui la legge,
qui giustizia tutto regge.
DOGE
(s'alza, tutti lo imitano)
JACOPO
Non più dunque ti vedrò?
DOGE
JACOPO
Ah che di'? Morir mi sento.
LOREDANO
Da qui parta sul momento.
(ai custodi che gli si pongono al fianco, e si avviano)
Detti e Lucrezia Contarini si presenta sulla soglia coi due Figli suoi, seguita da varie Dame sue amiche e da Pisana.
LUCREZIA
No... crudeli!...
JACOPO
Ah! i figli miei!...
(corre ad abbracciarli)
DOGE, BARBARIGO, CONSIGLIERI E FANTE
(Sventurata!... Qui costei!)
LOREDANO
Quale audacia vi guidò?
Insieme
LUCREZIA
Solo amor che in noi parlò.
PISANA, JACOPO E DOGE
Solo amor che in lei parlò.
JACOPO
(prende i due fanciulli piangenti, e li pone in ginocchio ai piedi del Doge)
Queste innocenti lagrime
ti chiedono perdono...
A lor m'unisco, e supplice
a' piedi del tuo trono,
padre, ti grido, implorami,
concedimi pietà.
LUCREZIA
(ai consiglieri)
O voi, se ferrea un'anima
non racchiudete in petto,
se mai provaste il tenero
di padri e figli affetto,
quelle strazianti lagrime
vi muovano a pietà.
DOGE
BARBARIGO
(a Loredano)
Ti parlin quelle lagrime,
o Loredano, al core;
quei pargoli disarmino
l'atroce tuo furore;
almeno per quei miseri
t'inchina alla pietà.
LOREDANO
(a Barbarigo)
Non sai che in quelle lagrime
trionfa una vendetta,
che qual rugiada scendono
al cor di chi l'aspetta,
che pe' gli alteri Foscari
bandir si dée pietà?
CONSIGLIERI
(alle dame)
Son vane ora le lagrime;
provato è già il delitto:
non fia ch'esse cancellino
quanto giustizia ha scritto;
esempio sol dannabile
sarebbe la pietà.
DAME
(ai consiglieri)
Quelle innocenti lagrime
muovano il vostro core,
clemenza in esso inspirino,
ne plachino il rigore:
di pace come un'iride
qui brilli la pietà.
DOGE
LOREDANO
Parta... perché ancor s'esita?...
CORO
Parta lo sciagurato.
LUCREZIA
La sposa, i figli seguano,
dividano il suo fato...
JACOPO
Ah sì...
LOREDANO
Costor rimangano:
la legge omai parlò.
(toglie i figli alle braccia di Jacopo e li consegna ai comandadori)
JACOPO
(al Doge)
Ai figli tu dell'esule
sii padre e guida almeno...
tu li proteggi...
DOGE
JACOPO
Vedi, al sepolcro in seno,
illagrimata polvere
fra poco scenderò.
DOGE, LOREDANO E CONSIGLIERI
Parti... t'è forza cedere:
la legge omai parlò.
LUCREZIA E JACOPO
Affanno più terribile
di questo chi provò?
PISANA, DAME, BARBARIGO E FANTE
Affanno più terribile
in terra chi provò?
(Jacopo parte fra le guardie, Lucrezia sviene fra le braccia delle donne; tutti si ritirano)
L'antica Piazzetta di San Marco. Il canale è pieno di battelli che vanno e vengono. Di fronte vedesi l'isola dei Cipressi, ora San Giorgio.
Il sole volge all'occaso.
La scena, da principio vuota, va riempiendosi di popolo e maschere, che entrano da varie parti, s'incontrano, si riconoscono, passeggiano. Tutto è gioia.
[N. 13 - Introduzione e barcarola]
CORO
Iº
Alla gioia!
IIº
Alle corse, alle gare...
Iº
Sia qui lieto ogni volto, ogni cor.
TUTTI
Figlia, sposa, signora del mare
è Venezia un sorriso d'amor.
CORO
Iº
Come specchio l'azzurra laguna
le raddoppia il fulgore del dì.
IIº
Le sue notti inargenta la luna,
né le grava se il giorno sparì.
TUTTI
Alle gioie, alle corse, alle gare,
sia qui lieto ogni volto, ogni cor.
Figlia, sposa, signora del mare,
è Venezia un sorriso d'amor.
Detti, Loredano e Barbarigo mascherati a parte.
BARBARIGO
Ve'! Come il popol gode...
LOREDANO
A lui non cale,
se Foscari sia Doge o Malipiero,
amici... che s'aspetta?...
(si avanza fra il popolo)
Le gondole son pronte, omai la festa
coll'usata canzone incominciamo.
CORO
Sì, ben dicesti... allegri, orsù cantiamo.
(tutti vanno alla riva del mare coi fazzoletti bianchi e coi gesti animano i gondolieri colla seguente barcarola)
TUTTI
Tace il vento, è quieta l'onda;
mite un'aura l'accarezza...
déi mostrar la tua prodezza,
prendi il remo, o gondolier.
La tua bella dalla sponda
già t'aspetta palpitante;
per far lieto quel sembiante
voga, voga, o gondolier.
Fendi, scorri la laguna,
che dinanzi a te si stende;
chi la palma ti contende
non ti vinca, o gondolier.
Batti l'onda e la fortuna
assecondi il tuo valore...
Alla bella vincitore
torna lieto, o gondolier.
Detti. Escono dal Palazzo ducale due Trombettieri seguiti dal Messer grande. I Trombettieri suonano, ed il Popolo si ritira. Anche i battelli scompariscono dal canale, ove si avanza una galera, su cui sventola il vessillo di S. Marco.
[N. 14 - Scena e aria]
POPOLO
(udite le trombe)
La giustizia del leone!...
Finché passi... via di qua.
(si ritirano e si tengono a molta distanza)
BARBARIGO
Di timor non v'ha ragione!
LOREDANO
Questo volgo ardir non ha.
Sbarca dalla galera il Sopracomito, a cui il Messer grande consegna un foglio. Dal ducale palazzo poi esce lentamente fra i Custodi Jacopo Foscari, seguìto da Lucrezia e dalla Pisana.
JACOPO
Donna infelice, sol per me infelice,
vedova moglie a non estinto sposo,
addio... fra poco un mare
tra noi s'agiterà... per sempre!... Almeno
tutte schiudesse ad ingoiarmi... tutte
le sirti del suo seno.
LUCREZIA
Taci, crudel, deh taci!
JACOPO
L'inesorabil suo core di scoglio,
più di costor pietoso,
frangesse il legno, ed una pronta morte
quest'esule togliesse
al suo lento morire...
Paghi gli odi sariano e il mio desire.
LUCREZIA
E il padre? e i figli? ed io?
JACOPO
Da voi lontano è morte il viver mio.
All'infelice veglio
conforta tu il dolore,
de' figli nostri in core
tu ispira la virtù.
A lor di me favella,
di' che innocente sono,
che parto, che perdono,
che ci vedrem lassù.
LUCREZIA
Oh ciel, s'affretti al termine
la vita mia penosa!...
JACOPO
Di Contarini e Foscari
mostrati figlia e sposa;
che te non veggan piangere:
gioire alcun ne può.
LUCREZIA
Ahimè! frenare i gemiti
di questo cor non so!
LOREDANO
(imperiosamente al Messer grande)
Messere a che più indugiasi?
Parta, n'è tempo omai.
LUCREZIA
Chi sei?
JACOPO
Chi sei?
LOREDANO
Ravvisami.
(si leva per un istante la maschera)
JACOPO
Oh ciel, chi veggio mai!...
Il mio nemico demone!
LUCREZIA E JACOPO
Hai d'una tigre il cor!
JACOPO
Ah padre, figli, sposa,
a voi l'addio supremo!
In cielo un giorno avremo
mercé di tal dolor.
LUCREZIA
Ah, ti rammenta ognora
che sposo e padre sei,
ch'anco infelice, déi
vivere al nostro amor.
BARBARIGO, PISANA E CORO
(Frenar chi puote il pianto
a vista sì tremenda!...
Troppo, infelici, è orrenda
tal pena ad uman cor!)
LOREDANO
(Comincia la vendetta
tant'anni desiata;
o stirpe abominata,
m'è gioia il tuo dolor!)
(Jacopo, scortato dal sopracomito e dai custodi, sale sulla galera, Lucrezia sviene tra le braccia di Pisana; Loredano entra nel palazzo ducale; Barbarigo s'avvia per altra strada; il popolo si disperde)
Gabinetto privato del Doge come nell'atto primo.
Il Doge entra afflitto.
[N. 15 - Scena ed aria finale]
DOGE
Detto e Barbarigo che entra frettoloso, recando un foglio.
DOGE
BARBARIGO
Morente
a me un Erizzo invia questo scritto;
da lui solo Donato trafitto
ei confessa, ed ogn'altro innocente...
DOGE
Detti e Lucrezia desolata.
LUCREZIA
Ah, più figli, infelice, non hai...
Nel partir l'innocente spirò...
DOGE
LUCREZIA
Più non vive!... l'innocente
s'involava a' suoi tiranni;
forse in cielo degli affanni
la mercede ritrovò.
Sorga in Foscari possente
più del duolo or la vendetta...
Tanto sangue un figlio aspetta,
quante lagrime versò.
(parte)
Detti, ed un Servo.
SERVO
Signor, chiedon parlarti i dieci...
DOGE
(al Servo che esce)
Detto, Barbarigo ed i Membri del Consiglio dei dieci e Giunta, fra i quali è Loredano, che gravemente entrano e dopo inchinato il Doge, se gli dispongono intorno.
DOGE
LOREDANO
Concedi in pria che teco
dividiamo il dolor pe un evento
a tutti noi funesto...
DOGE
LOREDANO
Che?... L'omaggio ricusi ed il rispetto?...
DOGE
LOREDANO
Il Consiglio convinto ed il senato,
che gli anni molti e il tuo grave dolore,
imperïosamente
ti chieggono un riposo, ben dovuto,
della patria a chi tanto ha meritato,
dalle cure ti liberan di Stato.
DOGE
LOREDANO
Avrai splendido censo...
DOGE
LOREDANO
Uniti or qui ne vedi
a ricever da te l'anel ducale...
DOGE
CORO
Cedi, cedi, rinunzia al potere
o il leone t'astringe a obbedir.
DOGE
CORO
Pace piena godrai fra tuoi cari;
cedi alfine, ritorna a' tuoi lari.
DOGE
CORO
Obbedir.
DOGE
(uno esce)
CORO
Tosto la gemma infrangasi.
LOREDANO
Deponi ogn'altra insegna...
(va per togliergli di capo il corno ducale)
DOGE
Detti e Lucrezia.
LUCREZIA
Padre... mio prence...
DOGE
(prende per mano Lucrezia e s'avvia, quando è colpito dal suono della campana)
LOREDANO
(avvicinandosi al Doge con gioia)
In Malipier di Foscari
s'acclama il successor.
BARBARIGO E CORO
(a Loredano)
Taci, abbastanza è misero;
rispetta il suo dolor.
LUCREZIA
(Oh cielo! Già di Foscari
s'acclama il successor!)
DOGE
LUCREZIA
(Il bronzo fatale
che intorno rimbomba,
com'orrida tromba
vendetta suonò!)
(al Doge)
Nell'ora ferale
sii grande, sii forte,
maggior della sorte
che sì t'oltraggiò.
LOREDANO
(Quel bronzo fatale
che intorno rimbomba
com'orrida tromba
vendetta suonò.
Quest'ora ferale
bramata dal core,
più dolce fra l'ore
alfine suonò.)
BARBARIGO E CORO
(tra loro)
Tal suono fatale,
che al vecchio rimbomba,
più presto la tomba
dischiudergli può.
Ah troppo ferale
quest'ora tremenda;
la sorte più orrenda
su desso gravò.
DOGE
LUCREZIA
Fa core...
DOGE
LOREDANO
Pagato ora sono!
(scrivendo sopra un portafogli che trae dal seno)
TUTTI
D'angoscia spirò!
Fine del libretto.
Generazione pagina: 14/05/2016
Pagina: ridotto, rid
Versione H: 3.00.40
(W)